Kelly Joe Phelps - Roll Away The Stone cover album

Kelly Joe Phelps, originario dello stato di Washington, è nato e cresciuto nel nord-ovest, ben lontano dal Delta del Mississippi. Impara a suonare diversi strumenti sin da bambino, piano, basso, batteria, banjo e chitarra, e si formerà musicalmente ascoltando country e gospel alla radio sino ad arrivare al jazz. Le sue entrate principali provengono dall’insegnamento della musica in due college nello stato di Washington e all’università nel vicino Oregon. L’incontro con il country-blues di questo 30enne insegnante, siamo nell’89, gli cambierà radicalmente la vita.
Suonare il jazz viene messo da parte per dedicarsi alla musica del Delta. Kelly Joe Phelps diventa un vorace ascoltatore di Robert Pete Williams, Mississippi Fred McDowell, Joe Calicott, Skip James, Blind Lemon Jefferson, Big Bill Broonzy e tutti gli altri chitarristi di country-blues. Impara a cantare questa musica, cercando di adattare il canto al suo stile chitarristico, e il blues diventa un’autentica ragione di vita. Rimane affascinato dagli stilisti bianchi contemporanei e, con le solide basi musicali che si ritrova, non impiega molto ad emularli diventando ben presto un autentico virtuoso in quest’ambito.

Preparazione musicale e tecnica in lui vanno di pari passo con la passione e il grande feeling per quella musica “dove tutto inizia”. Rivelatosi grazie alla splendida compilation Portland Waterfront Blues Festival Recording del ’93, pubblicata da una piccola label di Portland, Oregon, Kelly Joe Phelps ha modo di confermarsi come uno dei talenti emergenti del blues acustico l’anno successivo con Lead Me On (Burnside BCD 015). Nonostante il suo approccio al blues del Delta sia particolarmente canonico, tanto privo di compromessi quanto di amplificazione, ed il suo stile vicino alle forme espressive pre-belliche più classiche, Kelly Joe, con Lead Me On, viene già considerato come una sorta di personaggio rivelazione. L’anacronistico impatto del suo blues lo rende particolarmente originale, vero e gradevolmente datato. La sua sezione ritmica è il più classico ‘stomp-box’, la sua voce è rilassata ed un pò pigra, sporca e rauca, percorre con uno sforzo tredici brani, una buona metà dei quali sono composizioni originali. Contrasta in modo mirabile con il talento di Kelly Joe Phelps, chitarrista dallo stile unico e scintillante.

Egli fa rivivere un ‘suono’ perduto nel tempo e chiamarlo ‘Acoustic Delta Blues’ è francamente limitativo. Tutti i cuori delle chitarre battono, come quelli delle persone, ma lo spirito di ogni essere, di ogni blues-man, ha caratteristiche a sé. E questo talentuoso personaggio del North-West, suona un lap-steel top-Delta slide alla chitarra che lascia attoniti. Kelly Joe Phelps scivola continuamente sugli accordi e rende particolarmente originale il suo stile grazie ad un intricato finger-picking degno del miglior Leo Kottke. Il risultato è un blues scintillante, intrigante nel contrasto chitarra-voce, sublimato dalla calda registrazione analogica che ne esalta sia i suoni che lo spirito. Lead Me On, rimixato in digitale solo in seguito per non fare danni al delicato lavoro di restauro del blues pre-bellico, è un gioiello raro ed artigianale che il pubblico del blues non dovrebbe perdere.
La sua fama cresce gradualmente e lo prova la partecipazione ad albums non solo di artisti locali ma anche di personaggi come Townes Van Zandt, Greg Brown, Martin Simpson, Tony Furtado e Louise Taylor. Roll Away The Stone lo vede riprendere proprio da dove aveva lasciato: da qualche parte nel cuore e nell’anima del country blues. Sembra occupare un posto che sta tra Blind Willie Johnson e lo Springsteen di Nebraska, così come dicono le note di copertina. Ma il solitario e contemporaneo confronto con il blues acustico ha solide radici nella tradizione è saldamente radicato nello spirito dei folk-singer americani degli anni ’20 -’30. Lo spirito di Jimmie Rodgers, Guthrie & Co. in Roll Away The Stone non è meno lontano da quello dei suoi mentori di colore. Come dice Kottke: “All’inizio pensi che ti sia familiare, poi ti accorgi che non hai mai ascoltato niente di simile prima”.

Kelly Joe Phelps dá ancora una volta voce alle sue emozioni, il country blues è solo il modo più comodo e pratico per esprimerle accostandole alla dimensione cantautorale di un autentico folk-singer. Anche gli 11 brani di questo nuovo album sono ben bilanciati tra passato, la tradizione rivisitata, e presente, la triste e spirituale via di Kelly Joe Phelps verso il blues. Non è una immagine retorica ma, ascoltando le canzoni, è difficile stabilire dove iniziano le une o le altre. Bisogna guardare i credits per assicurarci che i testi che ascoltiamo sono stati scritti negli anni ’90 e la musica sia effettivamente originale. Con la sua chitarra appoggiata di piatto sulle ginocchia, tenuta in grembo in stile dobro, alterna sliding and picking ottenendo sublimi effetti.
Dalla tradizione ripesca When The Roll Is Called Up Yonder, That’s All Right e Doxology, da Blind Lemon Jefferson e da Furry Lewis, lo spirito per cantare See That My Grave Is Kept Clean, mentre riprende anche in questo album un brano di Skip James, quella Cypress Groove che è qualcosa di più di un tributo. La sua chitarra poi sembra cantare le melodie come una seconda commovente voce, certo più cristallina e scintillante della fumosa e rauca voce baritonale di Phelps cantante.

Difficile scegliere tra il suo eccellente scripting fuori dal tempo. Impressionano Hosanna, tanto per l’avvolgente guitar sound che per il testo molto bello, Footprints, ancora graziata da un magico fingerpicking, e Go There, ancora riflessioni sulla morte, ma il capolavoro è Without The Light. Dall’incedere lento e dolce, sembra scolpita nel nulla con pochi tratti di chitarra attorno ad una voce languida e sognante. Il testo fa il resto e Kelly Joe canta: “Dove va la mia tristezza, io sarò là”. Se amate il country blues, i folk-singer d’epoca, quelli delle ‘dust bowl ballads’, avrete capito lo spirito del personaggio e di Roll Away The Stone. Spero che sarete là anche voi…

Rykodisc 10393 (Country Blues, 1997)

Franco Ratti, fonte Out Of Time n. 24, 1997

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