Per chi non lo sapesse (c’ero anch’io fra questi fino a poco tempo fa), John McCutcheon è giunto, con questo suo Storied Ground, alla sua ventiquattresima (sì: la 24°) prova discografica.
John è lontanissimo dalle atmosfere della country music, si trova molto più a suo agio nella narrazione acustica della tranquilla quotidianità che traspare dal frequentare i piccoli negozi al dettaglio (grande la sua Closing The Bookstore), contrapposti ai giganteschi e caotici centri commerciali, a trattare argomenti quali l’integrazione razziale abbinata allo sport (Cross That Line), il dramma del ritorno a casa dei reduci (Homecoming Time, fortemente evocativa), incapaci di reinserirsi nella vita civile dopo l’inferno del Vietnam, il sacrifìcio e la durezza del lavoro nelle miniere di carbone (Two Foot Seam), il problema della violenza e della libera circolazione delle armi nel mondo (la drammatica rivelazione di From Us), questione considerata con distacco fino a quando non ci colpisce in modo tragicamente diretto, fino a coinvolgere la nostra stessa sfera di affetti più cari.
In finale di Storied Ground, John si avvicina impercettibilmente a sonorità più agresti: il banjo ed il mandolino si fanno sentire con maggiore determinazione in One More Mountaintop e The Abby D. ma il messaggio resta comunque abbarbicato alle direttrici del folk, con ammiccamenti più o meno evidenti alla scuola cantautorale di oltre confine, dove il ‘border’ in questione è però quello che divide gli Stati Uniti dal Canada.
Gordon Lightfoot potrebbe non essere estraneo – a livello di ispirazione – alla formazione artistica di John McCutcheon come, d’altro canto, la sua espressione cantautorale non è lontana da un altro espónente ‘colto’ del filone: David Mallet.
E’ molto facile distinguere la provenienza probabilmente più vicina a realtà del New England (è nativo del Wisconsin), che non a quella rurale del Sudovest, anche se questo signore – anche prima di laurearsi summa cum laude alla St. John’s University del Minnesota – ha battuto in lungo ed in largo le zone rurali del Kentucky e della Virginia, alla ricerca del contatto con la ‘sua’ gente.
Dal punto di vista strumentale, il CD si arricchisce della tecnica superba di John nell’accostarsi ad almeno una dozzina di strumenti tradizionali, fra i quali il raro e bellissimo hammer dulcimer, senza disdegnare una sana chitarra acustica (sei e/o dodici corde), con il preciso supporto di un eccellente lavoro al basso del fido JT Brown.
John firma tutti e dodici i brani di questo CD e la possibilità di conoscerlo è un arricchimento interiore del quale non dovremmo privarci. (Thanks Arno!).
Rounder 0467 (Old Time Music, Folk, 1999)
Dino Della Casa, fonte Country Store n. 53, 2000
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