Ultima fatica per John Hartford. Oddio, la parola fatica non è certo il termine più appropriato, considerato che John fa musica per divertirsi. Caratteristica questa che sembra accentuarsi col tempo, come dimostra questo suo ultimo You And Me At Home per la solita Flying Fish. Si tratta di un divertimento serio, questo è vero, come è nello spirito di uno che ha dribblato alla grande il destino di making-money-machine al quale il successo sembrava destinarlo.
Autore di quell’hit colossale che risponde al nome di Gentle On My Mind (per due anni la canzone più incisa al mondo: se ne può sentire la versione di John in All In The Name Of Love), deve avere dimostrato non poca forza d’animo per tenere testa a chi avrebbe voluto fare di lui un song-writer lautamente retribuito. Personaggio attento e puntiglioso sotto un’aria sconsolata, Hartford ha scartato invece la strada in discesa del grosso show-business per ritagliarsi una carriera artistica prestigiosa ma di certo poco appariscente e tutto sommato non proprio proficua dal punto di vista commerciale. E questo, sia detto per inciso, senza imprecazioni e proclami, nella serena coscienza che tutto nella vita ha un prezzo e la libertà ha forse quello più alto.
La sua frequentazione gioiosa e consapevole di un patrimonio musicale che va dal bluegrass al gospel si è snodata attraverso un seguito assai parsimonioso di dischi (Looks At Life è del ‘66), scandendo tappe musicali che erano anche tappe di una intensa vicenda umana. Ma per carità: non pensate ad un old timer con le pinze e la lente d’ingrandimento. Hartford si muove come un pesce nell’acqua all’interno di una tradizione musicale, comunque viva, perché è, a sua volta, vivo.
Il bluegrass o la anthem music bianca (tanto per parlare di due fonti d’ispirazione che gli sono consuete) non sono due punti di riferimento intorno al quali gravita un’ispirazione fortemente soggettiva e vitale e dunque priva di ogni timore reverenziale. Nelle sue prove più recenti la rivisitazione del patrimonio musicale che gli è consanguineo è divenuta sempre più mediata e, se possibile, distesa. Autentico piacere di vivere serenamente ed in profondità la propria esperienza artistica ed umana, al quale certo non si sottrae questo You And Me At Home, suo tredicesimo-quattordicesimo album, forse quello meno legato ai bisogni di introspezione delle proprie radici musicali.
Contornato da amici fedeli e da musicisti che si muovono a loro agio nel suo mondo così personalmente motivato, Hartford ci si rivela in forma smagliante. Non mancano le novità: prima fra tutte la presenza, in quasi tutti i brani, di un dotatissimo background vocale (Jeannie Seely / Jack Greene / Benny Martin) che assume spesso le funzioni di prima voce. Il violino di Hartford rifugge, più che in passato, da ogni esercizio vacuamente virtuosistico e si ritaglia interventi solistici, spesso in duetto assai piacevole, con la steel di Buddy Emmons, estremamente lucidi e dotati di senso. La parte strumentale ha comunque, nel complesso, un ruolo subordinato, di supporto alla tessitura vocale, per lo più organizzata in cori di vago sapore gospel. Affiora qua e là nel disco qualche ragtime swing.
Apre la dolcissima You And Me, coro ed accompagnamento di basso all’inizio tutto da sentire. La voce roca e felina di Hartford dialoga con il background vocale su toni di basso, mentre a contorno il violino intesse con la steel delicati arabeschi sonori. Segue Tonite We’re Boogie ed il titolo parla da solo. Your Stuff e una saporita canzonetta in stile radiofonico anni ’50; Hartford canta quasi in punta di lingua, col coro che si diverte da matti a swingare l’accompagnamento. Ladies Live Such A Long Long Time, sulla appurata longevità dell’ex gentil sesso è chiaramente di ironico stampo hartfordiano. È la canzone più bella della prima facciata, ma forse dell’intero disco. Ancora un duetto portentoso coro-voce-solista su sentieri di sapore quasi gospel.
Seconda facciata senza cadute di tensione. Don’t Go Away è una malinconica ballata giocata su ritmi molto rilassati, nella quale prepondera la voce di John nelle sue intense e pacate sfumature di colore, mentre il violino si attarda in un delicatissimo lavoro di commento sonoro. Impasti vocali da non potersi dire in I Believe In You e infine il clou della seconda facciata: Immagination Fired By Books. John vi canta en souplesse alla sua maniera e vi suona il banjo, unico episodio in tutto il disco, con una puntata solistica di alto magistero poetico. Chiude tutto lo struggente dialogo tra il violino di John e la steel di Emmons, in una ripresa di You And Me lentissima e accorata.
In soldoni il disco è sulla linea delle cose buone alle quali la Hartford S.p.A. ci ha abituati; su questo, come dicono dalle mia parti, non ci piove. Anche se qui, forse, sul desiderio di cercare strade nuove (o di cavare fuori tutto il nuovo da quelle già battute), prevale il bisogno di fermarsi a tirare un po’ di somme e godersi il frutto di tanto onesto lavoro. Chi ama questo autentico poeta e talento musicale troverà comunque in questo You And Me At Home quelle qualità di freschezza e personalità che gli hanno creato attorno un autentico fan’s cult, alimentato anche dalle sue incredibili esibizioni on stage.
A questo proposito: circola voce di una crescente riluttanza di Hartford ad esibirsi dal vivo, cosa che non meraviglia data la fondamentale introversione del personaggio. Ma dove qualche spazio di manovra rimanesse aperto rivolgiamo una preghiera ai signori della musica: dopo tanto reggae tanto lautamente retribuito che ne dite di portare in Italia uno che oltretutto sa anche suonare oltre che fare spettacolo (sul serio)?
Flying Fish 228 (Bluegrass Moderno, 1980)
Maurizio Bianchini, fonte Mucchio Selvaggio n. 35, 1980