Johnny Cash

E’ sempre arduo individuare nella carriera di artisti importanti, e con sulle spalle carriere ultradecennali, ‘il disco definitivo’. Beatles: Sgt. Peppers o il White Album? Bob Dylan: Higbway 61 o Blonde On Blonde? Nessuno, onestamente, è in grado di dare la risposta definitiva. I grandi artisti pop hanno lasciato traccia del loro genio anche, magari un solo brano, in dischi considerati ‘spazzatura’. Ma At Folson Prison di Johnny Cash è, quantomeno, un disco con una storia che vale la pena raccontare. “Tutto quello che hai dentro una cella è il tuo nudo istinto animale”, scrive Cash nelle liner notes del disco. Perché At Folson Prison è sì un disco dal vivo, ma registrato durante un concerto dentro un carcere (la ‘Prigione Folsom’, in California).

Solo Cash poteva fare un’operazione del genere, perché lui, in carcere, c’era stato (per importazione di anfetamine dal Messico quando era già una rock star, ma anche diverse volte da ragazzino). Perché Cash aveva sempre cantato del lato oscuro dell’animo umano: “Ho ucciso un uomo a Reno solo per vederlo morire”. Se ci sono forse dischi più belli di questo, nella sua discografia, esso rimane comunque come la testimonianza di quello che Cash era: un uomo pronto a guardare in faccia il lato sporco della vita e gettarlo in faccia a moralisti e benpensanti (gran parte del suo pubblico).

Sono tutte canzoni, quelle presentate in questo concerto, che hanno a che fare con omicidi, smarrimento, pentimento, perdita, Dio, la propria madre, la solitudine. Non offre redenzione, qui, Johnny Cash: sputa in faccia a guardie e carcerati la loro triste condizione, così come sputa (appositamente e divertendosi) un sacco di parolacce e bestemmie, tutte, nell’edizione originale, accuratamente censurate dalla casa discografica. È il disco passato alla storia anche per i tanti ‘bip‘ che si sentono quando Cash introduce un brano.

Ma indimenticabile è il momento in cui Cash esegue Greystone Chapel: il suo autore è uno dei 2mila prigionieri presenti in quella prigione. “Ascoltate attentamente questo disco”, scrive ancora Cash, “e potrete sentire in sottofondo lo sbattere delle porte, il fischietto delle guardie, le urla degli uomini. Anche le risate da parte di uomini che hanno dimenticato come si fa a ridere “.

Pochi dischi di Cash hanno saputo catturare l’oscurità e la rabbia che si nascondevano nella sua anima come questo. Un disco, comunque, più che eccellente anche dal solo punto di vista musicale, sicuramente il suo live migliore: accompagnato da Carl e Luther Perkins (quest’ultimo sarebbe morto proprio quell’anno in un incendio accidentale), Cash sfodera il suo micidiale cocktail di country e di rockabilly con apparente nonchalance, in capolavori del suo repertorio (Folson Prison Blues nella sua versione definitiva, ovviamente, ma anche I Still Miss Someone, Give My Love To Rose e Long Black Veil) ma anche irresistibili sketch comici come Dirty Old Egg-Suckin’ Dog o Flushed From The Bathroom Of Your Heart. La versione rimasterizzata pubblicata nel 1999 contiene due brani in più, ma il disco si trova ancora in accoppiata con l’altro storico ‘live in prigione’, At San Quentin.

Paolo Vites, fonte JAM n. 99, 2003

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