I dieci migliori dischi country degli anni ’90 secondo Roberto Galbiati.
GARTH BROOKS, No Fences (Capitol, 1990)
Esce all’inizio del decennio l’album destinato a fare la storia della musica americana in generale restando ad oggi il disco country più venduto con oltre 16 milioni di copie. Di più, questo secondo lavoro segna la precoce ed inarrestabile ascesa di Brooks quale fenomeno del mercato discografico a stelle e strisce e soprattutto quale artista maturo, vulcanico, onesto, positivo e poliedrico. Contiene vere gemme del genere quali The Thunder Rolls, l’ispirata Unanswered Prayers, una riedizione swingata di Mr.Blue, Wild Horses ed il singolo di traino Friends In Low Places, hit anche nelle charts pop.Credo non possa mancare in una buona discografia di country elettrico…in due parole il migliore del migliore.
ALAN JACKSON, Who I Am (Arista, 1994)
Per lui come per Garth avrei potuto facilmente consigliare un Greatest Hits ma mi sembrava un po’ banale, così ho scelto questo album del 1994 perché è quello che amo di più tra gli strepitosi lavori del georgiano. Lo stile è lo stesso di tutti gli altri, country elettrico fedele alle sonorità classiche dal sapore tradizionale. Impossibile non amare la cover di Summertime Blues, la famosa Gone Country o la velocissima I Don’t Even Know Your Name così come tutte le 13 tracks del disco. Questa è una indicazione ma se si tratta di Jackson scegliete ad occhi chiusi.
LEE ANN WOMACK, Lee Ann Womack (Decca Rec.)
Secondo me I Hope You Dance è la sua più bella canzone ma il suo primo album è complessivamente quello che trovo più coinvolgente. Già sviluppati i temi musicali tipici della Womack ispirati a suoni elettrici ma tradizionali con pochi ritmi rockeggianti (Buckaroo e una Trouble’s Here dal sapore cajun) e molte ballate lente e mid tempo che portano in primo piano la voce acuta della texana (Never Again, Again e The Fool ne sono splendidi esempi). C’è anche un gospel (Get Up In Jesus Name) e due duetti con Ricky Skaggs e Mark Chesnutt (Make Memories With Me)
LEE ANN RIMES, Blue (Curb, 1996)
Si può dire di tutto, discutere di cosa sia country o meno ma la voce e le doti interpretative di questa ragazzina restano fenomenali senza tema di smentita. Di più questo suo album d’esordio è country, in qualche pezzo limato e un po’ modernizzato, ma pur sempre country. La title track dal sapore tradizionale esalta i vocalizzi della Rimes come del resto i lenti (Hurt Me su tutti) o i motivi più ritmati come la fortunata One Way Ticket. C’è anche un suggestivo duetto con Eddy Arnold in Cattle Call con protagonista ancora la naturalezza della allora tredicenne Rimes nel giocare con la voce.
DIXIE CHICKS, Wide Open Spaces (Monument, 1998)
Le guardi e vedi tre belle ragazze, le ascolti e scopri tre musiciste coi fiocchi, metti tutto insieme e non puoi che avere il gruppo rivelazione degli anni ‘90. Da poco questo loro album ha raggiunto le 11 milioni di copie vendute e se le merita tutte. Ogni tipo di country elettrico/acustico è presente nel disco con una continua tensione tra moderno e tradizionale. La title track è una splendida ballata che sposa perfettamente musica e testo, i lenti non sono mai scontati, i pezzi ritmati consentono alle Chicks di scatenare la loro vena per gli strumenti acustici (banjo, violino, dobro, mandolino). Prodotto alla perfezione, il cantato della Maines è una goduria.
BRAD PAISLEY, Who Needs Pictures (Arista, 1999)
Ha solo due dischi all’attivo (questo è il primo) ma se molti sono ottimisti sul futuro della country music made in Nashville, molto è merito di questo cantante, autore e chitarrista giovane ma già acclamato da critica e pubblico. Paisley ha già un suo stile inconfondibile soprattutto nel comporre canzoni di sapore marcatamente tradizionale nei suoni e ricercate nei testi: quasi sempre ironici nei pezzi veloci e più riflessivi ed ispirati nei lenti. L’album ha pochi punti deboli, un capolavoro rappresentato dalla commovente He Didn’t Have To Be, molti pezzi ballabili ricchi di spunti chitarristici ed anche uno strumentale in cui Brad si scatena. Il lavoro è chiuso da un public domain In The Garden indicativo dell’attenzione dell’artista per il passato.
TIM MCGRAW, All I Want (Curb, 1995)
Atmosfere diverse per questo controverso artista protagonista delle scene new country. I suoni sono più moderni, spesso rockeggianti, ogni tanto contaminati da divagazioni pop. Metto questo album che mi piace di più del celebrato Everywhere perché è pieno zeppo di belle canzoni di facile ascolto e d’ impatto immediato che McGraw ha il merito di interpretare con uno stile inconfondibile e facilmente individuabile. All I Want Is A Life e I Like It I Love It sono pezzi divenuti ormai dei classici del genere ma non è difficile amare tutti i 12 brani che compongono il CD.
TERRI CLARK, Just The Same (Mercury, 1996)
E’ canadese ma ha una pronuncia che fa invidia al più sudista dei sudisti, è bellissima ma ha un fare da maschiaccio, ha la stazza fisica di Alan Jackson. E’ anche una delle mie cantanti preferite ed il suo personaggio, il suo modo di fare contribuiscono a renderla molto affascinante. Dimenticavo, ha anche una gran voce, anche quella poco femminile, aggressiva e graffiante. Anche se forse l’ultimo suo lavoro è più corposo e più articolato, Just The Same rimane il disco che più mi diverte, pensando anche alle molte canzoni trascinanti presenti: Emotional Girl, Poor, Poor Pitiful Me, Neon Flame e molti altri sono gli esempi. Solo tre su undici i lenti ma interpretati con ottimi risultati.
JOHN MICHAEL MONTGOMERY, John Michael Montgomery (Atlantic, 1995)
Non potevo non metterlo nella mia classifica. Artista e disco che ho ascoltato e riascoltato mille volte senza mai stancarmi. Sold è un pezzo a cento all’ora che rappresenta il fiore all’occhiello del CD che contiene anche bellissimi lenti sentimentali che hanno fatto la fortuna di John, I Can Love You Like That e Long As I Live credo siano dei modelli di come debba essere una bella canzone d’amore. Just Like A Rodeo paga il suo tributo al western swing mentre la finale It’s What I Am è una rockeggiante ed orgogliosa rivendicazione di identità country.
SHANIA TWAIN, The Woman In Me (Mercury, 1995)
Che nessuno osi storcere il naso, The Woman In Me è un gran bel disco, un bel lavoro di crossover country pop che si sviluppa in una serie di scelte musicali che tendono a facilitare l’ascolto, renderlo più accattivante ed attraente per il grande pubblico ma che non stravolge anzi mantiene ben forte un’anima country. Le 12 canzoni messe in piedi dalla coppia Twain-Lange sono moderne, orecchiabili, facili ma anche sostenute dalle chitarre elettriche molto country di Brent Mason, dalla steel di Paul Franklyn e da tutta una sfilza di ottimi session man di Nashville. No One Needs To Know e Whose Bed Have Your Boots Been Under sono due bellissimi honky tonk ripuliti, un po’ sgrezzati ma pur sempre honky tonk. La Twain ha una bellissima voce. Se discutibili possono essere le recenti scelte della canadese, niente da dire su questo disco…almeno secondo me.
Roberto Galbiati, fonte Country Store n. 60, 2001