Johnny Winter - True To The Blues. The Johnny Winter Story cover album

Proprio in concomitanza del settantesimo compleanno di John Davson Winter III esce, per la Columbia/Legacy True To The Blues: The Johnny Winter Story, un lussuoso cofanetto comprensivo di 4 CD che ripercorre oltre quarant’anni della carriera del chitarrista texano attraverso 56 brani comparsi in 27 album per svariate etichette.
Johnny Winter è un personaggio strano, dotato di un’abilità chitarristica notevole che lo ha reso celebre tra gli appassionati di rock blues, ma difficilmente è riuscito, se non in sporadici casi, a trasmettere in studio l’intensità musicale e il suo vivere il blues a differenza di quando è sul palco in una delle sue tipiche esibizioni col suo trio. Proveniente da una famiglia benestante e dedita alla musica è cresciuto a Beaumont, nella Contea texana di Jefferson, iniziando da subito a cimentarsi con strumenti musicali passando dal clarino, all’ukulele per arrivare, infine, alla chitarra. Le influenze iniziali erano orientate verso il country & western di tipica matrice texana oppure il jazz di Coltrane e Brubeck che appassionava il fratello Edgar.

Fortunatamente nella cittadina esisteva una stazione radiofonica dove aveva un proprio programma il cantante e chitarrista Clarence Garlow, che si affezionò al giovane allampanato ragazzo albino introducendolo al mondo della musica nera, e fu subito folgorazione. Muddy Waters e Lightnin’ Hopkins entrarono nel cuore di Johnny e la storia ebbe inizio. Le prime esperienze giovanili, assieme al fratello al sax e alle tastiere, decretarono che il giovane aveva talento tanto da convincerlo ad abbandonare la scuola per dedicarsi anima e corpo alla musica. A metà degli anni ’60 si recò a Chicago, dove incontrò la crema del blues del momento ed iniziò a fare le prime esperienze ed incisioni, conoscendo Red Turner e Thommy Shannon che formeranno l’ossatura del primo Johnny Winter Group.
Si cominciò a parlare un gran bene del giovane texano coi lunghi capelli di seta, tanto che il newyorkese Steve Paul, proprietario del The Scene, dopo lunghe trattative ne divenne il manager. Iniziò a dividere il palco con mostri sacri come B.B. King, Jimi Hendrix, Stephen Stills, Jim Morrison arrivando, inevitabilmente, a firmare un contratto con la Columbia ed a incidere, siamo nel 1969, il primo omonimo album. Alcune delle registrazioni effettuate l’anno precedente sono riprese in The Progressive Blues Experiment, e proprio da qui inizia il nostro cofanetto.

Il primo CD parte infatti con una matura Bad Luck And Trouble, dove il nostro si cimenta in solitario con la national guitar, mandolino, armonica e voce. Segue il mississippiano e molto attuale boogie Mean Town Blues con Shannon e Turner a tenere il tempo. Il terzo brano giunge dalle session che Mike Bloomfield e Al Kooper tenevano al Fillmore East di New York e It’s My Own Fault è un bellissimo lungo slow blues con il nostro a duettare con una delle più belle chitarre della storia (Bloomfield) e con Kooper a ricamare con il suo organo Hammond. Arriviamo, così, al primo album, Johnny Winter con i seguenti 4 brani e, in sequenza, troviamo I’m Yours And I’m Hers molto zeppeliniana, Mean Mistreater con Willie Dixon e Walter ‘Shakey’ Horton, una delle gemme assolute della produzione di Winter, seguite dall’acustica, sola voce e national, Dallas e da Be Careful With A Fool, uno dei cavalli di battaglia di sempre.
Grazie a questa meritatissima fama Winter viene invitato ad esibirsi a Woodstock. Stranamente la sua esibizione, così come quella di The Band, non fece apparizione nel film e tantomeno nei due album che uscirono per l’Atlantic, ma Leland Mississippi Blues avrebbe certamente ben figurato, meglio di altri protagonisti del famoso raduno. Con l’aggiunta del fratello Edgar in formazione, arriva sul mercato Second Winter dal quale troviamo Memory seguita dalla famosissima cover della dylaniana Highway 61 Revisited, il mix di r’n’r e soul di Miss Ann e Hustled Down In Texas, un veloce rock blues che indica la strada che verrà percorsa in futuro. Le conclusive Black Cat Bone e Johnny B. Goode sono versioni live provenienti da Second Winter: Legacy Edition e registrate alla Royal Albert Hall nell’aprile del 1970.

