La ferrovia nelle canzoni e ballate USA

L’importanza che ebbe la ferrovia negli USA non ha paragone con nessun altro paese al mondo, perché permise agli Stati dell’Unione di entrare a far parte, nel giro di pochi decenni, delle potenze mondiali.
La gente visse in prima persona questo enorme cambiamento, e fu proprio la ferrovia a contribuire in larga misura alla formazione del nuovo popolo americano: gli immigrati dalle più disparate zone del mondo si trovarono spalla a spalla per costruire le strade ferrate, e chi non pagò con la vita questa durissima partecipazione, si trovò a lavorare come ferroviere sulle nuove linee.
La gente cercava lavoro, e a volte lo trovava là dove i binari erano già arrivati e il treno merci era il mezzo principe per i disoccupati che non potevano pagarsi il biglietto.

Questi presupposti spiegano perché in USA si sia venuto a creare un così vasto repertorio di canzoni e ballate che hanno come sfondo il mondo della ferrovia: ne analizzeremo solo alcune e la nostra scelta cadrà su brani della tradizione bianca (anche se molte canzoni appartengono anche al repertorio nero) eseguiti da bianchi facendo attenzione che siano abbastanza diversi tra loro in modo da stimolare un discorso sulle caratteristiche musicali della tradizione popolare negli USA.

Nei paragrafi che seguono ci baseremo su un materiale di registrazioni in studio risalente ai primi anni dell’industria discografica e questo per una associazione storica:
1) il treno appare nei primi anni del XIX secolo, dopo millenni in cui il mezzo di trasporto usuale era il cavallo
2) il disco appare nei primi anni del XX secolo, dopo millenni in cui il mezzo di trasmissione usuale della tradizione era la voce.
Il treno aveva già cambiato la fisionomia del paese e il disco, ma anche la radio, cambierà in quegli anni il modo di rapportarsi alla musica: ciò che non era riuscita a fare la scrittura (e poi la stampa), lo realizzeranno i nuovi mass-media elettrici, e nel giro di pochi anni; ma non dobbiamo dimenticare che già la campagna era stata avvicinata alla città dal treno.

Cenni storici
Nel 1804 Oliver Evans, a Philadelphia, costruì la prima locomotiva a vapore americana; ma bisognò aspettare fino al 1826 per la costruzione della prima strada ferrata e fino al 1830 per la prima messa in opera di un servizio regolare.
Nel giro di dieci anni la rete ferroviaria USA si moltiplicò in modo sorprendente. Nel 1840 contava già ben 4.534 chilometri di binari contro i 1.348 dell’Inghilterra e gli 8 chilometri della linea italiana Napoli-Portici inaugurata nel 1839: gli americani avevano già superato abbondantemente tutti i sistemi ferroviari europei sommati insieme. Dieci anni dopo gli USA avevano oltrepassato i 15.000 chilometri di strada ferrata.

Il vero grande obiettivo americano si delineò ben presto quando Lincoln sottoscrisse il progetto per costruire la prima transcontinentale. Questo fine, ovviamente economico, ebbe la precedenza sul massacro delle mandrie di bisonti nelle praterie prima e del genocidio dei pellerossa poi. Per quanto riguarda il massacro dei bisonti viene in mente l’eroe popolare William Cody che si guadagnò il soprannome di ‘Buffalo Bill’ per avere cacciato, fra il 1860 e il 1880, 4.000 bisonti per le compagnie ferroviarie.

Gli anni coincisero con la realizzazione della prima transcontinentale i cui lavori iniziarono durante la guerra di secessione e finirono nel 1869: il 10 maggio le due compagnie (la Central Pacific da ovest e la Union Pacific da est) s’incontrarono a Promotory Point nello Utah; il collegamento dell’Ultimo Bullone, che univa i binari della U.P. e della C.P. fu accompagnato da una grossa festa. All’impresa parteciparono circa ventimila operai, per lo più ‘coolies’ cinesi e irlandesi, che venivano appunto nutriti con bistecche di bisonte cacciato da professionisti assunti dalle compagnie ferroviarie.

