«Pronto? Ciao Angelo, sono Giancarlo Trenti, e avrei da proporti delle date. Siccome dovresti accompagnare Louisiana Red, trova un batterista che vada bene e fammi sapere». Avevo già fatto qualcosa con Louisiana Red, in Sardegna e dalle parti di Milano, ed in un concerto aveva voluto usare la mia vecchia Gibson, bella storia! Ora si trattava di stargli accanto per alcuni giorni sul palco, ma soprattutto condividere con lui giornate di vita quotidiana…on the road, come si suol dire, ed il tutto sarà una buona palestra di vita blues, anche per il sottoscritto, nonostante sia già navigato a sufficienza! Il batterista e amico Angelo Fiombo era della partita. Qualche mese dopo eravamo fuori dall’hotel, dove lo avremmo incontrato insieme alla moglie Dora, chiedendoci «Si ricorderà di noi?». Ma in fondo che importava, l’importante era esserci. Noi eravamo pronti! Eccolo uscire, elegante, fresco e riposato, avvicinarsi al nostro van e «Hey Angelo» …(per la miseria, si ricordava eccome!) e partire intonando con un «ahu ahu ahuuu» il riff vocale del Lupo. A fatica, (problemi di deambulazione), ma con calore e sincero sentimento ci viene incontro e stringe la mano ad entrambi.
Dopo tutti gli anni trascorsi in giro per il mondo, dopo i rifiuti, le umiliazioni di ogni genere, quando agli inizi della sua carriera le discriminazioni razziali erano forti, insomma, dopo tutta una vita vissuta intensamente, può un uomo afroamericano provare sincero affetto fraterno, per uno sconosciuto individuo e musicante bianco? La risposta è sì! Lui ha sempre voluto bene a tutti coloro con i quali collaborava, famosi e non. Ha sempre amato l’Italia, Milano (ebbi l’occasione di vederlo nel 1980 al Palalido, aprire un concerto di Eric Burdon e poi caricarselo sulle spalle…) e Roma, città tanto amata, con tanti amici…musicisti. Anche qui lo vidi un inverno di tanto tempo fa, ma non mi piacque molto, perché i musicisti che lo accompagnavano non davano molto spazio al bluesman, se non per il canto…non erano affatto accompagnatori di Louisiana, ma usavano la sua fama e la sua presenza come pretesto, per cazzeggi chitarrosi, blues di plastica vuoto (questa è un buona abitudine…italiana e non solo, amanti e appassionati di blues a parole e senza rispetto, …ma queste sono altre storie).
I brevi giorni accanto a lui mi sono serviti a capire, e ringrazio per l’opportunità avuta, e conoscere quanto importante e fondamentale sia la condivisione interiore dell’uomo più che del musicista, di come non conta quanto tu sia bravo ed eclettico, ma quanto sincero è l’approccio ad una musica e ad una esperienza umana, quasi mistica con un individuo dal quale hai solo da imparare. Il viaggio in terra elvetica avrebbe ridimensionato la mia presunzione di musicante blues in maniera efficace! Durante il viaggio che ci avrebbe portato ai nostri prossimi concerti, le storie e gli aneddoti di Mister Blues ci facevano compagnia, con un po’ di fatica, mi ritrovai a parlare in afroamericano, linguaggio universale. Capivo tutto, o quasi, il CD snocciolava brani della tradizione, di artisti ormai defunti, non sto ad elencarne i nomi, ma con quasi tutti loro, Louisiana aveva condiviso momenti di fraterna amicizia: «Ci si aiutava uno con l’altro, erano tempi duri. In alcuni posti noi afroamericani non potevamo entrare, in altri non ci servivano da bere, in altri ancora ci minacciavano. Mi ricordo il grande Muddy, quando passavo da Chicago andavo a trovarlo, e la porta di casa sua era sempre aperta…per tutti, mi ospitava e mi consigliava, a lui ho voluto tanto bene, come a un padre! Mi diceva tutte le volte ‘Suona quello che senti, non quello che la gente vuole, loro capiranno’». Insomma raccontava pezzi di vita a degli sconosciuti, come fossimo amici da sempre, senza supponenza o presunzione, lui voleva semplicemente essere ascoltato e capito. Di quello che avremmo fatto la sera stessa, neanche un accenno. La scaletta concerto? Gli accordi? Le tonalita? Solo i suoi racconti, la stanchezza per il viaggio, la vita!
Il primo show, nella sala concerti di un ristorante di cui non ricordo il nome, fu l’inizio di questo viaggio nelle suggestioni afroamericane. Louisiana carico e voglioso, era la sua serata, prima di lui, una band locale ed il bravo Kent DuChaine, avrebbero preparato il terreno. Segni d’insofferenza per l’attesa si intuivano sul suo viso, ma finalmente arrivò il momento. Lo rivedo passare attraverso la folla in attesa, lentamente, a fatica, piano piano, ma con piglio orgoglioso, sicuro di sé, e una volta raggiunto il palco, imbracciare la chitarra, …la sua chitarra…, uno sguardo alla sua sinistra verso di me, poche parole, anzi una sola: «Ready?». «Yes, Sir». Quell’accordo di MI+ (accordo per eccellenza del blues), ma un MI+ che solo loro possono e sanno fare. Non una tonalità, ma un oceano sonoro, carico di vita, ipnotico e devastante, unico, e poi la voce, un grido di rivalsa e consapevolezza. La gente giù in sala aveva presto dimenticato tutto l’ascoltato prima, ora era lui, e solo lui, il catalizzatore delle anime peccatrici! Set breve ma intenso, manco ricordo cosa suonammo (poco importa), alla fine tutti contenti e provati. Una catarsi collettiva. Qui sta la differenza nel suonare il blues e nel sentire il blues, Louisiana Red conosce il segreto. Un’infinità di CD venduti, fotografie, abbracci, autografi, ed io e il mio socio in disparte, a goderci la felicita di quell’uomo stanco e fiero. Prima di salire in camera, un cenno a noi «…Angelo good job, grazie, grazie». Grazie a te Bluesman!
