Johnny Cash

I vecchi fan di Johnny Cash, soprattutto i cosiddetti ‘rednecks’ (termine dispregiativo per indicare i contadini bianchi del sud degli States, da sempre il pubblico privilegiato della musica country) dopo il primo volume della serie prodotta da Rick Rubin a partire dal 1994, abbandonarono per sempre il loro amato Uomo in Nero. Ma da anni Nashville aveva girato le spalle a Cash. Le sue case discografiche storiche (Columbia per trent’anni e poi la Mercury) lo avevano già lasciato a spasso. Non c’era più posto per lui nel mondo dorato e patinato della ‘nuova’ musica country, quella degli astri emergenti à la Garth Brooks e Alan Jackson, quelli con il cappellone da cowboy sempre in testa e che avevano portato la country music di un tempo nel territorio del pop radiofonico, capace di fruttare loro milioni e milioni di copie vendute.

Ma Cash non era mai stato parte di ‘quella’ Nashville, e crediamo che all’anziano musicista sia potuto fregare poco meno di niente. Storica è rimasta la pagina pubblicitaria comprata dalla American Recordings su Billboard per festeggiare la vittoria di Cash ai Grammy nel ’96: “Si ringraziano il Nashville Music Establishment e le radio country per il loro supporto”. Mentre Cash sfodera il dito medio.

Fu così che Johnny Cash si imbatté nel grande stregone del nuovo rock, Rick Rubin. Unearthed racconta questa storia, quella di Johnny Cash e Rick Rubin, e lo fa con una marea di brani rimasti fino ad oggi nei cassetti, alcuni dei quali davvero travolgenti, ad esempio il duetto con Joe Strummer in Redemption Song. Attenzione: questo cofanetto non è la classica produzione postuma. Come dice Rick Rubin, il progetto era stato discusso con Cash, ed era praticamente pronto quando il musicista è improvvisamente scomparso lo scorso 12 settembre: “Lo avevo chiamato per dirgli che la prima stampa era pronta. Era davvero eccitato. Il giorno dopo è morto”. Prova ne è che l’elegante libro di 104 pagine, incluso nel boxset, contiene liner notes ad ogni canzone scritte appositamente da Johny.

Per molti è stato inaccettabile, durante questi anni, che Cash si sia messo a incidere brani di Trent Reznor, degli U2, di Nick Cave, ma questa scelta ha invece un senso profondo. Murder Love God si intitolava un bel cofanetto retrospettivo di Cash uscito qualche anno fa, cioè quello che è il contenuto stesso della sua musica. Andando a registrare brani come The Mercy Seat, Personal Jesus o Hurt, Cash non ha fatto altro che recuperare il contenuto profondo di quanto ha cantato per cinquant’anni, scoprendo artisti ‘giovani’ che stavano andando proprio nella sua direzione. Con questa operazione coraggiosa, è come se, all’interno della musica rock, un cerchio sia stato completato, e un testimone sia passato da una generazione a un’altra e quindi tornato indietro ancora una volta, a chi aveva lanciato il seme.

Con un suono essenzialmente acustico, scarno, inquietante, dove tutto il pathos e l’attenzione sono posti sulla ‘voce’, i dischi della serie American Recordings hanno posto in primo piano tutto questo. Il cofanetto è diviso a soggetti: il primo CD, intitolato Who’s Gonna Cry, contiene session risalenti al primo disco della serie. Spiccano, qui, una bellissima resa del tradizionale (uno dei suoi classici del passato) Long Black Veil, una piacevole If I Give My Soul (di Billy Joe Shaver), una splendida rilettura del tradizionale Bank Of The Ohio, The Caretaker (un brano autografo inciso già alla fine dei ‘50: la storia di un becchino…), una ottima Casey’s Last Ride, uno dei primissimi brani scritti da Kris Kristofferson. Piace anche la ripresa del suo classico Flesh And Blood, uno dei suoi brani ‘manifesto’. Ma piace ricordare Understand Your Man (uno dei suoi classici del primo periodo): in questa spoglia versione acustica risalta ancor di più la somiglianza con Don’t Think Twice di Bob Dylan.

Trouble In Mind si intitola invece il secondo CD: I‘m A Drifter, del bluesman Lowell Fulson è qui proposta solo voce e chitarra, come le precedenti: davvero convincente la performance che ne fa Cash. Pochahontas è, ovviamente, il brano di Neil Young (del canadese questo CD contiene anche una ripresa di Heart Of Gold, decisamente affascinante grazie alla interpretazione vocale che ne cambia totalmente l’atmosfera pur rimanendo musicalmente identica all’originale), dalle session di Unchained, il secondo volume della serie AR, quello che aveva l’accompagnamento strumentale più ricco, grazie alla presenza degli Heartbreakers di Tom Petty. Non sono un fan della canzone, ma, come sempre, Cash le regala qualcosa di più: rallentata, con inizio pianistico, leggero accompagnamento di archi, diventa una performance di alto livello drammatico.

