Proseguiamo la serie di incontri con i musicisti italiani andando a scomodare Beppe Gambetta. Non riteniamo necessaria una lunga presentazione del musicista poiché crediamo che il personaggio sia ormai noto a tutti. Il curriculum di questo artista parla da sé, e ci scusi il buon Beppe per questa schematica e fredda scheda, forse poco consona ad una persona di grande sensibilità e dal forte senso dell’amicizia; doti, queste, importanti quanto la sua naturale destrezza nel sapere offrire intense emozioni suonando la chitarra flat-picking.
Musicista professionista, ha suonato e tenuto workshops in tutta Italia, Francia. Austria, Cecoslovacchia. Svizzera, Germania, Belgio, Ungheria, Lussemburgo, Croazia, Olanda. Svezia e Stati Uniti.
Ha inciso un album intitolato Full Taste con il gruppo bluegrass genovese Red Wine, formazione per la quale ha suonato per circa un decennio. Ha inciso inoltre Alone & Together con il banjoista americano Tony Trischka e Dialogs con alcuni dei migliori chitarristi fiat-picking del mondo.
E’ autore del più importante metodo italiano per chitarra fat-picking, edito nel 1983, di ‘24 Assoli Per Chitarra Flat-picking’ e del metodo di ‘Chitarra Country Rock’.
E’, o è stato, collaboratore delle seguenti riviste: Chitarre (I), Country Store (I), Hi, Folks! (I), Bluegrass Bùhne (G), Le Cri Du Coyote (F), Musikblatt (G).
Ha partecipato a trasmissioni radiofoniche e televisive in Italia, Svizzera, Cecoslovacchia, Croazia, Germania e Stati Uniti.
E’ sponsorizzato da Taylor Guitars, Fishman Transducers e Vinci Strings.
D: Abbandonata l’avventura Red Wine, di avvenimenti di rilevante importanza ce ne sono stati molti…
R: Direi di si, un disco registrato negli Stati Uniti nel 1988 insieme a Norman Blake, Joe Carr, . John Jorgeson, Dan Crary, David Grier e altri grandi chitarristi, un disco che è stato originariamente stampato in vinile e su nastro e in seguito anche in versione CD, che ha avuto una tiratura di circa 9.000 copie, una cifra decisamente alta.
In seguito, dopo numerosi tours europei e americani, ho inciso Alone & Together, un album registrato con Tony Trischka, a dire il vero un po’ in fretta, con meno soldi del precedente, e questo lo si è certamente percepito.
Ora sono al lavoro su un nuovo prodotto col quale cercherò di garantire un livello più alto soprattutto dal punto di vista del contenuto, seguendo una linea studiata con attenzione, un progetto certamente più studiato e curato di Alone & Together. L’idea è più o meno quella di sfruttare la tecnica flat-picking e di vederne i suoi confini, non sarà un disco di sola musica tradizionale, ma piuttosto una specie di piccola esplorazione di quello che si può fare con questa tecnica, non solo quindi in veste tradizionale ma sfruttandolo in contesti diversi. Questa scelta è anche dovuta dal fatto che essendo in contatto con case americane, quindi alla ricerca di una etichetta USA, non posso presentare un lavoro attenendomi alla concezione classica del genere, voglio evitare, nei limiti, di proporre un lavoro come potrebbe essere quello di un chitarrista americano.
D: Un progetto studiato a tavolino, ancora prima di impugnare la chitarra?..
R: Più o meno. Agli americani piace ascoltare musicisti stranieri con un grande rispetto per la loro musica folk, almeno come punto di partenza, ma se ci sono sviluppi diversi vengono apprezzati tantissimo, come ad esempio il pezzo di Paganini suonato in stile bluegrass, quello è piaciuto da pazzi. I russi Kukuruza hanno molto successo negli USA perché utilizzano strumenti bluegrass per suonare brani della loro tradizione. Certo questo non porterà da nessuna parte, intendo, è un fenomeno che potrà comunque esaurirsi poiché nessun americano può proseguire sulla strada tracciata dai Kukuruza, ma in quanto fenomeno le cose a loro vanno veramente bene. Anche i cecoslovacchi Second Grass si apprestano a partire per l’America, e sono certo che riscuoteranno un grande successo. Anche perché hanno due musicisti straordinari, Lubos Malina al banjo e Lubos Novotny al dobro, quest’ultimo dal punto di vista compositivo è meglio di Jerry Douglas.