Il giorno seguente via verso Rapperswil, altra lezione. Come suppongo avrete capito, questo mio breve scritto, (in maniera poco ortodossa e colmo di lacune grammaticali), per il quale ringrazio infinitamente la redazione di questa rivista nell’avermi concesso questa opportunità, vuole essere semplicemente un ricordo, o meglio un piccolo segno d‘affetto nei confronti di Iverson Minter, a.k.a. Louisiana Red. Il giorno seguente, Louisiana se la prese comoda. Soddisfatto della serata precedente, la mattina ci trovammo a fare colazione insieme, «Hey Angelo, questa sera voglio suonare qualche pezzo con la tua chitarra», «Certo mister Red, a noi piacerebbe che tu facessi qualche pezzo da solo, ad esempio Back To My Roots Again …», «Wow Angelo, ti ricordi questo pezzo? Yes babe, è un po’ che non lo suono, sai sono tante le canzoni che ho scritto, che non le ricordo neanche più. Ma qualcosa farò, magari qualche rock&roll! Voglio vedere la gente ballare, altrimenti che ci stiamo a fare?» …E fu rock&roll al Blue Front Cafe in riva al lago, e non solo, perché a metà concerto ci fu un assolo con la mia chitarra, The Day I Met Muddy Waters, ovvero del power Delta Blues, e vi lascio immaginare quale meraviglia e la malinconia! A fine concerto, in un tripudio adrenalinico fuori dal comune, la vendita del suo ultimo CD superava il centinaio, robetta!!
A fatica dovemmo tenerlo tranquillo, in quanto il ragazzone avrebbe suonato ancora per un bel po’, di certo non era uno di quelli che guardano continuamente l’orologio durante il concerto, io li chiamo cottimisti della musica. Louisiana era, anzi è, uno vero e puro, come l’acqua fangosa del Mississippi. Tornando in hotel dopo lo show, aveva ancora la forza e soprattutto il desiderio di celebrare la sua felicità, intonando a gran voce una Tommy Johnson Song, con tanto di yodel. L’indomani ci salutammo dandoci appuntamento a qualche settimana più avanti, per l’ultimo concerto insieme, perche per lui altri programmi, in quanto il suo tour prevedeva ancora qualche gig da solo. L’abbraccio che ci diede quel giorno era l’abbraccio fraterno, di una persona umile, «Good job ragazzi, alla prossima». L’ultimo gig insieme fu a Vallemaggia, sempre in terra elvetica. Terra fertile, anche per il blues, e lì avremmo aperto per una stella nascente del blues …!?? Niente prove, ma giunta l’ora si sale sul palco, uno sguardo di intesa, amplificatori al massimo volume e via. Louisiana Red sapeva e lo sapevamo anche noi, che avremmo dovuto spazzare via quello che sarebbe salito dopo di noi, questa è la legge del blues, nessuna pietà e nessun rispetto, sul palco, quello che arriva dopo, deve buttare l’orologio e buttare sangue! Red si sarebbe aspettato un po’ più di credito da parte del ragazzo con chitarra, star della serata, ma così non fu. «Ehy boy, se oggi sei qui a suonare, a farti applaudire e a guadagnare buoni soldini, lo devi anche a uno come Louisiana Red». Ma il blues ed il tempo sono entrambi galantuomini.
L’ultimo ricordo che ho di lui è a casa mia l’indomani del concerto, a poche ore dalla partenza da Malpensa. Era seduto in giardino accanto alla moglie, in attesa di un piatto di spaghetti al pomodoro, roba semplice, tra le mani la mia Armony, alla quale, cacciavite alla mano, diede una sistemata volante…«Angelo quando vieni a trovarmi porta questa chitarra, io l’ho vista in mano a Mississippi Fred McDowell, era febbraio o marzo del 1969, in una piccola città a nord di Londra, lui era un musicista bravo e serio. Anche James Son Thomas era un mio amico, e ricordo che quando andavo al Sud e passavo da Leland, Mississippi, ci si faceva un BBQ e si suonava insieme. Ci hanno anche fotografati, se vieni a trovarmi ne ho di cose da raccontare. Ora portami all’aereoporto. Ho voglia di tornare a casa. Grazie Angelo, alla prossima». Mr. Red è stato un onore per me starle accanto, non per quello che abbiamo suonato e per quello che ci siamo detti, ma per tutto quello che ho imparato dai suoi silenzi, dalla sua stanchezza e felicità, dalla sua fraterna e umile bontà. In giro per il mondo tutti le vogliono bene, e attendono l’ora di rivederla e riascoltare i suoi blues. Grazie. Alla prossima !!!
Angelo ‘Leadbelly’ Rossi, fonte Il Blues n. 141, 2017