Cornell Hurd Band

Se avete messo piede anche solo una volta nel ristorantino di Woody Allen a New York con i suoi camerieri compiti, l’orchestrina dixieland ‘molto educata’, il pubblico raffinato, allora avrete un’idea esattamente contraria di quello che è Jovita’s Cantina a South Austin, Texas.
Il nome messicano corrisponde perfettamente allo stile del locale: murales alle pareti, l’odore aspro di birra e jalapenos che impregna muri e pavimenti, tavoli grezzi per un servizio all’altezza, un pubblico, direi, di clienti abituali, atmosfera molto amichevole, informale, un bel palco, ampio abbastanza da ospitare comodamente una decina di musicisti e relativa strumentazione, a conferma indiretta della qualifica di ‘migliore ristorante musicale’ della città conferitogli dalla popolare fanzine Third Coast.
Questa sera, come tutti i giovedì, la scena è tutta di Cornell Hurd, proprio lui, il geniale Godfather of Country Soul o, come meglio ama definirsi con riferimento implicito ai suoni patinati di Nashville “Il Peggior Incubo della Country Music”, e della sua band: Paul Skelton e Blackie White alle chitarre, Herb Steiner (che ricordiamo con Alvin Crow) alla steel, la sudafricana Vanessa Gordon al fiddle, Karen Biller, ‘the Venus of the traps’ alla batteria, Danny Roy Young ‘il Sindaco di South Austin’ al washboard, Cody Nicholas al piano, Mark Pollard al basso; tutti nomi ricorrenti sui numerosi palchi cittadini.

Accomodato tra il pubblico riconosco lo slouch hat di Ponty Bone con sotto il suo padrone e qualche altro presenzialista delle notti musicali di Austin. Con una margarita a buon tasso di tequila tra le mani per aperitivo, osservo il montaggio degli strumenti e penso a questo strano personaggio, un po’ musicista e un po’ cabarettista che di giorno fa il ‘cacciatore di teste’ per grandi aziende e di sera si trasforma in singing cowboy, autore di canzoni che affrontano preferibilmente il tema delle piccole e grandi sfighe quotidiane in campo sentimentale con un umorismo atipico per l’ambiente, poco disposto ai buoni sentimenti.
I titoli delle sue canzoni sono inconfondibili: The More I Loved Her, The More She Loved Me Less, A Picture Of Me (Before I Loved You), I Don’t Care What It Is That You Did When You Lived In Fort Worth, Your Ex-Husband Sent Me Flowers (‘Cause He Feels Sorry For Me), When I Close My Eyes I Feel You In His Arms, (Set’em Up) I’m Afraid To Go Home.
Un riferimento ricorrente è la sua “miserable ex wife”, sulla cui presenza misura anche i ricordi e gli anni di attività artistica.
E’ da poco uscito il suo quarto CD, Cool And Unusual Punishment, rigorosamente autoprodotto su etichetta Behemoth (v. discografia), le cui partecipazioni testimoniano la considerazione di cui Cornell gode anche come musicista nell’ambiente di Live Music City: Johnny Bush, Chris O’Connell, Lucky Oceans e Tom Morrell.

Con un poderoso antipasto di nachos si aprono sia il mio mexican dinner che il con­certo. Si parte con l’ormai classica I Bought The Shoes That Just Walked Out On Me a conferma della fonte d’ispirazione originale, seguita a ruota dal medium swing Somewhere South Of San Antone e da un up tempo strumentale a scaldare l’ambiente.
Il repertorio è quello di ogni Texas honky tonk band che si rispetti: a farla da padrone è lo stesso buon vecchio swing d’annata (Bob Wills, Spade Cooley, etc.) che viene oggi riproposto o revisitato anche dai nuovi o nuovissimi protagonisti della scena della Stella Solitaria: Dale Watson, Derailers, Hot Club of Cowtown.
Non mancano le atmosfere messicane, qualche cowboy song, gli accenni ad un blues allungato con la tequila del border, i shuffles da dance hall oliati da anni di affollatissime gigs al Broken Spoke, drinking songs, canzoni d’autore.
Viene omaggiato il rock&roll con Seven Nights To Rock , quasi un tributo allo stile Commander Cody, rivisitato il country classico What Made Milwaukee Famous (Has Made A Loser Out Of Me), ed il western da antologia Along The Navajo Trail cantato da Cody Nicolas.
L’intervallo tra i due set prevede il rituale giro di tips per i musicisti, un’incombenza che alimenta il paradosso di una città capitale della musica che riserva ai suoi musicisti gli spiccioli, pur talvolta consistenti, delle mance. Conseguenza della tradizione locale ma anche di una scena musicale numerosa che non crea concorrenza tra le decine di locali che offrono musica.

La qualità dei musicisti viene così considerata in secondo piano se non in occasione di eventi o serate speciali. Per gentile concessione di Cornell, la consistenza della mancia questa sera prevede in cambio un buono per un’eutanasia di solidarietà presso il pluriprocessato Dott. Kevorkian o, a scelta, un whoopie cushion, simpatico palloncino su cui sedersi che produce, all’atto, un inconfondibile rumore.
Per qualche attimo il ristorante risuona di gridolini e pernacchiotti. Be’, in fondo, mi dico, non siamo al Teatro Regio?. Giusto il tempo di innaffiare con l’ennesima birra gelata il fuoco degli habaneros dell’ultima enchilada, ed ecco che si riprende con alcuni evergreens del repertorio di Cornell, Missing Years, Don’t Pretend You’re Doin’ This For Me e Fools Like Me ed un, per me, inedito dal titolo esaustivo, Happy Harry’s Honky Tonk And Package Liquor Store.
A cambiar tono una Shake Rattle And Roll che provoca l’agitazione sul dance floor di diverse coppie già arrivate ai drinks del dopo cena.

Sull’onda dell’entusiasmo salta sul palco Mitzy Henry, una avvenente signora di mezza età, che affronta con piglio sicuro (e gran bella voce), a sua richiesta, un Crazy Arms, che scatena gli applausi e prepara la platea ad un secondo omaggio al grande Ray Price, I’m Not Crazy Yet, dal Texas Fruit Shack CD. Un breve interludio jazzy, I Only Think About You Every Day, uno strumentale ed uno slow cantato da Blackie White mettono il concerto sulla via della conclusione.
C’è ancora spazio per un ritorno allo swing, Home To Texas, per una sempreverde Act Naturally ed un saluto ai Sons Of The Pioneers con Blue Shadows On The Trail.
E a sorpresa, per sigla finale, il tema dei Flintstones in beffarda versione uptempo a confezionare saluti e commiato.
Due ore passate come niente a suon di tortillas, salsa e chips. Il buffo è che sono solo le 10 di sera, visto che il concerto è previsto come complemento alla cena. La notte è ancora lunga e parto, con il Chronicle sotto mano, per un’esplorazione approfondita dei clubs della Sesta strada. Questa sì che è nightlife!

Discografìa:
-Honky Tonk Mayhem, 1994, Behemoth
-Live At The Broken Spoke, 1994, Behemoth
-Texas Fruit Shack (w. Johnny Bush), 1998, Behemoth
-Cool And Unusual Punishment (w. Johnny Bush, Chris O’Connell, Lucky Oceans, Tom Morrell), 1998, Behemoth

Fabrizio Salmoni, fonte Country Store n. 46, 1999

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