Kristina Olsen

Kristina Olsen, quella che consideriamo la più grossa rivelazione al femminile della musica U.S.A. degli anni ’90, si rivela ai lettori di Out Of Time a cuore aperto.

Qual è il tuo background, vieni da una famiglia di musicisti?
Mio padre era un pianista classico quando ero piccola. Poi decise che essere pianista non andava bene per crescere una famiglia, così tornò a scuola nel campo della ricerca medica. Amava molto il piano però e penso che volesse che io fossi il pianista che lui non diventò mai. Quando avevo cinque anni, cominciò a insegnarmi pianoforte e io credevo che fosse uno strumento di tortura per bambini, lo odiavo. L’ho studiato per circa nove anni ed ero la peggiore allieva di piano nella storia delle lezioni di musica.

A undici anni scoprii la chitarra. Amavo la chitarra tanto quanto odiavo il piano. Mio padre pensava che suonare la chitarra mi avrebbe portato sulla cattiva strada. Penso che associasse suonare la chitarra a farsi di eroina. Quale miglior modo per incoraggiare un bambino a fare qualcosa che non proibirla? Passavo tutte le mie ore da sveglia a suonare la chitarra o a pensare di suonare la chitarra. Cominciai anche a scrivere canzoni. Ho tuttora il vecchio piano a muro di mio padre. Era la sua cosa più preziosa e, sebbene lo odiassi, non me la sono sentita di darlo via, alla fine lo accordai e scrissi la canzone My Father’s Piano su di esso. Il colmo è che, dopo averla scritta, dovetti prendere lezioni di piano per imparare a suonarla bene, quindi alla fine mio padre l’ha avuta vinta.

Come componi? Scrivi prima le parole o la melodia?
La maggior parte delle volte comincio a strimpellare su qualche strumento e cado in una specie di trance. Quindi metto insieme una piccola parte di versi e melodia e da lì è come comporre un puzzle. A volte scrivo prima o la melodia o le parole, ma in genere arrivano insieme. Le mie canzoni preferite sono quelle che sembra si siano scritte da sole. La mia penna riesce appena a star dietro alla canzone, come se stessi trascrivendo da chissà dove. Quando c’è qualcosa che mi angustia dentro che non trova un linguaggio normale per esprimersi, ecco che una canzone comincia a formarsi. La canzone si fa strada a forza per dire qualcosa che io non riesco a far uscire.

Devo anche rendere merito al mio gruppo di compositori. Quando sono a Los Angeles ci incontriamo una volta alla settimana e ognuno deve portare una nuova canzone ogni volta. Senza una scadenza che mi incalza, è facile per me rimandare. Un altro vantaggio del gruppo e che ci diamo un sostegno costruttivo l’un l’altro. Non solo mi è utile sentire i loro consigli sulle mie canzoni, ma quando ascolto in modo critico il lavoro di un altro compositore riesco a mettere a fuoco meglio che cosa rende grande una canzone o meno. Così poi posso usare queste capacità critiche sul mio materiale. I compositori del mio gruppo poi mi ispirano molto, sono artisti eccezionali. Credo sia importante ascoltare il più possibile grandi cantautori.

Quali qualità secondo te rendono grande una canzone?
Un assoluto legame con l’emozione. Mi piace sentire emozione allo stato puro in una canzone. Mi piacciono le immagini forti, una storia coinvolgente e una prospettiva unica. Queste sono le prime cose che cerco in una canzone.

Tu sei conosciuta non solo come compositrice, ma anche come multi-strumentista. Suoni, credo, qualcosa come quindici strumenti. Come sei arrivata a suonarne così tanti?
Quando ero bambina amavo cantare. Mi dava una tale sensazione di gioia completa, naturalmente cantavo nel coro della scuola e l’insegnante mi disse che avevo una voce terribile. Mi consigliò di non suonare la chitarra perché incoraggiava il canto, ma di scegliere il flauto. Ero disperata. I bambini attribuiscono così tanta importanza e potere ai maestri che pensai avesse ragione. Smisi di cantare e per la frustrazione cominciai a suonare qualsiasi strumento su cui potevo mettere le mani.