Con Tom Petty, Cash duetta in The Running Kind, vecchio brano dell’amico Merle Haggard. Da segnalare, poi, Down The Line (inciso anche da Buddy Hollie), uno splendido rockabilly giocato sui toni bassi, con uno straordinario pianoforte honky tonk. Altri brani degni di nota sono Brown-Eyed Handsome Man (di Chuck Berry, con Carl Perkins), Devil’s Right Hand (di Steve Earle: solo voce e una robusta chitarra elettrica) e Like A Soldier (con Willie Nelson, un bellissimo duetto; era stata pubblicata già sul primo AR ma senza la parte di Nelson).

Il terzo CD (Redemption Songs) è quello più bizzarro, ma certamente la dimostrazione che il Johnny Cash dei suoi ultimi anni era in grado di maneggiare qualunque genere musicale con assoluta padronanza: A Singer Of Songs è un brano dei Whispers, gruppo funk dei primi ’70, che qui diventa quasi un lento gospel acustico.

Poi Redemptwn Song, naturalmente: si era favoleggiato di questo duetto Cash/Strummer sin da quando la versione del solo Joe era apparsa su Streetcore, che era già strepitosa. I due, qui uniti per sempre, adesso che entrambi sono da qualche altra parte, scaricano brividi ad ogni inflessione vocale: se questo brano non vincerà il Grammy come miglior performance vocale, cambierò lavoro…

E che dire di Father & Son, il celebre brano di Cat Stevens: qui Cash duetta con la stellina Fiona Apple su un tappeto di chitarre acustiche e un bel pianoforte. Se sembra un po’ troppo, anche al fan di Johnny, ci si riprende dallo ‘shock’ immediatamente con la superba Chattanooga Sugarbabe, un riadattamento del classico Shake Sugaree con tanto di banjo in primo piano: splendida.

Oppure con la drammatica Hard Times (un brano di Stephen Foster, compositore dell’800, quello che modellò anche Oh Stuanna). Ma tante sono, qui, le gemme: citiamo solo ancora You Are My Sunshine e naturalmente Cindy (antico tradizionale recentemente ripreso anche dai Chieftains), con Nick Cave, quasi l’incontro tra il padre e il figlio della tradizione gotica, con uno scintillante pianoforte honky tonk: superba.

Questi sono essenzialmente scarti dall’ultimo album della serie, The Man Comes Around.

Il quarto CD, My Mother’s Hymn Book, sin dal titolo chiarisce il contenuto: è il disco di gospel ‘nero’ (che si differenzia dal gospel ‘bianco’ per il collegamento diretto con il gospel dei tempi della schiavitù e per certe influenze dal blues e dal primo jazz) che Cash voleva pubblicare appena possibile. Sono brani di altissimo spessore, che, per di più, ascoltati oggi dopo la scomparsa di Cash, assumono un valore acora più alto, quasi il cantante si stesse preparando per l’ultimo viaggio. Ascoltare Where We’ll Never Grow Old come buona testimonianza, oppure la drammatica In The Garden.

Il quinto CD del boxset, come si sa, contiene una sorta di ‘best’ dei quattro dischi pubblicati ufficialmente. Ma non è finita qui. Rubin ha ancora nei cassetti un buon numero di performance: grazie a Internet siamo riusciti a venire in possesso di una dozzina di questi brani, tutti di grande valore e ne auspichiamo una celere pubblicazione.

Su tutti (e non si capisce proprio il perché dell’esclusione) I Witness A Crime con Billy Gibbons degli ZZ Top alla chitarra, sorta di classico ‘boom chicka boom’ solo voce e la chitarra elettrica di Gibbons. Stesso discorso per To Beat The Devil, uno dei brani migliori di Kris Kristofferson, Next Time I’m In Town, dal disco di Mark Knopfler con Chet Atkins, scritta dall’ex Dire Straits, il terrificante country blues di Go On Blues, già inciso da Cash nel ’76 e composto da Brownie McGhee.

Ma quello che resta, alla fine, dopo questo viaggio lunghissimo tra tradizione e nuovi autori, tra rock alternativo e rockabilly (insomma, attraverso l’America) è la ‘voce’. La ‘voce’ di Johnny Cash che svetta ed emoziona sopra tutto. Proprio come Frank Sinatra ed Elvis Presley, non ci sarà mai più un’altra voce così.

Paolo Vites, fonte JAM n. 99, 2003

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