Josh Williams è stato ed è tuttora uno dei giovani musicisti più promettenti nel panorama della musica bluegrass degli ultimi anni. E ripercorrendo oggi la sua carriera in continua ascesa, tutte le attese su di lui sono state senz’altro ben riposte: una carriera senza botti, ma in crescita costante e continua.
Musicista dotato di creatività e di talento congeniti, multistrumentista, banjo, mandolino, fiddle, chitarra, basso, dobro, è oltretutto dotato di una voce tremendamente espressiva, ricca di mille sfumature, dalla naturale bellezza e ricchezza che gli permette di interpretare molteplici e differenti stili di canto, una voce perfetta per il bluegrass contemporaneo.
Nasce a Benton in Kentucky e dimostra il suo talento musicale già all’età di otto anni. Quando i genitori gli chiedono se desidera continuare a suonare, lui sceglie il banjo come suo strumento. Da quel momento in poi la sua carriera corre veloce: a nove anni comincia ad esibirsi in pubblico da solo e poi l’anno seguente con l’altrettanto giovane Jamie Jameson (di poco più vecchio di lui), ed è in questo momento che nasce il nome della sua prima band, gli High Gear, quando un presentatore annuncia che i due ragazzi veramente avevano ingranato la quarta…..
A dodici anni vince svariati contest regionali e nazionali (i caratteristici campionati americani per strumentisti) di banjo, chitarra, mandolino e dobro. Nel 1993 compie una esperienza davvero straordinaria: si trova in buona compagnia (si chiamano Bluegrass Youth All-Star, e sono Cody Kilby, ora chitarrista nei Kentucky Thunders di Ricky Skaggs, Michael Cleveland, due volte fiddler of the year per la IBMA, il bassista Brady Stogdill ed infine Chris Thile, mandolino nei Nickel Creek ed è tutto detto), a suonare il banjo durante lo show degli award della IBMA. Inoltre negli anni seguenti appare in svariate trasmissioni televisive e documentari musicali.
Nel 1994, quando ha tredici anni, esce il suo primo dischetto dal titolo The Old Town Of Home per la piccola ma interessante etichetta Copper Creek. Un lavoro ben piantato nella tradizione, come si può intuire già dalla foto di copertina con i cinque musicisti in posa nel front porch di una tipica cabin degli Appalacchi. Il disco è a suo nome, e gli altri musicisti si presentano come il suo gruppo, gli High Gear: oltre al già citato Jamie Jameson alla chitarra c’è Tim Harmon al mandolino (giovane anch’egli), mentre un po’ più di esperienza è data dal fiddler Dwayne Waller e dal bassista Doug Shemwell.
Già dalle prime note Josh ci aggredisce con il suono del suo banjo, e ciò che stupisce è la tecnica: senz’altro ottima, precisa ma per nulla fredda, da musicista consumato, un vero genietto del banjo. Canta da solista due soli brani, e la sua è una voce intonata anche se decisamente acerba, mentre gli altri pezzi sono lasciati all’appena più collaudato Tim Harmon.
Si cimenta anche nella composizione scrivendo un solo pezzo, New Madrid Breakdown, un veloce strumentale molto ben impostato che fa già intendere la sua abilità anche in questo campo.
Tutto il disco è molto semplice ma estremamente piacevole, sempre ben arrangiato, sufficiente a far gridare al piccolo miracolo vista la giovane età del protagonista: un lavoro che si potrebbe azzardare definire già maturo.