D: Nel tuo progetto prevedi di inserire anche ospiti di una certa fama ?
R: Si, ma sarà molto diverso rispetto a Dialogs che raccoglieva una serie di super campioni della chitarra e con i quali duettayo, facendo diventare il disco un prodotto mio e di…, in quest’altro sarà molto più incisiva la mia presenza, sarà un disco essenzialmente mio. Anche quando mi troverò fianco a fianco con altri musicisti questi dovranno attenersi alle mie indicazioni di arrangiamento. Con questo disco voglio che esca la mia personalità, ciò che voglio dire con la musica.
D: Quali musicisti collaboreranno?
R: Fino ad ora, sono a meno della metà dei pezzi che comporranno la raccolta, c’è solo Dan Crary, penso di utilizzare anche Todd Phillips al contrabbasso e probabilmente Rob Griffin e Mike Marshall (che tra l’altro mi aiutano nella produzione). Ho già registrato in Cecoslovacchia con alcuni dei Second Grass, ma non credo di coinvolgere molte più persone, voglio che sia un disco di Beppe Gambetta.
D: I lettori saranno curiosi di sapere come sono andati i dischi precedenti.
R: Come dicevo, Dialogs ha avuto una tiratura di 9.000 copie e sto già cominciando ad organizzare una festa quando verranno toccate le 10.000. Invece il disco con Trischka le ha già raggiunte, pensa che è stato ristampato in Cecoslovacchia e solo lì ne ha vendute 7.000! Le altre 3.000 nel resto del mondo. Purtroppo con i dischi stampati in Cecoslovacchia si guadagnano solo monetine per via del cambio, comunque è soddisfacente lo stesso.
D: La collaborazione con Dan Crary viene portata avanti, mentre con Trischka?
R: La situazione di Tony è particolare perché sta per nascergli un bambino, dovrebbe nascere in ottobre. Negli ultimi anni ha fatto un po’ il free lance, ora credo voglia concentrarsi su una sola cosa, ha smesso di dare lezioni, collabora molto meno con altri, vuole insomma dedicare tutte le sue energie su una cosa sola.
D: …e quale sarà mai?
R: Un gruppo di punk-grass che si chiama Farm Report, formato da un bassista, un batterista, un banjo old time e un banjo bluegrass. Poi sta seguendo l’uscita del suo nuovo disco, che sarà sicuramente uno dei migliori dell’anno.
D: Quello con Dan Crary è un sodalizio che va avanti ormai da qualche anno.
R: Si, e funziona. Il prossimo gennaio suoneremo nel Nord Europa. Dan è disponibile solo per sette concerti a causa dei suoi impegni con l’Università, così abbiamo provato ad organizzare un piccolo tour; in meno di venti giorni abbiamo venduto tutte le date, questo a dimostrazione che il Professore lassù è davvero molto famoso. Ed è un piacere viaggiare con lui, è una persona di cultura superiore, riconosce qualsiasi stile di qualsiasi cattedrale, di qualsiasi vino o whisky, è una persona così colta e allo stesso tempo alla mano che ci puoi parlare di cucina come di scuola sofistica. E’ bello passare del tempo con lui. Inoltre mi sta aiutando un po’ a farmi conoscere negli USA
D: Ora hai un aqente in America, in Cecoslovacchia, in Germania e in Svizzera. L’Italia ?
R: Niente. Solo un numero telefonico e un biglietto da visita. Sai, si comincia a diventare vecchi e bisogna pianificare meglio le cose. In un anno, solo con l’auto, percorro circa 100.000 km. Penso allora di investire un po’ sull’Italia lavorando ad ingrandire il giro, rinforzando le attività che svolgo qui, è il Paese dove sono nato e sulla carta dovrebbe essere quello dove sono più attivo, invece non è così. E’ strano, può essere che sia una realtà che non lo consente, può essere che abbia fatto degli errori, fatto sta che se la cosa funziona sei all’avanguardia, se non funziona sei solo un povero cretino. Così se organizzi un ‘guitar camp’ e vedi che il risultato è proprio scarso, beh ci rimani deluso, soprattutto se hai investito denaro e molta energia in questo, contattando ogni mezzo di informazione, dalla radio, alla televisione, ai quotidiani, ai giornali specializzati, senza contare la mia mailing che è di oltre 1.300 indirizzi. Ho voluto organizzare un workshop in mezzo al verde degli Appennini la scorsa estate, così come vengono organizzati all’estero, ci ho lavorato a lungo ma il risultato è stato disastroso.
