Howdy Folks! Scrivo queste righe il primo giorno di primavera, con i fiori della magnolia davanti casa esplosi e il pensiero al primo impegno da assolvere, ovvero sostituire la batteria dello Sportster in garage, fermo da troppo tempo. Tappeto sonoro del quadretto, gli Hayseed Dixie, dei quali leggerete spero l’intervista che segue, la terza che ho strappato loro dopo quelle rilasciate per Radio Popolare e Rock FM. Li seguo dal 2004, quando se ne uscirono con Let There Be Rockgrass un album quasi tributo agli AC/DC contenente cinque pezzi della band di Angus Young e un’altra manciata di rockygrass music, il migliore punto d’incontro tra la musica bluegrass e l’hard e il pop rock.
John Wheeler fu subito chiaro quando rispose alla prima domanda che gli feci per Radio Popolare anni fa, ‘Gli Hayseed Dixie sono una rock band, il fatto che usino gli strumenti acustici del bluegrass è solo un elemento che li rende differenti da tutte le altre rock band del pianeta’. Perfetto, solo che sono cresciuti ascoltando rock, ma anche bluegrass. Non puoi suonare mandolino e banjo se non hai studiato le tecniche bluegrass. Ma non fanno bluegrass, fanno rock, con una dose di autoironia che li rende uno spasso. L’autoironia riguarda la figura stereotipata del redneck sudista per intenderci.
Anche l’ultimo CD Hair Down To My Grass è pieno di classici rock. Per promuoverlo sono passati dall’Italia ancora una volta e ancora una volta sono stati accolti con entusiasmo. Li ho incontrati back stage per qualche minuto e sono riuscito a porre qualche domanda a John Wheeler, il cantante.
Dopo 15 anni, 1.000 concerti, 13 album, un milione di km, decine di articoli, come conquistare nuovi cuori e orecchie?
Bella domanda, si accettano suggerimenti! Credo suonando il più possibile e in più posti possibile.
Suonate rock con strumenti bluegrass, ma la vostra musica non è adatta ai festival bluegrass, a parte alcuni di essi come il Telluride nel Colorado. Ci siete mai stati?
Sì, abbiamo suonato a Telluride nel 2002, li abbiamo spaventati a morte! Abbiamo suonato anche al Tonder Festival in Danimarca, simile a Telluride, e anche al Rudolstadt Folk Festival in Germania ci siamo divertiti un sacco con un pubblico non rock, hanno apprezzato moltissimo.
Avete mai diviso il palco con famose band delle quali avete realizzato cover?
Si è successo che in alcuni festival fossero presenti, erano contenti di quello che avevamo fatto.
Nel nuovo album ci sono altri classici del rock. Avete mai pensato di coinvolgere il cantante originale?
Certo, ma è sempre un incubo trovare l’occasione per incontrarsi.
Ce lo descrivi brevemente?
E’ stato registrato live in studio, seduti in circolo, in una vecchia fattoria in Inghilterra. Abbiamo fatto tutto nel giro di tre giorni, scegliendo le canzoni anni ’80 con le quali siamo cresciuti. E’ il nostro ultimo disco e quindi è il nostro disco preferito!
Maurizio Faulisi, fonte Chop & Roll n. 19, 2015