A novembre del 1997 esce Come To That River sempre per la Copper Creek. Rimane il fido Tim Harmon al mandolino mentre gli altri High Gear diventano Ron Barnett al basso con David Oliver alla chitarra ed in più l’aggiunta di Barbara Lamb al fiddle e di Don Rigsby alle harmony vocals, mentre Josh suona oltre al banjo anche mandolino e chitarra. È un disco coraggioso, perché per osare far uscire come seconda prova discografica di un giovanissimo musicista un lavoro completamente gospel ci vuole fegato. Ma Josh Williams supera con buona sufficienza l’esame, dandoci un disco con la giusta dose di passione ed intensità, senza troppi additivi, con le armonizzazioni vocali ben fatte ed una equilibrata miscela tra originali e cover. È un disco gospel, dicevamo (e la copertina con la scena di un battesimo di massa immersi in un fiume lo conferma), e quindi la sua valutazione è molto soggettiva: merita citare I’m Using My Bible For A Road Map di Don Reno, assai velocizzata rispetto l’originale, mentre carine sono Purple Robe oppure The End Of Time, quest’ultima dalla penna e dalla voce di Tim Harmon, che canta lead in tutto il disco ad eccezione di tre brani che sono lasciati al nostro Josh. La sua voce, sia solista sia a volte tenor a volte baritone nei cori, risulta decisamente più adulta, e addirittura non riconoscibile, rispetto il disco precedente: teniamo però presente che adesso ha già (tra virgolette) ben diciassette anni! Un lavoro anche questo semplice ma estremamente piacevole, che ci fa ben sperare per i passi futuri.
Nel maggio 1999 si unisce agli Special Consensus che cercavano un mandolinista ed un cantante. Questa è una buona band di bluegrass tra il tradizionale ed il contemporaneo residente a Chicago (?) che ruota intorno alla carismatica figura del banjoista Greg Cahill. Formatasi nel 1975, in questi anni hanno avuto un ricambio impressionante di musicisti (qualcosa come una diecina di cambi tra i chitarristi, ed altrettanti al basso ed al mandolino). Non hanno mai sfondato nelle vendite ma hanno saputo crearsi intorno una discreta fama sia per i loro programmi scolastici che per alcuni dischetti veramente ottimi. Uno di questi (con in formazione oltre a Greg Cahill e Josh Williams anche Tim Dishman al basso e Jamie Clifton alla chitarra) è Route 10 del luglio 2002: finora questo è il loro miglior lavoro, ed una parte del merito va proprio al nostro Josh. Un bel disco, in alcuni episodi addirittura stupendo, come in Rounder’s Spirit che sa molto di Blue Highway, o nell’intensa title track Route 10, Box 782, oppure nella rilettura della famosa Carolina In The Pines di Michael Martin Murphey: tutti brani sempre valorizzati dalla voce calda e oramai adulta di Josh Williams. Davvero un disco superbo, che chiede di essere ripetutamente riascoltato.
Sempre con gli Special Consensus un paio di anni prima, nel 2000, aveva collaborato al disco che celebrava il gruppo giunto al quarto di secolo: 25th Anniversary. Questo è un disco che potrei definire intelligente perché unisce ad una retrospettiva di otto pezzi rimasterizzati da loro vecchi lavori anche dodici brani incisi adesso. Un buon disco, anch’esso incisivo, senza cose estremamente straordinarie ma ben fatto. La voce solista è lasciata principalmente al chitarrista Chris Walz mentre il nostro Josh si riserva tre lead oltre naturalmente ai cori (indifferentemente baritone, tenor e bass). Sua è anche la firma ad un pezzo, Loggin Camp, uno strumentale abbastanza ossessivo nel quale si conserva, in aggiunta al suo mandolino, anche il ruolo di lead guitar.
Fra questi due dischi dei Special Consensus, ad agosto del 2001 esce il suo terzo lavoro solista, Now That You’re Gone questa volta per la casa discografica Pinecastle, naturalmente la stessa degli Special C. Qui siamo già decisamente sul bluegrass contemporaneo, ed è un disco tutt’altro che immediato, che richiede numerosi ascolti per essere gustato appieno. Oltre a Josh che suona chitarra, mandolino e banjo la lista degli ospiti è d’eccezione, da citare rigorosamente in ordine alfabetico: Greg Cahill, Ray Craft, J.D. Crowe (il suo più grande eroe, lui lo definisce), Aubrey Haynie, Carl Jackson, Randy Kohrs, David Parmley, Missy Raines, Don Rigsby, Sammy Shelor, Ron Stewart, Brent Truitt ed infine Chris Thile, l’amico che nel 1993 ha diviso con lui il palco negli Youth All-Star. Con questi musicisti è superfluo parlare della bontà dell’esecuzione strumentale, rimaniamo piuttosto all’aspetto che più colpisce: la sua voce, che si prende ovviamente tutte le parti solista guadagnandosi la stima dei suoi più blasonati colleghi. Una voce calda, piena e terribilmente giusta per quello che canta, una voce che riesce a porgere i brani più diversi con convinzione, rispetto e personalità.
