Colpisce subito l’alto numero di ospiti illustri, chiamati a coronare di suoni perfetti quest’album: da Rob Ickes a Ronnie McCoury, Barbara Lamb, Sam Bush, John Cowan, J.D. Crowe, Don Rigsby, Mike Cleveland.
Però non facciamoci ingannare da questi nomi: non è un disco bluegrass, bensì una raccolta di belle canzoni di un bravo cantautore folk, Michael Johnathon.
Artista multiforme, folksinger, multistrumentista, conduttore radiofonico (il suo programma è trasmesso da 400 stazioni, per un totale di mezzo milione di ascolti la settimana) e scrittore, nasce vicino a New York ma si trasferisce presto in un paesino del Kentucky per trovare un ambiente più affine alle sue attitudini musicali.
Questo è il suo settimo disco, e tutti i pezzi sono legati da un filo continuo: la casa, la homestead nella quale vive ed alla quale è devoto.
Ad eccezione di un tradizionale, The MichaelB Rag, omaggio alla musica che respira lì in Kentucky, tutti i pezzi sono scritti dallo stesso Johnathon. Particolarmente belle, o forse più orecchiabili, sono l’iniziale Winter’s Eve dalla melodia autunnale e riflessiva, la title-track Homestead agreste quanto il titolo, America piena e vigorosa con la batteria che si fa largo a poco a poco ad accentuarne il ritmo, e poi l’intensa ballata Gambler’s Grave, anche se carina è Ayatolla McHussein, con un titolo esplicativo riguardo le sonorità che propone.
La sua voce è un po’ uniforme ed a volte piatta, ma adatta alle storie che ci racconta, alle atmosfere della sua fattoria, al viaggio musicale che ci propone.
Disco piacevole e tranquillo, non immediato ma che conquista poco per volta, da ascoltare dondolandosi su di una rocking chair, con il desiderio di approfondire la conoscenza di questo cantautore, di questo artista così intenso.
Poet Man 70012 (Folk, Singer Songwriter, 2003)
Claudio Pella, fonte Country Store n. 71, 2004