Era come se cercassi di cantare attraverso questi strumenti. Da adolescente suonavo il basso nei gruppi rock, banjo nelle bluegrass bands, sassofono nei concerti e nelle bande e chitarra tutto il resto del tempo. Verso i vent’anni cominciai a suonare altri strumenti folk e a fiato e continuai a cercare la mia voce. Venni a sapere che Bonnie Raitt aveva un’insegnante di canto. Non riuscivo a immaginare che una persona con una voce bellissima prendesse lezioni, ma pensai di provare. Radunai tutto il mio coraggio e i miei risparmi e andai da questa donna. Si chiamava Florence Riggs e in sei mesi di lezioni mi ha dato la voce che ho oggi. Fu un tale risveglio per me! Adesso mi sento stupida per aver aspettato tutti quegli anni, ma sono contenta di poter suonare tutti quegli strumenti.
E’ strano, nessuno si aspetterebbe di prendere un oboe, per esempio e suonarlo benissimo la prima volta, bisogna prendere lezioni finché lo sai suonare. Con la voce, invece, se non canti subito bene ti dicono che non hai una buona voce e quella è la fine. Molta gente si sente insicura per qualcosa di stupido che un insegnante ha detto molti anni prima. Sono fortunata ad aver superato finalmente questo e ad aver trovato una grande insegnante di canto.

Cosa mi dici della slide guitar? Sembra essere la firma dei tuoi shows.
Non raccomando a nessuno di imparare a suonare la slide guitar nel modo in cui l’ho fatto io! Stavo portando a passeggio il mio cane (che ha vinto un premio di obbedienza a scuola) quando vide un coniglio per la prima volta e partì alla caccia. L’anulare della mia mano sinistra rimase impigliato nel guinzaglio e si ruppe in cinque punti. Non fui in grado di suonare la chitarra per un anno. Ero molto depressa! Avevo questa ingessatura high-tech di metallo e continuavo a guardare la chitarra e poi di nuovo il gesso e poi ancora la chitarra e così imparai a suonare…. Non sono contenta di aver rotto un dito, ma sono felice di suonare la slide guitar. Ha un suono molto sexy. E’ espressiva e passionale.

Quali sono le tue principali influenze musicali?
E’ sempre una domanda difficile a cui rispondere per me. Ascolto così tanti tipi di musica e sono influenzata da artisti così diversi che non potrei elencarli tutti qui, per ogni artista che metterei ce ne sarebbero altri cento che sarebbero esclusi. Sono cresciuta ad Haight Asbury a San Francisco negli anni ’60 quindi la prima musica che ho ascoltato è la musica folk di protesta che mia madre mi portava a sentire e la musica classica che mio padre mi faceva ascoltare. La prima volta che ho ascoltato musica blues ho pensato che sarei esplosa d’amore per quel tipo di musica. In seguito cominciai ad ascoltare rock e jazz e poi tutto ciò a cui le mie orecchie potevano avvicinarsi.

Una donna che mi influenzò molto fu Beverly Spaulding. Era la prima donna che vedevo che era sia una compositrice sia una multi-strumentista. I suoi spettacoli erano così eclettici. Suonava dal piano per un pezzo di Thelonious Monk, al flauto per un pezzo classico di Handel, il sax per uno dei suoi pezzi r&b, cantava e suonava la chitarra in una delle sue bellissime canzoni blues. Faceva esattamente ciò che avevo sempre desiderato fare senza sapere che fosse possibile. Suonava in un piccolo jazz club a pochi isolati da dove abitavo io a Venice. Venice Beach in quel periodo stava esplodendo con grandi musicisti e artisti e poeti, ed era un posto molto eccitante. Me ne andavo in giro meravigliandomi tutto il tempo. Direi che Venice Beach stessa è stata un’influenza molto importante.

Com’è essere una donna che si esibisce e fa tours da sola? E’ più difficile essere richiesta e/o apprezzata?
Trovo che molta gente pensi che sia pericoloso per una donna viaggiare da sola. Lo è in un certo senso, ma io vivo a Los Angeles così immagino che per me sia più sicuro viaggiare altrove che non dove abito. Ho sempre amato viaggiare, per me è naturale fare molte tourneés. Sto molto attenta comunque; quando arrivo in una nuova città mi informo sulle zone pericolose e cerco di evitarle. Una volta sono stata rapinata da un uomo con una pistola a New Orleans, ma ero con il mio fidanzato e mi sono sentita abbastanza al sicuro. Cerco di fare più attenzione quando viaggio da sola.

Per rispondere alla seconda domanda, ho sentito di alcune donne che sono state discriminate a causa del loro sesso, ma io devo dire che proprio grazie a questo ho avuto più ingaggi. Non ci sono molte donne sole in tour e nel circuito di cantautori acustici c’è abbondanza di uomini bianchi con chitarre. Spesso ai clubs piace avere un certo numero di donne artiste, o interpreti di colore, così mi sembra di essere richiesta di più per questo motivo. Inoltre il fatto di poter suonare molti strumenti mi facilita perché non ci sono molte donne che sono in grado di farlo. C’è un intero nuovo gruppo di artiste emergenti, credo stiamo entrando in una fase in cui le donne sono richieste perché sono grandi interpreti e non perché sono donne che è come dovrebbe essere.