Le condizioni di lavoro però non erano le migliori e agli incidenti sul lavoro si sommarono il sabotaggio sistematico delle ditte appaltatrici interessate a ritardare la conclusione del lavoro e non ultima la guerriglia dei pellerossa che vedevano il loro territorio invaso dal ‘cavallo d’acciaio’ e la loro maggiore fonte di nutrimento (il bisonte) prossima all’estinzione; ciò nonostante nel 1870 fu inaugurato il primo treno transcontinentale ‘coast-to-coast’ che univa Boston a San Francisco. Lungo la linea sorsero paesi e poi città, con il treno arrivarono i coloni che cominciarono a coltivare la terra e poi i macchinari agricoli moderni, sorsero chiese e scuole, la strada ferrata era il mezzo che stava portando la società occidentale ancora più a occidente.

Nello stesso anno dell’Ultimo Bullone l’inventore Westinghouse brevetta il freno ad aria compressa che si dimostrerà molto utile per la diminuzione degli incidenti anche se nessuna legge federale che ne regoli la dotazione o gli attacchi automatici dei vagoni apparirà prima del 1893.

La storia della ferrovia negli USA annovera tra l’altro tutta una serie di primati mondiali a livello tecnico (l’utilizzo di vagoni-frigorifero per il trasporto della carne risale al 1857) come a livello politico (nel 1863 avviene il primo sciopero dei ferrovieri).

Nel 1914 gli USA avevano ormai toccato la loro punta massima dello sviluppo ferroviario: circa 415.000 chilometri di binari, ma dopo la prima guerra mondiale, in concomitanza con lo sviluppo degli automezzi e dell’aereo, il treno incomincia una lenta involuzione; ormai aveva assolto il suo compito: gli USA erano divenuti una delle più importanti e ricche potenze mondiali.

Il lavoro in Ferrovia
I primi tre esempi che abbiamo scelto dal repertorio ferroviario sono canzoni e ballate nei cui testi si possono osservare dei diretti riferimenti su come si svolgeva il lavoro dei ferrovieri nel secolo scorso: The Death Of John Henry di Uncle Dave Macon (1), Jerry Go ‘Ile That Car di Harry McClintock (2) e The Little Red Caboose Behind The Train della Pickard Family (3).
Nella tradizione popolare i protagonisti appaiono come duri lavoratori sempre pronti ad eseguire puntualmente il proprio dovere. E’ molto interessante notare quanto i personaggi popolari si sentano partecipi della storia del proprio paese semplicemente facendo il proprio lavoro. Sarebbe troppo facile e inutile cercare, nel contenuto di questi testi, un aspetto forzatamente patriottico, quando invece si nota tra le righe il grosso e giustificato orgoglio di sentirsi artefici della storia.

La massificazione e l’appiattimento saranno sempre più un prodotto degli USA, come del resto del mondo moderno, ma è bello notare come all’interno di questi testi della cultura popolare trovavano spazio, sotto forma di eroi, i semplici lavoratori con le caratteristiche che li distinguevano l’uno dall’altro. Crediamo profondamente che la sostanza non sia cambiata. Il problema è un altro: si va affievolendo sempre più la capacità di distinguere i propri meriti e di considerarli degni di essere, per esempio, cantati in una canzone. Il meccanismo della delega (di potere) che caratterizza ogni Stato moderno sta invadendo le funzioni vitali dell’uomo, prima fra tutte la creatività che, come si vede, sembra delegata a professionisti del disco, della radio e soprattutto della televisione.

Accorgersi di questa situazione non può significare avere come unica alternativa il sacrificio di John Henry e, per quanto riguarda più specificatamente la musica, la scelta che fece Luigi Tenco; crediamo che le soluzioni siano tante e ovviamente una per ogni individuo.

Quella di John Henry è una delle ballate più conosciute e narra la storia di uno scavatore di colore dalla forza inaudita che, impiegato nei lavori per il Big Bend Tunnel della linea C. & O. in West Virginia, ingaggia una sfida con la perforatrice a vapore battendola in velocità. John Henry però muore in seguito allo sforzo e per la sua impresa diventa uno dei più ammirati eroi popolari statunitensi.

Esistono due grossi filoni musicali che partono dalla leggenda di John Henry: la ballata (a cui appartiene anche la versione di Uncle Dave Macon da noi scelta), il canto di lavoro (intonato dai lavoratori per facilitare l’andamento ritmico dei colpi di martello).

Il testo di The Death Of John Henry (1926) di Macon è anomalo (anche la melodia usata non è familiare rispetto alle altre versioni sia bianche che nere) perché parte in un certo senso dalla fine per svolgersi a ritroso: ciò che interessa subito è l’atteggiamento psicologico della gente dell’ovest che evidentemente ha già sentito parlare di John Henry quando era ancora vivo; seguono due strofe sulle ultime parole che la moglie disse a John Henry, poi appare come un fantasma lo scavatore nero stesso durante la sfida che parla all’aiutante e al caposquadra e infine Macon conclude con una strofa nella quale riporta le ultime parole che John Henry ‘gli’ disse prima di morire.