D: Dopo Dialogs hai cominciato a visitare gli Stati Uniti, i primi tours te li organizzavi da solo?
R: Si, con l’aiuto di amici americani. Poi alcuni anni fa mi ha avvicinato una ragazza a fine di un mio concerto e si è proposta come agente. Ora sono in partenza per il mio 9° tour negli USA.
D: Le cose vanno bene ad entrambi? Siete soddisfatti l’uno dell’altro?
R: Decisamente. In America hai sempre un riscontro su quello che fai, se ti muovi bene i risultati non tardano ad arrivare, automaticamente. Riesci a capire gli errori che fai e hai così modo di non ripeterli. Certo per lei è dura proporre un flat picker italiano, però ha lavorato così bene che non riesce più ad organizzare le cose soddisfacendo tutte le richieste che le arrivano. Pensa che dovrei andare là quattro volte quest’anno per soddisfare tutti i contatti da lei aperti. Non so proprio come fare… Il prossimo mi vedrà partecipe del Festival di Winfield nel Kansas, del Festival di Owensboro nel Kentucky e del Chili Festival in Oklahoma, oltre a tutte le altre serate in clubs o teatri.
D: Raccontaci di qualche situazione difficile durante i tuoi concerti. Ti è sempre andata bene? Hai trovato sempre disponibilità totale da parte del pubblico americano?
R: Si, mi è capitato qualche volta di dover sudare davvero per conquistare il pubblico, per lo più situazioni in cui la gente non era venuta per me ma per il gruppo o il musicista con il quale dividevo la serata. Ma questo esclusivamente in locali e pubs. Situazioni difficili, ma mai frustranti come più spesso capita in Italia. Come una volta a Montecatinl, dove la gente era venuta per il piano bar, la situazione degenerò così tanto, facevano un tal frastuono, una assoluta mancanza di rispetto per chi si stava esibendo che mi vidi costretto a lasciare il palco, a smontare ogni cosa e lasciare il locale senza aver incassato il becco di un quattrino. Il resto della serata lo passai suonando seduto sul cofano della macchina per due persone che vennero appositamente per ascoltare la mia musica! In America è diverso, il pubblico va nei locali dove si suona per ascoltare musica. Laggiù il pubblico è più educato e rispettoso verso il musicista. L’unico problema è dato dalla difficoltà di portare nel locale molta gente per un musicista straniero a loro poco o per niente conosciuto. Problemi di rumore o di mancanza di disponibilità da parte del pubblico non ne esistono quasi.
D: Che tipo di lavoro promozionale viene svolto per te negli USA?
R: Al di là di ciò che viene preparato, devo dire che negli USA le dinamiche con cui succedono le cose è completamente differente rispetto all’Italia. La dinamica casuale di essere accettati per la tua arte e le occasioni che questa ti da è un fatto reale.
II manager che viene ad ascoltarti, il ‘talent scout’ alla ricerca di musicisti su cui lavorare, il giornalista che dopo il concerto ti avvicina sono cose che succedono davvero, a differenza dell’Italia. Qui l’essere ‘introdotti’ per poter venire a contatto con le persone giuste è una cosa diffusa in tutti i campi, un sistema davvero brutto con cui devi convivere per fare strada.
Una volta mi sono ritrovato a suonare in una città dei Nebraska, e lì è bastata una bella fotografia su un giornale perché durante la giornata qualcuno chiamasse il teatro dicendo “salve sono il direttore di una Cable TV, produciamo anche programmi di country e folk music, ne abbiamo prodotti per John Hartford, presto ne faremo uno con Jerry Jeff Walker, e saremmo interessati ad avere qualcosa di diverso”, alla mia risposta affermativa, nel giro di un paio di ore il teatro era pieno di cavi, telecamere, carrelli, regie e cosi via. La trasmissione, completa di intervista, è andata in onda per questa TV ed è stata vista da circa tredici milioni di famiglie. E tutto questo è potuto capitare perché quel giorno qualcuno ha aperto il giornale nella pagina dove c’era la mia fotografia… Certo quel passaggio non serve a molto perché se non hai il disco in tutti i negozi, se non sei sostenuto da una buona pubblicità tutto finisce lì. Comunque sia, tredici milioni di famiglie è un numero assurdo.