Tu passi dai sei ai dieci mesi in tour. Non è difficile per i tuoi rapporti personali?
Sì e no. Credo che non avere abbastanza tempo e spazio per me stessa sia controproducente nelle relazioni personali, così a volte penso che essere in giro sia la cosa migliore per mantenere una relazione sempre fresca. L’assenza rende il cuore più appassionato. E’ un ingannevole gioco d’equilibrio però. Il mio boy-friend ed io abbiamo bisogno di abbastanza tempo insieme per permettere alla nostra relazione di crescere ed entrambi necessitiamo di tempo da soli per crescere come individui. E’ una sfida divertente comunque.

Hai fatto due dischi con la tua etichetta prima di firmare con Philo/Rounder. Ti piace essere un’artista della Philo/Rounder?
Lo adoro! Ero abituata a fare da sola il mio show ed ero preoccupata che firmando con un’etichetta sarei stata spinta in qualcosa di non corrispondente a ciò che sono. La cosa bella della Philo/Rounder è che è un’etichetta molto rispettata e che credono veramente nell’artista che controlla il proprio prodotto. Sono stati davvero un sogno. Mi sostengono molto e allo stesso tempo non mi intralciano. Ho chiesto a Nina Gerber di essere la mia produttrice e sono molto contenta delle registrazioni che abbiamo fatto. Nina è una chitarrista incredibile oltre ad essere una produttrice favolosa. E’ stata davvero una delizia lavorare con lei e Rounder. Mi sento molto, molto fortunata!

Hai vinto il New Folk Song Writing Contest nel 1985 al Kerville festival in Texas. Qual’era la canzone che ha vinto?
Era una canzone che scrissi per le donne che vengono picchiate, I’m Keeping This Life Of Mine. La scrissi per una mia amica che veniva picchiata dal marito. Dopo 2 anni di matrimonio finì in ospedale con molte ossa rotte; più tardi mi disse che sapeva di dover lasciare suo marito, ma la stima che aveva di sé era così bassa che pensava di non aver la forza di farlo. Continuava a ripetere le parole “I’m keeping this life of mine” (devo tenere questa vita mia) come un mantra mentre se ne andava dal marito. Fui così colpita dal suo coraggio che scrissi questa canzone dal suo punto di vista. Penso che sentiamo troppo spesso messaggi negativi di donne picchiate che tornano dai loro partners violenti o che se ne trovano uno nuovo altrettanto violento e non abbastanza di donne che cambiano vita e si prendono cura di se stesse. Volevo scrivere una canzone sulla mia amica e sul cambio positivo della sua vita. Mi ha colpito molto e sta tuttora andando benissimo!

Sei anche nota per le storie affascinanti che racconti. Il pubblico alla fine dello show sente di avere una nuova amica. Sei davvero sempre stata una narratrice di storie o è qualcosa che hai sviluppato strada facendo?
Mia mamma, mia nonna e la mia bisnonna erano grandi narratrici; immagino di avere ereditato da loro questa capacità, ma non è sempre stata parte dei miei spettacoli. Credo che il pubblico abbia bisogno di avere qualcosa per cambiare lo show, per renderlo interessante. Io racconto storie divertenti e suono diversi strumenti a quello scopo. Non mi piacciono i concerti che sono esattamente come i dischi; tanto vale ascoltare il disco. Quando vado a sentire un concerto mi piace afferrare qualcosa della natura delle canzoni e dell’artista, ed è quello che cerco di fare io per il mio pubblico.

Ti piace suonare in Italia? In che cosa è diverso il pubblico italiano da quello americano?
L’Italia è stupenda! Il pubblico è decisamente diverso da quello americano. Per prima cosa applaudono nel mezzo di una canzone. La prima volta è stato uno shock! Ho pensato che volesse dire che erano stufi della canzone e ne volessero un’altra. Quando capii che significava che gli stava piacendo il pezzo pensai che fosse molto simpatico. Quando tornai negli USA mi mancò quell’applauso. Il pubblico italiano sembra molto interessato ai testi e al contenuto delle canzoni e questo mi piace. Vengono molti cantautori famosi qui e il pubblico è molto informato. Non vedo l’ora di fare il mio prossimo tour. Ho già cominciato a studiare l’italiano così posso raccontare qualcuna delle mie storie. E’ una lingua bellissima! Fino ad ora ho imparato a salutare il Signor Rossi, dire che non ho niente da dichiarare alla dogana e chiedere il nome di buoni ristoranti e hotels. Immagino ci voglia ancora un po’ prima di arrivare ai discorsi interessanti.
(Traduzione a cura di Simona Caldirola)

Franco Ratti, fonte Out Of Time n. 3, 1994

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