Mentre su chi compose la ballata di John Henry non si sa niente se non che sia stato un altro uomo di colore che partecipò ai lavori, la ballata Jerry Go ‘Ile That Car fu composta da un emigrato irlandese chiamato ‘Riley the Bum’ che nella seconda metà dell’ottocento lavorò in ferrovia sull’itinerario di Santa Fé. Questa versione fu registrata nel 1928 da ‘Harry Mac’ McClintock la cui interpretazione è retta per tutte le sei strofe da una tensione ritmica straordinaria basata solo su sfumature canore. Il testo narra la storia del capo-manutenzione Jerry O’Sullivan: un uomo che “… per vent’anni… lavorò sui binari” vestito con una giacca militare abbottonata fino al collo e diceva sempre “Jerry vai a oliare quel carrello”; un personaggio amante del suo lavoro che era molto ben voluto dai suoi subalterni.

La terza canzone, The Little Red Caboose Behind The Train, descrive molto bene il lavoro svolto da quei ferrovieri che viaggiavano sui convogli e facevano in modo che tutto il treno fosse a posto. Il vagone in cui tenevano gli attrezzi, in cui mangiavano e nel quale si ritrovavano come se fossero a casa era appunto quella ‘piccola cabina rossa in fondo al treno’. Solo negli USA il termine ‘caboose’ sta per ‘vagone del personale viaggiante’ e deriva dal termine nautico ‘cambusa’.

Come spesso accade nella tradizione popolare anche questa ballata è in realtà una parodia (di una canzone scritta nella seconda metà dell’ottocento da un certo William Shakespeare Hays); l’originale era intitolata The Little Old Cabin In The Lane, ma entrando a far parte della tradizione orale venne poi modificata e adattata alle esigenze di un uomo che molto probabilmente lavorava in ferrovia e cantava.
Questa versione fu registrata dalla Pickard Family nel 1929.

I disastri ferroviari
La ferrovia USA ebbe un’evoluzione intensa e i chilometri di strada ferrata si moltiplicarono in poco tempo raggiungendo e superando di gran lunga tutti i sistemi ferroviari del vecchio continente. La ‘fretta’ americana però ebbe anche dei risvolti negativi: i binari venivano fissati in modo imperfetto e le prime locomotive, provenienti dall’Inghilterra, non erano adatte all’irregolarità del fondo stradale; la conseguenza erano i deragliamenti.
A risolvere questo problema fu l’inventore Septimus Norris, diventato poi anche costruttore di locomotive: sostituì uno degli assi delle ruote delle vecchie locomotive con un carrello a due assi accoppiati che fosse in grado di ovviare alla discontinuità e al dislivello delle strade ferrate.

Il secondo problema era rappresentato dalla tipologia geografica degli Stati Uniti: le linee, spesso lunghissime, attraversavano regioni impervie costeggiando rocce, superando fiumi su ponti di legno giganteschi e affrontando le bufere di neve in montagna e quelle di sabbia nel deserto.

Il problema questa volta era naturale e i disastri si potevano evitare solo con un adeguato servizio di manutenzione su tutta la linea. Ma l’organizzazione di una così vasta rete ferroviaria non poteva che arrivare in ritardo mentre i disastri avvenivano puntualmente anche per un altro fattore organizzativo: l’orario e la segnaletica.

Per quanto riguarda l’orario il sistema ferroviario USA fu il primo a sentirne l’esigenza proprio per evitare le sovrapposizioni di convogli nello stesso periodo di tempo anche perché, dato che le prime linee erano ad un solo binario, una coincidenza nell’orario si traduceva in uno scontro frontale. Anche l’organizzazione della segnaletica era indispensabile ad un sistema ferroviario moderno e tanto più per quello USA dell’ottocento che dava l’impressione di essere un bambino cresciuto troppo in fretta senza avere la capacità di camminare da solo.

