Mark Erelli, 27 anni di Boston, con Hillbilly Pilgrim è arrivato al quinto capitolo della sua carriera discografica e, grazie all’imprimatur di Dave Alvin, che non perde occasione per consacrarne le virtù, sembra finalmente destinato ad uscire da quel pericoloso anonimato che avrebbe rischiato di annichilirne le ambizioni in un ovattato silenzio, fatto di critiche tiepide e di applausi mancati.
Sarebbe stato un vero peccato, poiché Mark Erelli, al di là dell’indubbio talento artistico, ha dimostrato di avere uno spiccato gusto della ricerca storica ed una cultura musicale di tutto rispetto, qualità che, in ciascuno dei suoi precdenti albums, hanno fatto da fonte d’ispirazione ad una vena compositiva moderna ma ugualmente rispettosa delle tradizioni americane.
Country, folk, bluegrass ed hillibilly costituiscono il tramite per il quale Erelli è andato ad approfondire temi socio culturali tipici della storia americana ma, fortunatamente, ha avuto l’intelligenza ed il merito di non esprimere i risultati di questa ricerca attraverso canzoni dallo script datato, magari dejàvù di grande spessore, ma ormai, tanto sentiti da apparire triti avanzi musicali.
L’atmosfera paesana intrinseca di bluegrass ed hillbilly, si è arricchita di spunti cantautorali importanti, uscendo da schemi rigidi, sia melodici che ritmici, mentre i temi legati al folklore, a loro volta, hanno assimilato una nuova ed intrigante influenza festosa, arricchendosi di un respiro ampio, meno solenne, ma più moderno ed adatto ad un pubblico che, purtroppo, dimostra spesso di avere l’handicap di un palato ruvido, ma che non può avere alcuna colpa nell’essere lontano troppi anni dalle fonti di una cultura musicale che, difficilmente, condivide.
E’ chiaro che il sound di Hillbilly Pilgrim non può che essere adeguato al processo di rinnovamento e Mark Erelli ha trovato in Frankie Blandino alla steel guitar e Rich Dubois al violino, due strumentisti in perfetta sintonia con le sue intenzioni di crossover, che utilizzano i due strumenti simbolo della tradizione arcaica americana in modo quasi rock oriented. Anche la sezione ritmica è integrata, Johnny Sciascia usa il contrabbasso elettrico, garantendo un sapore quasi jazzato al sound della band, mentre Lorne Entress sa come amalgamare elementi jazz e gusto dello swing in uno stile ricco di eleganza.
Pur senza arrivare ai risultati innovativi che hanno fatto del grande Dwight Yoakam un vero caposcuola della nuova scena country americana ed al quale paga un doveroso tributo di riconoscenza, Mark Erelli può certamente essere considerato uno dei newcomers più interessanti, capace di rappresentare la continuità, strizzando l’occhio al mercato con melodie piacevolmente intriganti, rispettando la tradizione senza inquinarne le atmosfere, grazie ad un prezioso abbinamento di gusto e cultura, incarnando con misura l’immagine moderna di cantautore e band leader, che deve contenere lo staripante potere del rock.
The Hillbilly Pilgrim rappresenta la summa, il traguardo del lavoro di questo cantautore che, nei precedenti albums, aveva mascherato il suo spirito storiografico-musicale dietro una più spiccata vena da cantautore, facendo solo trasparire le sue intenzioni.
Tutti gli 11 brani del CD portano la firma di Erelli e garantiscono al lavoro un perfetto equilibrio fatto di atmosfere pacate, ampio respiro compositivo e grande professionalità strumentale: un mix interessante che merita la nostra disponibilità ad aprire la porta ed il portafoglio ad un artista che non mancherà, in futuro, di ripagare la fiducia.
My Best Was Just Not Good Enough è forse il pezzo che, meglio di ogni altro, rappresenta le scelte del musicista, blues e country a braccetto a tempo di waltzer, mentre la finale Pilgrim Highway è una gemma acustica, con la tipica atmosfera di una riunione vespertina intono ad un falò, tra whisky e caffè bollente, con l’amica di sempre Kris Delmhorst che aggiunge uno splendido cammeo vocale.
Signature SIG 1281 (Singer Songwriter, 2004)
Claudio Garbari, fonte Out Of Time n. 44, 2004
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