Questa band sembra azzeccarle tutte, e con qualsiasi formazione: ancora non mi sono stufato di ascoltare il loro primo album, e già Lynn Morris e gruppo ci scodellano un nuovo prodotto che è almeno al livello del precedente.
Andato il giovane Ronnie McCoury, ormai in permanenza con la band di papà, e più che benvenuto è il suo ‘rimpiazzo’, il JMB David McLaughlin. Stabili nella formazione di questo album il buon Tom Adams al banjo e ovviamente, Marshall Wilborn al contrabbasso e Lynn Morris a chitarra e clawhammer banjo. Ospite sempre gradito Stuart ‘Stu Bob’ Duncan, col suo suono ineguagliabile che lo fa riconoscere alle prime tre note.
The Bramble And The Rose è una collezione fondamentale pacata di belle canzoni (salvo un paio di pezzi non proprio indispensabili per essere felici…), suonate e cantate con estrema competenza e costante buon gusto.
La ragazza, come ci ha già detto Peter Wernick, è notevolmente maturata come cantante, e qui ne abbiamo la prova in diverse occasioni: su Coat Of Many Colors, ad esempio, Lynn riesce ad inumidire i miei vecchi occhi come solo Dolly ed Emmylou sono mai riuscite a fare, e la sua notevole carica (‘soul’, vorrei dire) è in ogni momento perfetta per la miglior resa dei vari pezzi (a vantaggio, aggiungerei, di una voce bella ma non proprio personalissima).
La voce di Lynn si fonde bene con le voci maschili della band, sia come lead che come armonia alta quando il lead tocca al sig. Wilborn (che meriterebbe più riconoscimenti, dotato com’è di grinta, finezza e pacata intensità nel suo modo di cantare).
Dal punto di vista strumentale The Bramble And The Rose conferma l’idea maturata al primo album: virtuosismo, tanto e da parte di tutti, ma soprattutto costante e sapiente gioco di chiaroscuri e dinamiche contraddistinguono il suono della band. In particolare Tom Adams ci ricorda che il suo stile non è solo fatto di abile imitazione di Scruggs, e ci fa rendere conto che l’accusa a lui rivolta da alcuni supercritici di essere troppo ‘meccanico’ è del tutto infondata: ascoltate con quanto buon gusto, delicatezza e studio delle sfumature affronta pezzi non da ‘banjo’ come la title track o Coat Of Many Colors, per rendervi conto che la musicalità in generale è l’interesse di Adams, non il banjoismo a tutti i costi.
Lo stesso si può dire di McLaughlin, che aggiunge al suo incomparabile mandolino ‘Monroe style’ anche una grintosissima chitarra lead su Hey Porter, aiutando Mashall Wilborn a fare piazza pulita di chi non gradisce per principio un’ennesima versione del pezzo di Johnny Cash.
E della stessa Lynn Morris alla chitarra non si può dire che molto bene: tanti chitarristi che conosco avrebbero molto da guadagnare da un attento ascolto della ritmica della sua D-18 e dei rari ma sobriamente ‘giusti’ assoli.
Non credo che si debba aggiungere altro a queste lodi, convinte anche se non troppo sperticate (i vecchi rompiballe cresciuti al suono di Hot Rize, NGR e simili non si smentiscono mai..), per convincere chiunque della validità e, soprattutto, dell’attualità dello stile Lynn Morris Band: ci sono tutti gli ingredienti ‘tecnici’ per il successo di una bluegrass band, più quel tanto di magico e poco spiegabile che, ovviamente, dovrete scoprire voi…Altamente raccomandato.
Rounder CD 0288 (Bluegrass Tradizionale, 1992)
Silvio Ferretti, fonte Country Store n. 14, 1992
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