La sensibilità popolare diede spazio a molte canzoni in cui sono narrati disastri ferroviari ed è curioso come le ballate più famose si riferiscano soprattutto ad incidenti con poche vittime, a volte solo il macchinista, come è il caso di Engine 143. Ciò si spiega col dato di fatto che la musica del popolo non è la musica della massa e che quindi l’individuo esce sempre dall’anonimato indefinito. Sono le comunicazioni di massa che invece rendono l’informazione di un incidente in due modi opposti, ma equivalenti: il primo è quello grossolano e distaccato basato su dati e notizie generalizzanti; il secondo è particolareggiato e coinvolgente a tal punto da narcotizzare l’utente che si trova a essere identificato nella tragedia. Quello che invece permettono queste ballate sui disastri è il rapporto tra chi canta e chi ascolta, un rapporto che, grazie all’interpretazione del cantante, alle melodie orecchiabili e al contenuto del testo, chiarisce che cosa è realmente accaduto senza generalizzazione né identificazione, ma lascia spazio alla discussione.

Engine 143 (o The Wreck On The C&O) è una ballata sul disastro che accadde al ‘Number Four’ della linea Chesapeake & Ohio in West Virginia il 23 ottobre 1890. La causa dell’incidente fu una frana che ostruì i binari e contro la quale la locomotiva, chiamata anche FFV (Fast Flying Vestibule), si andò a sfracellare: era un treno passeggeri e il macchinista riuscì a rallentare evitando il massacro, ma la sua scrupolosità gli costò la vita; solo il fuochista subì delle leggere ustioni. La versione da noi scelta fu registrata dalla Carter Family nel 1929 (4) e ha la particolarità di essere in 6/8 al contrario delle altre versioni che usano quasi sempre il 4/4.

Il ‘Numero 97’ era invece un postale-veloce della Southern Railway; il 27 settembre 1903 giunse a Monroe in Virginia con circa sessanta minuti di ritardo. Qui salì il nuovo macchinista di nome Joseph A. Broady, soprannominato ‘Steve’. Broady era nuovo della linea e non conosceva ancora bene il ‘Vecchio 97’; nella ballata The Wreck Of The Southern Old 97 si racconta che gli dissero di recuperare il ritardo e così il suo ultimo viaggio lo fece andando troppo veloce in discesa e deragliando all’uscita di una curva. La versione è quella con Ernest V. ‘Pop’ Stoneman (voce, armonica a bocca e chitarra), Kahle Brewer (violino) e Bolen Frost (banjo) incisa nel 1927 (5).

The Wreck Of The Virginian No. 3 narra invece la storia di uno scontro frontale di due treni della Virginia Railway: due persone rimasero uccise (il macchinista E.G. Aldrich detto ‘Dad’ e il fuochista Frank O’Neal) e ventinove ferite.

La canzone fu scritta di getto e incisa, subito dopo l’incidente (24 maggio 1927), da Blind Alfred Reed (6) che si basò sulle informazioni che aveva ascoltato alla radio e su quelle che gli aveva letto la moglie sul giornale. Il disco, non molto dopo la pubblicazione da parte della Victor, fu tolto dal catalogo su richiesta della Virginia Railway. Interessante nel testo soprattutto il fatto che Reed sottolinei l’innocenza di Dad e Frank; molto bella anche l’interpretazione realizzata in puro stile old time con voce e unisono di violino.

Il discorso cambia se si considera invece un’altra canzone come On A Cold Winter’s Night dove si parla sempre di un disastro ma questa volta immaginario: si tratta infatti di una composizione scritta da Carson J. Robison (autore attivissimo dagli anni Venti agli anni Quaranta nell’ambiente di Tin Pan Alley) sulla scia del successo avuto dal cantante Vernon Dalhart con la canzone Wreck Of Old 97. Un’operazione commerciale dunque dal contenuto strappalacrime, ma ricca ovviamente di serietà professionale specialmente nella costruzione formale.
La registrazione da noi ascoltata fu realizzata dai gruppo dei J.E. Mainer’s Mountaineers nel 1936 (7).

Il mezzo di trasporto
La West Madison Street è, a Chicago, la strada dove vivono i barboni, i vagabondi, i giocatori d’azzardo. In ogni città dell’ovest c’è una via con queste caratteristiche ed è chiamata dai vagabondi ‘the skid road’.
Chicago naturalmente ha la strada più famosa in quanto è il nodo ferroviario più grosso degli USA: da lì partono più di quaranta strade ferrate. Sui treni dunque, soprattutto quelli merci, i vagabondi preferivano viaggiare, senza pagare il biglietto chiaramente e, in un certo senso, facevano parte del mondo della ferrovia a tal punto da usare un proprio linguaggio e chiamarsi loro stessi con tre appellativi diversi: hobo, tramp e bum.