D: Dialogs abbiamo quindi detto che è stato un buon punto di partenza che ti ha consentito di aprire molte porte. Da lì hai cominciato a girare molto fino a Alone & Together, un disco nato da esperienze live. In questi anni l’intensa vita on the road ti ha concesso tempo da dedicare allo studio ?
R: Da Dialogs in poi la mia vita è stata davvero molto intensa. Questo non mi ha consentito di lavorare molto sulla ricerca. Il mio repertorio, per esempio, si è ampliato molto ma con molta fatica. Per una serie di motivi. Il primo è, come dicevi tu, quello del tempo; ci sono musicisti come Tony Trischka che riescono a produrre in qualsiasi situazione, li senti spesso suonare nuove cose, tentativi, ovunque si trovino, persino al gabinetto… Io ho bisogno di pace e tranquillità. L’aver impiegato tutto il tempo nel suonare in giro, nel promuovere me stesso, nel tirar su i soldi per campare, non mi ha lasciato molto spazio. Certo oggi suono diversamente rispetto ai tempi di Dialogs, ma devo confessare che è comunque stata una evoluzione conseguente all’attività concertistica. Poi c’è un altro punto. In questi anni ho dovuto creare, o studiarmi, non un repertorio ma tanti per le diverse situazioni: il repertorio con la Red Wine, il mio come ‘solo act’, quello in duo con Triscka, quello in duo con Crary, quello in duo con Griffin, quello con Paolo Bonfanti, quello con Franco Morone, poi Gene Parsons e così via… questo vuol dire che mi sono studiato centinaia di pezzi, ma che tuttavia si riducono molto quando mi ritrovo a suonare solo.
D: Il poco tempo che hai per studiare in che direzione lo impieghi?
R: Tendo a non fare della tecnica. Piuttosto mi impegno nella ricerca di nuove idee. In questo momento sono molto concentrato nel cercare una strada molto personale.
D: Il nuovo disco conterrà anche brani cantati?
R: Si, ce ne sono già quattro. Uno anche in genovese, ma questo è un segreto (allora forse non andava scritto… n.d.r), un pezzo di folk revival che funziona perfettamente.
D: Non era il momento giusto per un altro disco strumentale…
R: No, non credo. La gente vuole sentire la voce, pezzi cantati. Sono cosciente di non essere un gran vocalist, ma senza strafare, cosciente dei miei limiti, ho inserito cose dal punto di vista vocale certamente dignitose. E poi la pronuncia genovese mi riesce davvero bene! Quella americana, soprattutto quando suono in America, devo studiarla con attenzione. In uno dei miei ultimi viaggi, durante un festival mi è successo di sapere che il giorno dopo avrei dovuto dividere il palco con Doc Watson per un paio di brani, cosi ho passato tutta la notte a studiarmi la pronuncia di New River Train, il giorno dopo naturalmente abbiamo suonato Salt Creek che è un pezzo strumentale. Quello è stato uno dei momenti più belli della mia vita, ero talmente felice che mi dicevo “a questo punto posso anche smettere di suonare, apro una pizzeria…”.
Suonare con Norman Blake o Tony Rice può avere un grosso senso musicale, ma Doc Watson è un simbolo, è speciale, ciò che quest’uomo trasmette è davvero qualcosa di speciale, e tutti quelli che gli stanno vicino lo sentono. E’ stato un incontro molto confuso, era al Merle Watson Memorial Festival e c’erano almeno ventimila persone che volevano baciarlo… Quello è il suo festival, un incontro di moltissime tipologie umane, un festival eterogeneo, c’è di tutto, dai freakettoni agli yuppies, neri e bianchi, persone di ogni estrazione e provenienza, e lì in mezzo Doc, inevitabilmente, è molto ben protetto… E lui è ancora grande. Quando suona è davvero Lui, è musicalmente incredibilmente vivo, forse più che in passato.
D: Che ti diceva?
R: Mentre suonavo con lui mi hanno poi riferito che durante i miei interventi, mentre facevo le cose che gli piacevano particolarmente rideva con gioia… è questa la cosa forte.
Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 21, 1993