La scelta dei pezzi è attenta ed attuale: tra le cose più belle figurano senz’altro There’s Always A Light In The Church dei soliti e prolifici Dixie e Tom T. Hall, forse il pezzo più tradizionale dell’album, nonché la morbida Tennessee Blues, carica di suggestioni (chi si ricorda la splendida versione di Jim Rooney? Questa non è da meno, più sognante e meno confidenziale). Inoltre merita ricordare All Of You, un inconsueto western swing quasi ballabile ed un paio di pezzi a firma Carl Jackson, come sempre molto incisivi, mentre troviamo un solo brano scritto dal titolare del disco, la apparentemente triste title-track.
Veramente un bel disco, potremmo definirlo un debutto della maturità, e del resto anche uno come Dan Tyminsky nelle note di copertina assicura che la stella di Josh sta appena cominciando a risplendere…
Un altro forte bagliore di questa stella lo abbiamo nel 2004, con il quarto CD a suo nome, Lonesome Highway sempre per la Pinecastle, nel quale Josh dimostra tutta la sua capacità e mette a frutto l’esperienza maturata in questi anni. Sempre bluegrass contemporaneo, moderno e maturo, un disco atteso e per questo ascoltato e gustato quasi in surplace. E le attese non rimangono deluse. Josh maneggia tranquillamente cose più vecchie (The Legend Of The Johnson Boys di Flatt & Scruggs, ripetitiva ed incalzante, piuttosto che Don’t Stop Now di Smiling Jim Eanes, un altro tuffo nello swing ma con il costume bluegrass), cose più recenti (You Love Me Today della giovane e sempre brava Becky Buller, Ol’ Brown Suitcase oppure l’interessante Mordecai) e cose scritte da lui (la title track Down Another Lonesome Highway e lo strumentale Golden Pond Getaway con il suo stupendo e moderno lavoro di chitarra), tutti arrangiati con cura ed attenzione.
Così come nel suo precedente lavoro, Josh è accompagnato da un’ottima schiera di ospiti: J.D. Crowe e Kristin Scott Benson al banjo, Ron Stewart al fiddle, Randy Kohrs alla chitarra resofonica, Missy Raines al basso acustico e Don Rigsby, Otis Dillon, Dwight McCall ai cori.
Lui si riserva chitarra e mandolino oltre ovviamente tutte le parti cantate solista. E qui, come ci ha ormai abituato, risalta la sua voce stellare: una voce profonda e ricca, fortemente convincente, da consumato veterano della musica (sempre ventitré anni quando ha inciso), una voce che cattura e trasporta tutte le emozioni che riesce a far sprigionare da ogni singolo pezzo. E se proprio si vuol segnalare una traccia, il dito ritorna spesso sul tastino della numero dodici, Cold Virginia Rain scritta dalla affiatata coppia Charlie Edsall e Ron Spears (attualmente nella band Within Tradition). Un disco che lo pone molto in alto nelle nostre preferenze, il lavoro della sua piena consacrazione.
Già dal dicembre 2003, ancora prima dell’uscita di Lonesome Highway, Josh porta lo straordinario flat picking della sua chitarra al servizio di Rhonda Vincent. Con il gruppo della grintosa mandolinista, i The Rage (Mickey Harris, Kenny Ingram e Hunter Berry) ha per l’appunto già inciso lo splendido Ragin’ Live, appena uscito all’inizio del 2005: ma questa è storia ancora troppo recente.
Josh Williams è un nome da tenere continuamente d’occhio, con la certezza che darà ancora molte soddisfazioni alle nostre orecchie ed al nostro cuore.
Claudio Pella, fonte TLJ, 2005