Gli hoboes nacquero praticamente assieme alla ferrovia USA e negli anni ’90 sembra che fossero già 60.000. Nel 1921 più di 20.000 persone indesiderabili furono allontanate nel mese di ottobre dai treni e le proprietà della compagnia Southern Pacific. Sembra che i banditi con le loro rapine non furono mai così costosi alla ferrovia come i tramps e i bums: non per i furti, ma per i danni ai treni e alle merci. Ma d’altra parte non bisogna sottovalutare la grossa influenza che ebbero proprio le grandi compagnie ferroviarie per la produzione della disoccupazione: come è noto la Union Pacific e la Central Pacific o meglio, gli azionisti di queste due compagnie, erano degli speculatori terrieri che acquistarono a poco prezzo dal governo americano immensi territori al di là del Mississippi e la linea ferrata avrebbe costituito il mezzo per valorizzarli.

Dopo il 10 maggio 1869 la Union Pacific e la Central Pacific iniziarono una vasta campagna pubblicitaria per richiamare nell’ovest il maggior numero di coltivatori. La prateria fu divisa in lotti e venduta ai coloni provenienti da tutto il mondo, non solo dall’est degli USA: fu un affare colossale. Spesso tuttavia le povere famiglie di contadini si dimostrarono incapaci di lottare da sole contro le ostilità della natura e si ridussero alla fame. A questo punto le compagnie ferroviarie fecero il loro secondo affare: ricomprarono a prezzo minimo la stessa terra che avevano venduto, con il vantaggio che questa non era più vergine, come quando l’avevano comprata al governo americano, ma lavorata e già produttiva e la coltivarono su scala industriale. Con i mezzi offerti dalla tecnica moderna la prateria diventò un’immensa distesa di grano i cui enormi proventi vennero divisi fra pochissime persone e le cui ripercussioni si fecero sentire ben presto anche sul mercato europeo.

Tutto ciò provocò anche disorientamento e disoccupazione e, in ultima analisi, fu dunque la stessa ferrovia a creare, come effetto collaterale non desiderato, l’hobo. L’hobo viaggiava sul tetto dei carri merci, ma anche, quando questi erano vuoti, dentro o sulla pensilina, fra i respingenti di due vagoni o infine sotto il carro, appeso alla meno peggio.

I ‘railroad bulls’, cioè gli addetti all’ordine nella ferrovia, avevano inventato dei metodi anche crudeli per buttare giù gli hoboes dal treno in corsa, e a terra d’altra parte, era molto facile che li prendessero a pugni e calci o li picchiassero col manganello. Per difenderli l’IWW (Industriai Workers of the World) aveva ideato la ‘Little Red Card’ (1906-1923) che dimostrava, per chi la possedeva, l’appartenenza al sindacato dei lavoratori, ma i bulls spesso non ne tenevano minimamente conto e la stracciavano.

La popolazione dei hoboes aumentò negli anni della Depressione parallelamente all’aumento di disoccupazione: negli anni ’30 sembra che fossero più di un milione e una buona percentuale donne. Indubbiamente gli hoboes contribuirono a creare una cultura non solo per il modo in cui vivevano, ma anche per la lingua che usavano e naturalmente anche per le canzoni che componevano. Le tracce degli hoboes si perdono nel 1940 quando il loro numero decresce sensibilmente: è uno degli effetti dell’età della motorizzazione.

Railroadin’ & Gamblin’ (1938) può essere un esempio di come era la vita di chi viaggiava (in ferrovia) e magari giocava (d’azzardo). Uncle Dave Macon è l’autore e l’esecutore (voce e banjo) di questo brano (8) e anche da questa registrazione traspare lo stile ‘telegrafico’ del testo e la grinta dello strumento. Macon ha uno stile molto personale nel suonare il banjo e, anche se in questa canzone non si nota, usa sia il ‘frailing down-picking’ che un ‘three-finger’ poco ortodosso. Molto interessante in questo brano la complessità formale della struttura e la violazione sistematica di una facile simmetria.

Richard Daniel Burnett (voce e chitarra) e Leonard Rutherford (violino e voce) erano originari di Monticello (Kentucky). Nel loro repertorio si contano diverse canzoni hobo due delle quali sono: Little Stream Of Whiskey (1926) e The Reckless Hobo (1927).

