Johnny Cash

Glanstonbury, 1994. Nel regno dell’alternative rock, una figura imponente e vestita di nero irrompe sul palcoscenico. È un momento storico: l’uomo che, a uno sguardo superficiale, ha rappresentato il mito dell’America più tradizionalista, ‘sposa’ una generazione di giovani lontana un milione di miglia dal suo mondo. Ma è solo l’ovvia conseguenza del nuovo percorso discografico che Johnny Cash, insieme al produttore Rick Rubin, ha iniziato con la serie di album American Recordings.

In occasione dell’uscita di Unearthed, un cofanetto elegantissimo che raccoglie numerosi inediti legati alle session che produssero quei quattro splendidi dischi, e a tre mesi dalla sua scomparsa, ricordiamo Johnny Cash rivisitandone la vita e i momenti topici della carriera.

Senza cadere nella retorica, le vicende umane e artistiche di Johnny Cash rappresentano in modo realista e appassionante una storia sempre in bilico tra tentazione e devozione, peccato e redenzione, fervore appassionato e cinico distacco: una vita intensa la cui rilettura regala emozioni e riflessioni e il cui fascino è accresciuto dalla fierezza del protagonista e dallo scorrere del tempo, che inizia ormai a rendere epiche le storie più significative di un passato già lontano. Sul viso di Johnny Cash erano scolpiti settant’anni di America; non la rappresentava: la incarnava. A differenza di moderni Dorian Gray a stelle e strisce, su di lui i segni e le ferite del tempo dominavano impietosi ma dalla profondità del suo sguardo traspariva tutta la dignità che può avere un uomo.

Figlio della Depressione e di una famiglia povera di Kingsland, Arkansas, J.R. Cash si ritrovò a tre anni, nel 1935, nella minuscola Dyess dove il New Deal del Presidente Roosevelt aveva loro assegnato un mulo e venti acri di terra ai bordi del Mississippi per coltivare il cotone. Per la maggior parte si trattava di terreni paludosi che una pericolosa inondazione del 1937 costrinse ad abbandonare temporaneamente, episodio questo che in seguito fu fonte d’ispirazione per la canzone Five Feet High And Rising. L’infanzia passata a lavorare nei campi e la drammatica morte del fratello maggiore Jack ne segnarono fortemente il carattere e qualcuno ritiene che fu proprio quest’ultimo tragico evento ad instillare quel colore di gravita e tristezza che rese emozionante la sua voce.

J.R. era un ragazzo sveglio cui la mezzadria e la vita piatta di Dyess stavano stretti: poche anime e nessuna insegna luminosa; un posto bigotto in cui ogni settimana venivano riportati sul giornale i nomi dei partecipanti al catechismo domenicale.

L’unico svago era il jukebox sul quale J.R. andava a selezionare le canzoni di Ernest Tubb e Roy Acuff. Non ebbe invece l’occasione di conoscere la musica nera poiché a Dyess non vi erano persone di colore (i terreni erano stati assegnati solo a famiglie ‘bianche’) e anche a casa la radio era sempre sintonizzata sulle stazioni country e hillbilly: le trasmissioni del Grand Ole Opry e Louisiana Hayride erano un appuntamento fisso. E poi c’era il gospel; quello bianco dei Blackwood Brothers e delle canzoni che si intonavano durante il lavoro nei campi o la sera sul porticato, mentre la madre di J.R. suonava una chitarra economica acquistata ai grandi magazzini Sears & Roebuck.

Nel 1950 J.R. lasciò Dyess per andare a lavorare come operaio in una catena di montaggio di Pontiac, Michigan. Ma anche qui non intravide spazio per i suoi sogni. Passò solo qualche settimana e si arruolò nella Air Force. Destinazione Texas. Il tempo di essere addestrato e fu inviato a Landsberg, in Germania.