Ancora la band in versione live ad aprire il secondo dischetto, con brani registrati all’Atlanta Pop Festival, dove Winter presenta la nuova formazione composta dall’ossatura dei McCoy’s che vede i fratelli Rick e Randy Derringer (chitarra e batteria) e il bassista Randy Jo Hobbs. Un’inedita versione di Eyesight To The Blind che ne esalta la velocità di esecuzione anticipa la psichedelica Prodigal Son (l’altro inedito del cofanetto) e Mean Mistreater già apparsa sul triplo album The First Great Rock Festivals Of The Seventies – Isle Of Wight/Atlanta Pop. Rock And Roll Hoochie Koo di Rick Derringer apre la serie proveniente da Johnny Winter And, un solido album di rock (tanto) blues (sempre meno). Guess I’ll Go Away e On The Limb denotano un allontanamento dal blues verso più redditizi suoni e, intanto, la droga compare nella vita del texano chitarrista.
Ma è dal vivo che la band da il meglio di sè, come testimoniano le seguenti tracce It’s My Own Fault, assieme alla stonesiana Jumpin’ Jack Flash da Johnny Winter And/Live registrate al Pirate’s World, Dania, Florida, e Good Morning Little School Girl seguita da Mean Town Blues che provengono dal Live At The Fillmore East 10/3/70 uscito nel 2010. E così si chiude anche il secondo CD.

I problemi con la droga, per la precisione abuso di eroina, costrinsero Winter a prendersi, col prezioso aiuto di Steve Paul (sempre al suo fianco), un forzato periodo di pausa per la necessaria disintossicazione al River Oak Hospital nelle vicinanze di New Orleans per ricomparire, nel 1973, con una nuova band formata dal fido Randy Hobbs e dal batterista Richard Hughes e in poche settimane ecco pronto il nuovo album Still Alive And Well, da dove arrivano i brani che aprono il terzo CD.
Still Alive And Well conferma che il titolo è più che azzeccato, Rock Me Baby lo ratifica e la slide torna a scorrere veloce sulle corde della sua Gibson Firebird in Rock & Roll. Le seguenti Rollin’ ‘Cross The Country, Hurtin’ So Bad e Bad Luck Situation ci arrivano dall’album dell’anno seguente Saints & Sinners dove compare una nutrita line-up di musicisti con un suono più accurato e con aperture verso il r&b in un risultato gradevole e raffinato. Questo è un momento felice per Johnny, che riesce anche a dedicarsi al suo idolo indiscusso, Muddy Waters, in una impensabile veste manageriale dopo il distacco di quest’ultimo dalla Chess.

Nell’autunno del 1974 esce il nuovo John Dawson Winter III che, però, delude le aspettative forse anche a causa del poco tempo dedicatogli. Self Destructive Blues non ha il feeling abituale mentre la caotica Sweet Papa John gioca su un classico blues ripetuto ma senza sostanza. Chiude il trittico Rock & Roll People che sembra uscire da quei dischetti promozionali inseriti nei giornali. Poca roba per uno come Johnny Winter che risulta stanco e senza idee, come conferma la versione live di Harlem Shuffle in compagnia del fratello Edgar e proveniente da Togheter. La Blue Sky, l’etichetta di quegli anni, vista la scarsa forma opta per un’operazione commerciale e immette sul mercato, nel giugno ’76, il live Captured Live che, pur essendo un tantino meglio, non regala nulla di nuovo al pubblico, anche se i tanti fan di Texas Tornado continuano a seguire incessantemente il proprio beniamino. Bony Moronie e Roll With Me ne sono la testimonianza. Ma quando proprio non te lo aspetti, ecco che dal cilindro esce il disco che riappacifica il nostro col blues: Nothin’ But The Blues. E lo fa alla grande aiutato dalla band di Muddy Waters che vede, oltre al sessantaduenne bluesman di Rolling Fork, James Cotton all’armonica, ‘Pinetop’ Perkins al piano, Bob Margolin alla chitarra, Charles Calmese al basso e Willie ‘Big Eyes’ Smith alla batteria.