Per quanto riguarda la prima per le sue origini dobbiamo risalire fino alla prima metà del XIX secolo, alla poesia Bingen On The Rhine della poetessa inglese Lady Caroline Norton. Il lungo componimento narra le ultime parole di un soldato morente. In seguito la poesia fu messa in musica da Judson I. Hutchinson del New Hampshire e, avendo riscontrato immediatamente l’interesse popolare, diventò presto modello per molte parodie. Little Stream Of Whiskey (9) dunque, meglio conosciuta come The Dying Hobo, narra le ultime parole che un hobo morente rivolge al suo amico.

Anche The Reckless Hobo (10) ha origini inglesi e per la precisione deriva da una ballata intitolata Standing On The Platform, con il sottotitolo Waiting For A Train, che narra di un viaggiatore che incontra una ragazza. Molto interessante l’interpretazione di Burnett e Rutherford che per questo brano usano ingredienti molto ancorati alla tradizione old time: la scelta dei due strumenti più arcaici (banjo e violino), l’unisono del violino con la voce principale, il controcanto presente in tutta la ballata, l’assenza di qualsiasi assolo strumentale, l’imitazione del treno in più punti.

Tom Darby (voce e chitarra) e Jimmie Tarlton (voce e chitarra slide) sono un’altra coppia che fece una grossa carriera discografica concentrata tra il 1927 e il 1933. Tarlton attinse molto del suo repertorio dalla sua esperienza di hobo negli anni ’10 e ’20. Un brano di questi si intitola The Hobo Tramp (1928) (11) ed è particolarmente interessante perché si può considerare come facente parte della seconda generazione di parodie derivate dalla già citata capostipite The Little Old Cabin In The Lane.

Milwaukee Blues (1930) (12), cantata da Charlie Poole (voce e banjo) con i suoi North Carolina Ramblers è un altra canzone che parla di un vecchio hobo (Bill Jones) ed è considerata una parodia della più conosciuta ballata Casey Jones.

I simboli del treno
La ferrovia si è imposta negli USA nello spazio di pochi decenni e il popolo nordamericano ha dovuto subire in quegli anni un adattamento forzato rispetto alla calma con cui le linee ferroviarie europee furono installate. Tutto il popolo nordamericano si trovò improvvisamente a essere coinvolto sotto ogni punto di vista dal nuovo mezzo di trasporto e da tutto ciò che ad esso era legato. E’ facile dunque capire perché proprio negli Stati Uniti si siano venuti a creare i presupposti per una così vasta tradizione popolare che ha per oggetto il treno.
Parte di questo repertorio ferroviario presenta il treno come simbolo ed è senz’altro una delle conseguenze logiche di questo processo di adattamento che vede la creatività popolare pronta a usare anche l’immagine del treno per esprimere tematiche a lei care. Il treno è un ‘cavallo d’acciaio’, selvaggio e difficile da domare; il suo funzionamento è quel tanto misterioso e incredibile da suscitare un senso di paura e ad esso spesso vengono attribuiti grossi poteri che in realtà non ha.

E’ il caso di The Train That Carried The Girl From Town (13), registrata nel 1927 da Frank Hutchison (voce e chitarra slide), dove il personaggio della canzone odia “il treno che ha portato via dalla città” la sua donna; e il suo odio non si ferma al treno, ma si rivolge al macchinista ed al fuochista ai quali augura una brutta fine. E’ un modo come un altro di dire “ti amo” alla propria donna; il protagonista infatti comunica che se la sua donna se n’è andata è per cause esterne alla coppia (forse per lavoro) e quindi è giusto scaricare la propria rabbia su qualcosa di altrettanto estraneo come il treno e il suo sconosciuto macchinista. Si tratta di una canzone di sapore blues anche se non è un vero e proprio blues; Hutchison l’aveva imparata da un uomo di colore ed il suo stile chitarristico si rifà in parte alla cultura afro-americana.

In New River Train (14) invece a prendere il treno è lui, ma è sempre il treno che lo “ha portato qui e che presto” lo “porterà via” come se fosse sempre il treno a comandare. In realtà anche qui la coppia avverte una crisi che dipende da cause esterne (forse lui è pendolare) e lui continua a ripetere che il treno sta per partire comunicando così il desiderio di rimanere. La versione fu incisa nel 1929 da Ernest V. Stoneman ma ne esistono molte altre che però elaborano la serie dei numeri legata al Darling You Can’t Love Two fino ad arrivare a dieci (cf. Lillian Short nell’album AFS 5327 della Library of Congress).

Altri esempi che usano il treno come simbolo sono Little Black Train (15) e When The Train Comes Along (16), due brani di chiara derivazione spiritual che contengono il treno in veste ‘sacra’.

