Recensione album di John Mellencamp - Live At Town Hall, July 31, 2003 a cura di Mauro Zambellini, su Thelongjourney.it

Nel 2003 il disco Trouble No More impose una sterzata all’avventura artistica di John Mellencamp. Il suo album precedente, Cuttin’ Heads, aveva lasciato un po’ l’amaro in bocca a quanti lo consideravano il miglior rappresentante dell’’heartland rock’ americano. Vero è che il duetto con la cantante India Arie in Peaceful World, il singolo che aveva preceduto l’uscita dell’album, aveva confortato gli ascoltatori delle stazioni radio Usa nei giorni immediatamente successivi all’attacco alle torri gemelle, ma musicalmente parlando era poca cosa rispetto alle asprezze rock e alle ballate con cui il rocker dell’Indiana era entrato nei cuori degli appassionati.

Singolare il fatto che per riportare Mellencamp sulla sua strada maestra ci volle un disco non di sue canzoni ma di quelle canzoni che avevano formato lui come artista e i suoi fan come ascoltatori. Un patrimonio di canzoni estratte dagli archivi del folk, del blues e della musica popolare che avevano come comune denominatore una visione tollerante dell’America, la varietà delle sue radici popolari e delle sue origini, il senso di un sogno comune costruito con la solidarietà e la collaborazione, anche l’orgoglio di essere in qualche momento ‘contro’ e dall’altra parte della strada se fosse stato necessario dimostrare il dissenso ad una politica efferata, come lo era nei giorni del conflitto in Iraq.
Come dichiarò lo stesso Mellencamp a quel tempo “quelle canzoni costituivano quel patrimonio della musica americana con cui sono cresciuto, quella eredità che le persone intendono quando dicono di sentirsi felici di essere americani, non la politica estera americana ma la musica americana”.

Il cammino di John Mellencamp nel rock e nella vita ebbe con Trouble No More un sostanziale riposizionamento, una naturale evoluzione, una ulteriore maturazione intellettuale e stilistica che permise poi quel fenomenale quadro d’assieme che è il box On The Rural Route. Naturalmente in Trouble No More c’era il passato dell’America ovvero Woody Guthrie, Robert Johnson, Son House, Memphis Minnie, Willie Dixon ma la verve di gagliardo folk’n’roll con cui Mellencamp e la sua band interpretavano quel materiale, l’asciuttezza delle versioni, il preservare lo spirito piuttosto che lo stile, faceva sì che il disco risuonasse fresco, affatto nostalgico e fosse il naturale esito della musica di Mellencamp alla luce di una consapevolezza sociale mai così schietta.

Trouble No More venne registrato in giorni di neve e di freddo polare nel febbraio del 2003 al Belmont Mall Studio a Nashville nell’Indiana, poche miglia da Bloomington città natale di Mellencamp e portato in tour, mesi dopo, nella calura di fine luglio alla Royce Hall dell’UCLA di Los Angeles e alla Town Hall di New York. La scelta di una università e della ‘venue’ newyorchese non furono dettate dal caso ma del tutto coerenti coi temi anti-governativi presenti nel disco, in particolare contro Bush e contro la politica estera americana, in quel momento impaludata nella guerra in Iraq.
La Town Hall di NYC è una location storica per il folk, il blues, il jazz e la canzone di protesta, di fatto una sala concerti anti-establishment dove sono passati Leadbelly, Nina Simone, Pete Seeger, Odetta, in antitesi alla Carnegie Hall.

Lì, John Mellencamp con la band con cui aveva registrato Trouble No More ovvero Mike Wanchic e Andy York alle chitarre, Miriam Sturm al violino, Dane Clark alla batteria, John Gunnell al basso e Michael Ramos alle tastiere, portò il nuovo disco in un concerto oggi ricordato da Live At Town Hall – July 31 2003. Un live che ripropone l’umore ed il sound ‘countrypolitan’ del disco che lo ha generato. John Mellencamp è  motivato e impegnato a ricreare storie di ramblers, fuorilegge, tempi duri e delusioni con la compostezza di un folksinger che ha sostituito la chitarra acustica con una rock’n’roll band.

Mellencamp e i suoi suonano un roots-rock permeato di folk con la stringatezza del punk e l’immediatezza del blues, non gli interessa imitare gli stili del passato ma adattarne lo spirito alle nuove rabbie, al nuovo urlo di dolore, alla consapevolezza di un mondo cambiato ma sempre identico nei soprusi, nelle prepotenze, nelle ingiustizie, dove la povera gente continua a subire e i potenti a dettare leggi e menzogne. Mellencamp veste i panni del moderno hobo, polemico e non allineato, adattando la lezione di Woody Guthrie e Leadbelly al nuovo ordine mondiale. E la performance dal vivo alla Town Hall non fa che esaltare e dare più forza ai temi e alle canzoni di Trouble No More che qui suonano ancor più crude e drammatiche nei loro significati, non sono copie delle antecedenti ma sono animate da quell’ardore rock n’roll che Mellencamp ha sempre avuto nel sangue.

Il suono è teso, down-home, ricco ugualmente di sfumature, dettagli, sovrapposizione di suoni acustici ed elettrici, drumming misurato e violini evocativi, con la voce in primo piano ruvida e accusatoria. Mellencamp va alla fonte, l’agra versione di Stones In My Passway di Robert Johnson con una slide che morde come un cane randagio, cantata con fervore fatalistico, il singhiozzo lamentoso di Death Letter di Son House, il viraggio celtic-folk di Joliet Bound di Memphis Minnie, la fusione di gospel e blues in John The Revelator e l’illuminante intreccio di violino e chitarre in Down In The Bottom scritta da Willie Dixon per Howlin’ Wolf, iniettano la polvere del Delta negli ingranaggi del vecchio blues così da renderlo ancor più lacerato, terreo, autentico, moderno.

Da parte loro la rilettura di Johnny Hart di Woody Guthrie, addirittura commovente, di To Washington originario brano della Carter Family poi arrivato in mano a Woody Guthrie ed infine rivisitata nel testo da Mellencamp per commentare sarcasticamente l’elezione di Bush/Cheney nel 2000, l’altro traditional Diamond Joe e la spiritata versione di Lafayette di Lucinda Williams coprono la parte più specificatamente folk di questo viaggio nelle roots della democrazia musicale americana, lasciando alla intima e melodica resa di Baltimore Oriole, una delle vette del disco con un intreccio di chitarra acustica, violino e fisarmonica da brividi e alla corale Teardrops Will Fall, pescata dagli archivi dei gruppi vocali degli anni cinquanta, il compito di ricordare da dove provengono le melodie e le armonie nella musica di Mellencamp.

In tutto questo guardarsi alle spalle per sopravvivere al presente non poteva mancare colui che questo viaggio lo aveva percorso quarant’anni prima con lucida lungimiranza e poca voglia di indicare la strada, ovvero Dylan, uno dei maestri del piccolo bastardo dell’Indiana. Highway 61 Revisited è sangue, sudore e polvere da sparo sulle strade di un’America che non ha ancora finito di guardarsi dentro. Live At Town Hall è il primo disco dal vivo ufficiale di John Mellencamp, artista piuttosto restio a pubblicare concerti. Nel giro di pochi anni verranno però rilasciati anche Plain Spoken From The Chicago Theatre (2017) e The Good Samaritan Tour 2000 (2021).

Universal (Roots Rock, 2014)

Mauro Zambellini, fonte TLJ, 2022

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