Da sottolineare anche il periodo storico che, con le contestazioni giovanili e la forte espansione del punk, non era certamente uno dei più favorevoli per il blues. Eppure questo disco conferma quanto esso possa essere immortale e ne abbiamo testimonianza dalle versioni di Tired Of Tryin’ con la band che riporta Winter indietro negli anni d’oro dei clubs di Chicago. TV Mama vede il nostro eroe da solo con la sua national guitar, mentre in Walkin’ Thru The Park la voce di Waters e l’armonica di Cotton si ergono a protagonisti a duellare con la chitarra del texano. A chiudere questo terzo disco ancora una versione live, sempre con la medesima line-up, di I Done Got Over It registrata nel 1977 al Masonic Temple Theatre di Detroit e che appare su Breakin’ It Up, Breakin’ It Down uscito nel 2007.

Purtroppo questo episodio pare essere stato una sorta di canto del cigno e il seguente White, Hot & Blue risulta un prodotto assolutamente povero di idee e di musicalità. One Step At A Time è un blues di maniera, Honest I Do è da dimenticare, soltanto Nickel Blues manifesta che Winter è stato un grande. Ma sia Winter che Steve Paul si accorgono che è meglio defilarsi e, infatti, per due anni il nostro torna in Texas a ricaricare le batterie, ma il rientro, nel 1980, produce il mediocre Raisin’ Cain dal quale possiamo ascoltare Talk Is Cheap seguita da Wolf In Sheep’s Clothing e Bon Ton Roulet omaggio a Clarence Garlow, il suo iniziatore al blues.
Scontento dell’ambiente musicale e della sua etichetta Winter decide di lasciare le scene, salvo per qualche sporadico concerto e ritorna, quattro anni dopo, con un nuovo contratto firmato con la indie blues Alligator e con un nuovo disco, Guitar Slinger che segna il ritorno del ‘corvo bianco’ ai fasti di un tempo. Purtroppo la scelta di inserire in questa raccolta solamente Don’t Take Advantage Of Me ci lascia spiazzati poiché questo è un album potente, corposo e con feeling.

Intanto in Texas brilla la nuova stella Stevie Ray Vaughan, che tanto deve al nostro amico albino, e allora, per restare al passo e sempre per la Alligator incide, l’anno dopo, Serious Business che conferma come la libertà concessagli dalla label gli permetta di tornare ad essere il grande esponente della musica nera che conoscevamo. Anche qui, purtroppo, una sola testimonianza: Master Mechanic. Entrambi gli album hanno ricevuto la nomination per i Grammy Awards e l’infuocata Mojo Boogie con la band di Albert Collins da 3rd Degree ci fa capire perché. La seguente Stranger Blues arriva da Live Bootleg Series Vol. 3. Nel 1988 esce uno stanco lavoro per la MCA seguito un lungo stop di tre anni che porta al ritorno con la nuova etichetta Pointblank (l’etichetta blues della Virgin) e l’album Let Me In dal quale ascoltiamo l’autocelebrativa Illustrated Man seguita, sempre per la Pointblank, da Hard Way di T-Bone Walker dal successivo album Hey, Where’s Your Brother?

Il 16 ottobre del 1992 al Madison Square Garden di New York si riunì un nutrito gruppo di star della musica per celebrare i 30 anni di attività di Bob Dylan e, ovviamente, non poteva mancare Johnny Winter con un’infiammata versione di Highway 61 Revisited.
Ormai di salute sempre più cagionevole le esibizioni e le uscite discografiche si diradano, ma Winter non si arrende e dal disco del 2011 Roots arrivano le ultime due tracce che chiudono questo bel prodotto discografico. Johnny vuole omaggiare le sue radici e lo fa con una serie di ospiti di altissimo livello come il countryman Vince Gill che offre la sua chitarra in Maybellene ma, soprattutto, Derek Trucks che accompagna Johnny nei sei minuti di Dust My Broom. Questo cofanetto è un doveroso omaggio ad una delle principali figure del rock blues americano, forse poteva esserci una maggior cura nella scelta dei brani, specialmente dell’ultimo periodo, ma in definitiva ci sentiamo di consigliarlo, soprattutto a chi non conosce questo artista così bianco di pelle che potrebbe essere visto come un nero al contrario. Nero come la sua anima.

Columbia/Legacy 88883740852 (Blues, Texas Blues, Blues Rock, 2014)

Antonio Boschi, fonte Il Blues n. 126, 2014

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