Little Black Train (1935), cantata con efficaci controcanti dai tre della famosa Carter Family è “l’oscuro treno della morte”, è piccolo, ha la “locomotiva ed un minuscolo bagagliaio”, ma quando si sente il suo fischio per qualcuno è giunta la fine e poi scompare nella notte.

In When The Train Comes Along (1934), cantata dal vecchio Uncle Dave Macon, questa volta accompagnato dai fratelli McGee, la scena apocalittica della morte è ormai passata e dimenticata mentre la stazione diventa il luogo di raduno nel giorno del Giudizio Universale quando apparirà anche il Cristo e arriverà il treno che porterà le anime in pace per sempre.

Il treno come stimolo per la creatività strumentale
Se si osserva il treno ascoltando i suoni che produce è possibile elencarne una serie notevole. Ciò che per prima salta all’orecchio è senz’altro la ricchezza timbrica di questa serie a partire dal fischio della locomotiva per passare ai freni, al rumore delle ruote sui binari, sugli scambi, nelle gallerie, sui ponti di legno (ora di metallo), nelle curve strette e così via.
Inoltre questi timbri sono organizzati a loro volta secondo un’altrettanto ricca gamma ritmica incominciando dal treno in partenza (specie se, come ai tempi delle prime incisioni, la locomotiva è a vapore) o in arrivo, in salita o in discesa, per passare poi ovviamente al ritmo dato dalla percussione delle ruote sulle giunture dei binari che, necessariamente irregolare, può adattarsi come base d’accompagnamento di qualsiasi canzone. In sostanza il treno e in genere l’ambiente sonoro della ferrovia sono una fonte altamente stimolante per la creatività di un musicista popolare.

Negli USA la ferrovia ha avuto una particolare importanza storica, a livello popolare è entrata a far parte della tradizione orale perché faceva già parte della vita quotidiana; riuscire ad imitare il suo suono è un po’ come dimostrare a sé stessi la propria superiorità sul mezzo di trasporto.

In effetti viene in mente per associazione la capacità di imitazione del verso e dei gesti degli animali da parte dei popoli cacciatori come i pellerossa; il cacciatore usava il richiamo in due momenti: quello della caccia vera e propria e quello rituale per propiziarsi la vittoria sulla preda. L’uomo moderno, quello della società capitalista (la ferrovia segna il secondo momento della rivoluzione industriale), non ha più bisogno di riti legati alla natura, la sua sopravvivenza dipende dalla sua capacità di controllo sui mezzi di comunicazione.

La ferrovia americana segnò la fine del bisonte, il bisonte era tutto per il popolo cacciatore pellerossa, la ferrovia permise agli USA di entrare a far parte delle potenze mondiali, il bisonte fu sterminato dai bianchi, i pellerossa morirono perché non seppero adattarsi al mondo capitalista: non seppero sostituire il bisonte con la locomotiva. Il treno, come il bisonte, è quella ‘divinità’ ambivalente cha da una parte è amata perché dà la sopravvivenza e dall’altra è temuta perché pericolosa e indifferente (“… hate that train carried my girl from town”); l’unico modo per controllare tale ‘divinità’ è osservarla, conoscerla e riuscire a imitarla in modo da esorcizzarne il potere negativo.

Ci ha suggerito questa introduzione soprattutto l’ascolto di C. & O. Excursion Train (1927) (17) così impressionante per la richezza dei particolari e delle sfumature. Infatti si tratta di una bella improvvisazione per sola armonica a bocca nella quale si può ascoltare quanto Frank Hutchison abbia raccolto dal linguaggio blues afro-americano. L’improvvisazione esordisce con un’introduzione che risulta l’unica frase melodica che rinuncia all’imitazione dei suoni del treno. Hutchison anticipa ogni improvvisazione con la spiegazione verbale di ciò che il treno sta per fare, così, dopo l’introduzione, ecco la locomotiva che incomincia a sbuffare, poi inizia a muoversi, ed ecco il fischio (fatto con la voce in falsetto sorretta dalla nota base dell’armonica) e il convoglio parte. La partenza è in accelerazione e Hutchison la rende molto bene usando in successione tre ritmi diversi. Tutta l’improvvisazione è basata su una ricchissima variazione ritmica che a tratti contrasta con il fischio: è la pulsazione delle ruote sulle giunture dei binari che si contrappone al fluire sciolto del convoglio in corsa. A questo punto il treno entra nel Big Bend Tunnel e questo passo è eseguito molto probabilmente chiudendo le mani a coppa intorno all’armonica rendendo questa sfumatura la più straordinariamente realistica di tutta l’improvvisazione. Il treno è poi alle prese con una salita in montagna e infine arriva in stazione.

