Fedele alla linea intrapresa dai parenti/discendenti più o meno coetanei, anche Kent sfugge alla legge non scritta della impossibilità della trasmissione intonsa della musica degli antenati. Diciamo subito che qui le radici mississippiane, al contrario degli altri lavori che Scott aveva curato, e che come avevamo detto sopra erano stati appannaggio interamente dei musicisti ‘locali’, sono ridotte al minimo sindacale, ovvero Kent, voce e chitarra e David Gray Kimbrough (basta il cognome) batteria e percussioni. Il ruolo di partner è assunto da musicisti provenienti da altre esperienze come Jimmie Wood e J.J. Holiday (Blues Brothers Band, Sacred Hearts, Johnny Depp, Chuck E. Weiss, etc.), per cui era scontato in partenza che il risultato finale sarebbe stato qualcosa di diverso. Da ciò scaturiscono alcune considerazioni. La prima riguarda il numero dei musicisti impegnati: sicuramente troppi per chi, come noi, è abituato ed ama una certa essenzialità sonora, legata proprio al luogo di origine delle basi di questa musica. La seconda concerne invece l’uso non sempre necessario sia delle backing vocals che dell’organo Hammond, che se possono essere apprezzati per conferire quel quid di moderno al contesto musicale nel suo assieme, rischiano di spegnere od opacizzare talvolta il potere insito nei diversi brani. La terza ed ultima è l’eccessivo impiego dell’overdubbing, con la conseguenza di non riuscire più a percepire (questo anche grazie alle troppe chitarre presenti contemporaneamente) chi sta suonando cosa.
In questo contesto cangiante coesistono brani come la title track, soul ballad niente male inficiata dai ‘coretti’, a tracce come I Miss You composta da Kent stesso e sentito omaggio al nonno, splendido esempio acustico danneggiato dall’impiego dell’Hammond decisamente fuori luogo dallo spirito che lo anima, ed invece ben letta dall’armonica di Wood e dalla chitarra di Holiday. Se la energia primigenia, quindi con DNA mississippiano, emerge in maniera inconfondibile in Country Boy dove la voce potente di Kent ben si amalgama con il suo chitarrismo essenziale, anche grazie al ritmo che Kimbrough imprime e conserva anche nella ripetitività con cui innerva I Heard. Se la ripresa di I’m Cryin’ degli Animals è invalidata in parte dai consueti backing vocals nonostante la percussività di Kimbrough, e la bella scansione di Feel Good perde la magia grazie per le ‘solite’ tastiere e voci, la versione di Walkin’ Blues di Kent, già presente nell’autoprodotto Evil, appare riuscita in quanto, non appena il timore innescato dall’uso del wha wha svanisce, ci si rende conto di come invece ne abbia modernizzato il risultato conservandone l’istintivo tocco originale. Un piccolo cameo ci è parso Honeydew (quinto brano di cui Kent è anche autore, a cui ne vanno aggiunti altri due in coabitazione con Wood), gioiello acustico in quartetto (e qui ritorna a galla il nostro debole per l’essenzialità delle formazioni e dei suoni), scorrevole esempio di come il blues mississippiano abbia saputo fondersi con sonorità diverse senza perdere l’anima, anzi guadagnandone in parte una nuova di zecca. Insomma un’opera sfaccettata, in cui il blues delle colline del Mississippi cerca di coniugarsi, per ora in maniera ancora non interamente convincente, con altre musicalità, ma lasciando intuire che anche questi potrebbero essere i prodromi di qualcosa di futuribile, magari nuova e più ampia strada da percorrere.
Country Boy / My World Is So Cold / Spoonful / Miss Maybelle / I’m Cryin’ / I Miss You / I Heard / The Cats Talkin’ / Honeydew / Feel Good / Walkin’ Blues.
Lucky 13 1131 (Blues, Soul, 2014)
Marino Grandi, fonte Il Blues n. 127, 2014