Prima di partire aveva conosciuto a San Antonio una ragazza dal sorriso latino, Vivian Liberto, con la quale mantenne una fitta corrispondenza che contribuì a rendere meno pesanti quei “quattro lunghi e miserabili anni” nell’aeronautica statunitense. Furono proprio i suoi commilitoni ad affibbiargli il nome John e insieme ad alcuni di essi mise in piedi un gruppo per sfogare la comune passione per la musica country. Con i Landsberg Barbarians Cash alimentò la sua aspirazione di perseguire la carriera di cantante, che era iniziata ad affiorare nell’adolescenza, quando la sua voce aveva assunto un virile timbro baritonale.

Il 3 luglio 1954 John Cash si congedò dallo Zio Sam senza rimpianti e sposò Vivian. I due si stabilirono a Memphis, dove proprio in quei mesi stava esplodendo quel fenomeno di nome Elvis Presley: un altro figlio della Depressione ancora in cerca del proprio New Deal. L’elettrizzante clima musicale di Memphis fece avvicinare Cash alla musica nera. Si appassionò soprattutto al gospel e al blues rurale e appena ne aveva l’occasione correva a casa di Gus Cannon, un leggendario banjo picker della migliore jug band di Beale Street, per suonare insieme a lui. Nel frattempo aveva intrapreso la nuova attività di venditore porta a porta ma, in realtà, l’unica fonte di sostentamento della coppia erano gli assegni della famiglia di Vivian.

A Memphis viveva anche suo fratello Roy Cash, che aveva coltivato senza successo l’ambizione di diventare un cantante country e adesso lavorava nel settore della vendita di automobili. Fu proprio Roy a presentare a suo fratello tre meccanici appassionati di hillbilly con i quali si stabilì subito una buona intesa. Luther Perkins e Marshall Grant alla chitarra, e A.W. ‘Red’ Kernodle alla steel guitar, si facevano chiamare The Tennessee Three.

Il successo di Elvis spinse Cash a presentarsi alla Sun Records per un’audizione. Non fu facile. Sam Phillips era sempre talmente impegnato che Cash in seguito dichiarò di non ritenere di essere stato ‘scoperto’ poiché fu solo grazie alla sua determinazione se riuscì a farsi ascoltare da Phillips. Quando finalmente ebbe luogo l’audizione Phillips rimase colpito dalla sua voce e dallo stile essenziale di Luther Perkins ma, di fronte alla loro aspirazione di proporsi con un repertorio gospel, manifestò il proprio disinteresse, consigliando loro di ripresentarsi con un repertorio più moderno.

Cash ritornò con Hey Porter, una canzone che aveva scritto durante il servizio nell’Air Force e che fu definita “il perfetto lamento di un sudista nostalgico”. Intanto Marshall Grant aveva abbandonato la chitarra e si era procurato un contrabbasso. Cash era sempre un po’ imbarazzato dall’eccessiva semplicità del loro sound e dalle scarse capacità tecniche del gruppo ma, con un sorriso sardonico, Phillips disse: “Se volete, avete un contratto!”.

Presto sparirono ‘Red’ Kernodle e la sua steel guitar, una mossa dettata dalla scarsa predisposizione di questi alla vita da musicista, ma forse anche dalle scelte di fondo della produzione di Sam Phillips. Il gruppo aveva un suono scarno, talmente minimalista da risultare povero anche per i più tradizionalisti di Nashville (dove la batteria era ancora bandita), ma aveva una componente essenziale che compensava qualunque strumento: la voce del cantante. Una voce piena che restituiva equilibrio nell’impianto sonoro.

Rispetto alla medesima formula strumentale del sound di Elvis Presley qui la chitarra era più semplice e lineare, il basso quasi scolastico nelle sue linee elementari. Si faceva di necessità virtù: a differenza dell’inimitabile stile vocale di Elvis, dinamico e aggressivo, la voce dai toni epici di Johnny Cash, che esprimeva saggezza e misurata sofferenza in un caldo baritono, aveva bisogno di uno spazio su cui proiettarsi, come gli infiniti paesaggi di frontiera che essa evocava.

Per enfatizzare il ritmo e sopperire alla mancanza della batteria Cash era solito inserire tra le corde della sua chitarra acustica una strisciolina di carta le cui vibrazioni richiamavano quelle del rullante. La tipica andatura ritmica dei suoi brani, che richiamava il pigro sferragliare di una locomotiva a vapore, diventò un vero trademark definito ‘boom chicka-boom’.

