Vernon Reid

“Ho conosciuto Jack Bruce una decina d’anni fa. Un giorno ricevo una sua telefonata, nella quale mi chiede se ho voglia di raggiungerlo in studio per incidere un brano dell’album A Question Of Time. Ho sempre apprezzato il suo lavoro con Clapton e Baker, ma soprattutto con i Lifetime di Tony Williams. Così accetto. La canzone è Life On Earth e la sua struttura sonora ricorda alcune cose del periodo Cream, con una linea di basso in primo piano e la mia chitarra a fare da contraltare. In studio siamo uno di fronte all’altro, l’incisione è avvenuta praticamente in diretta, e ci diamo dentro come dannati. Jack è uno che non si risparmia… e neanche io.”

Vernon scoppia a ridere. Una risata liberatoria, fragorosa che scompiglia i lunghi dreadlocks facendo sobbalzare la fedele Hamer appoggiata sulle ginocchia. Incontrare Vernon Reid, a quasi dieci anni di distanza dall’ultimo acuto a firma Living Colour, è come avere un déjà vu.
Inglese di nascita, porta bene i suoi 43 anni; fisico tonico e battuta pronta, accompagna le parole, alcune sussurrate altre urlate nel microfono, con ampi gesti e occhiate che ti scrutano per capire se hai afferrato il concetto: perché, nel caso l’intercalare slang abbia reso criptici alcuni passi, aziona il rewind e si spiega meglio.

Oggi il suo sentiero musicale ha nuovamente incrociato quello del bassista scozzese, galeotto l’album Shadows In The Air, riportandolo in prima linea, sotto il fuoco di fila dei riflettori. Ma questo 2001 è importante anche per un’altra, e certamente più attesa, rentrée. “Il progetto Living Colour è tornato in vita”, spiega sornione come se si trattasse di cosa di poco conto. “Gli abbiamo dato una seconda chance. Dopo lo scioglimento (avvenuto nel ’93, nda) mi sono concentrato sul progetto solista con Mistaken Identity: l’impressione era che l’ultimo album del gruppo (Stain, nda) avesse in sé buone idee ma non riuscisse a svilupparle organicamente.
Per carattere sono una persona che vede bianco o nero: il grigio è la zona morta, un limbo inutile. Così ho voltato pagina. Stavolta spero sia diverso. Ci siamo ritrovati in sala, abbiamo buttato giù qualche pezzo e siamo partiti in tour (i Living Colour si sono esibiti in occasione di Arezzo Wave 2001, nda) per avere conferma di una ritrovata forma o, in caso contrario, chiudere definitivamente la partita.”

E come è andata? Personalmente, la performance mi è parsa di buon livello.
Grazie. In effetti, per avere un po’ di ruggine addosso, tutto è andato bene. Adesso sono impegnato con Jack, e confesso che l’invito ad affiancarlo sul palco mi ha fatto felice. Lui è un vero istrione: canta, suona il basso, il piano e arringa la folla come un politicante. Dopotutto, per riuscire a far convivere Baker e Clapton ben tre anni è necessaria un’overdose di diplomazia! Scherzi a parte, questi show mi danno l’opportunità di tornare alla musica attiva, lasciandomi anche tempo per riflettere sul futuro. Un primo, pur affrettato bilancio con i neoriformati Living Colour è comunque positivo, e al momento stiamo completando alcuni brani destinati ad un possibile album.

Certo l’atmosfera è diversa da quella, elettrica, di allora…
Puoi dirlo. Eravamo arrivati al classico punto di non ritorno. Ognuno voleva far passare le proprie idee, a costo di osteggiare quelle altrui anche se buone. La tensione era forte e gli attriti si acuivano sempre più. Impossibile continuare. A distanza di qualche anno i bollenti spiriti si sono raffreddati, ci siamo sfogati e realizzati singolarmente. Io ad esempio sto finendo un nuovo album con i Masque.

A proposto di attività collaterali, raccontami qualcosa dell’album di James Blood Ulmer ‘Memphis Blood: The Sun Session’ che hai prodotto
Blood è sempre stata un fonte d’ispirazione, per me. Ed è stata una gioia e un onore produrlo. Perché, a dispetto dei suoi trascorsi jazz post Omette Coleman, rimane per me un chitarrista blues. Per questo gli consigliai di incidere un disco di straight blues. Lui accettò e rilanciò: “Basta che a produrlo sia tu”. Tutto inciso in presa diretta, un piccolo capolavoro.

Paolo Battigelli, fonte JAM n. 77, 2001

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