Un secondo brano che imita il treno è il famosissimo Orange Blossom Special (18); la registrazione scelta fu eseguita nel 1939 dai fratelli Rouse di cui Ervin T. (violinista) è anche il compositore di questo moderno fiddle-tune destinato a diventare uno dei brani classici più suonati dai violinisti bluegrass. In questa versione appaiono anche due strofe cantate, oltre all’assolo di violino, che invece scompariranno nelle interpretazioni bluegrass volte più a potenziare i virtuosismi del violino anche in quella parte che qui è semplicemente una introduzione.

Il brano inizia con una imitazione della partenza del treno eseguita in accelerando dal violino; una volta raggiunta la velocità desiderata entra la chitarra accompagnamento e il violino esegue un’imitazione del fischio del treno; appare poi la prima strofa cantata in controcanto dai due fratelli, poi torna il fischio e, inaspettato, il primo assolo di violino strutturato in due parti di cui la prima è in stile ‘shuffle’ e la seconda in stile melodico. I Rouse eseguono poi la seconda strofa e Ervin T. conclude il brano ripetendo la prima parte dell’assolo eseguita però con l’archetto saltellante.

E’ molto interessante sottolineare la differenza abissale che c’è fra C. & O. Excursion Train e Orange Blossom Special: la concezione melodica del primo in confronto a quella armonica del secondo; la concretezza timbrica dell’imitazione di Hutchison rispetto all’astrazione melodica della imitazione dei Rouse Brothers.

Indubbiamente i due stili rappresentano due modi di fare musica così lontani fra loro che sembra impossibile che siano passati appena dodici anni fra la prima registrazione e la seconda. Hutchison rappresenta lo sguardo al passato anche se in realtà usa uno strumento relativamente moderno, mentre i fratelli Rouse rappresentano lo sguardo al futuro anche se lo strumento prescelto per imitare il treno è l’antico violino.

Ciò che accomuna le due registrazioni è la stessa radice culturale che traspare nonostante tutto in due particolari: nell’aspetto ritmico, ricercato in ambedue i brani con particolare riguardo al ritmo caratteristico del treno (identico non a caso al galoppo di un cavallo) presente in entrambi; nell’aspetto timbrico, molto più marcato in C. & O. Excursion Train, ma presente anche in Orante Blossom Special con l’uso del ‘saltellato’ da una parte e dell’archetto vicino al ponticello dall’altra.

Discografia ragionata:
(1) County 545 (USA), Uncle Dave Macon, Go Long Mule
(2) Rounder 1009 (USA), Harry McClintock, Hallelujah! I’m A Bum
(3) Vetco 103 (USA), A.A.V.V., Songs Of The Railroad
(4) RCA CAL-2473 (USA), Carter Family, Lonesome Pine Special
(5) Library of Congress LBC-9 (USA), A.A.V.V., Songs Of Death & Tragedy
(6) RCA NL-45106 (I), A.A.V.V., Old Time Music
(7) RCA LPV-507 (USA), A.A.V.V., Smoky Mountain Ballads
(8) County 541 (USA), A.A.V.V., Nashville: Early String Bands, Vol.I
(9) Rounder 1004 (USA), Burnett & Rutherford, Ramblin’ Reckless Hobo
(10) Rounder 1004 (USA), Burnett & Rutherford, Ramblin’ Reckless Hobo
(11) Folk Variety 12504 (G), Darby & Tarlton, New Birmingham Jail
(12) County 506 (USA), Charlie Poole, The Legend Of Charlie Poole
(13) Rounder 1007 (USA), Frank Hutchison, The Train That Carried My Girl From Town
(14) County 533 (USA), A.A.V.V., Round The Heart Of Old Galax, 1
(15) Folkways RF-9 (USA), A.A.V.V., Country Gospel Songs
(16) Folkways RF-51 (USA), Uncle Dave Macon, Uncle Dave Macon
(17) Rounder 1007 (USA), Frank Hutchison, The Train That Carried My Girl From Town
(18) RCA LPV-532 (USA), A.A.V.V., The Railroad In Folksong

Marco Fiorini, Hi, Folks! n. 9, 1984

Link amici

Comfort Festival 2024