Il primo singolo di Johnny Cash & The Tennessee Two (così ribattezzati da Phillips, non senza qualche malcontento da parte del leader) conteneva Hey Porter e Cry Cry Cry; scalò subito le classifiche country e fece guadagnare al gruppo un posto di primo piano nella Louisiana Hayride, ricalcando quello che aveva fatto Presley l’anno precedente.

Nel dicembre del 1955 uscì il secondo singolo, contenente Folsom Prison Blues (una rielaborazione di Crescent City Blues di Gordon Jenkins), brano che nel decennio successivo diventerà uno dei capisaldi del suo repertorio.

Con il suo vocione basso Johnny Cash sembrava destinato a rimanere nei confini del country, ma fu l’appeal universale del testo di I Walk The Line ad aprirgli le porte delle classifiche pop; anche questa canzone era nata sotto le armi: ritornando da un turno di guardia Cash si accorse che qualcuno aveva usato il suo registratore Wilcox-Gay. Riascoltando il nastro notò qualcosa di strano e capì che il nastro era stato inserito al contrario. Vi era registrata una progressione di accordi così stravagante che gli continuò a ronzare in testa per parecchio tempo.

Stimolato da Phillips a proporre materiale originale pensò di utilizzarla e iniziò a lavorare a Because You’re Mine una dichiarazione d’amore e di fedeltà. Poi, nel corso di una conversazione con l’amico Carl Perkins a proposito della vita in tour, delle ragazze e delle occasioni che capitavano in ogni città, alla domanda su quale fosse la sua attitudine sull’argomento Cash rispose: “Not me buddy. I walk the line”. “Ecco!” replicò Perkins “È così che dovresti intitolare la tua nuova canzone”.

I Walk The Line balzò al primo posto della classifica country ed entrò nella Top 20 di Billboard affermando Johnny Cash come un artista di primo piano del panorama musicale. Si trattò in effetti di un singolo indimenticabile, considerando che uscì in coppia con Get Rhythm, una scintillante canzone che è forse il suo più riuscito brano vicino ai temi ritmici del rock and roll. Cash la scrisse a College Station, Texas, sul sedile posteriore dell’automobile guidata a turno dai due ‘ex-meccanici’ nel tragitto tra un concerto e l’altro.

Train Of Love e There You Go uscirono sulla scia del successo di I Walk The Line e furono altre due canzoni memorabili della sua carriera.

Quello tra il 1955 e il 1957 fu il suo periodo di maggiore creatività, sempre pronto a fotografare in un formato musicale le sue intuizioni e riflessioni. Una delle più fortunate arrivò a Brisbane, California, quando dalla finestra del backstage del luogo in cui si doveva esibire osservò pensieroso il profilo del penitenziario di San Quentin. Give My Love To Rose diede voce ai drammi umani dietro le sbarre. Il 1955 fu anche l’anno nel quale nacque sua figlia Rosanne, destinata poi a ripercorrere le orme artistiche del padre con cui ebbe un difficile rapporto.

Nel 1957 Johnny Cash fece il suo debutto al Grand Ole Opry: per distinguersi dal consolidato stile degli artisti della tradizione di Nashville, addobbati con appariscenti abiti di scena chiari e ricchi di ornamenti, Cash si presentò vestito completamente in nero, guadagnandosi l’appellativo di ‘Man In Black’.

I riscontri commerciali convincenti ma senza la forza d’urto degli hit di rock and roll, e il nuovo trend dell’industria discografica che stava iniziando a investire nel formato a 33 giri convinsero la Sun a scegliere Johnny Cash per pubblicare il primo LP della sua storia. Johnny Cash With His Hot And Blue Guitar uscì nel novembre del 1957. Sam Phillips non sapeva che Johnny Cash aveva sottoscritto un impegno a firmare un contratto con la Columbia nella seconda metà dell’anno successivo, quando il suo legame con la Sun sarebbe scaduto. I motivi che lo spinsero a questa scelta furono vari, innanzitutto le scarse royalties che la Sun liquidava agli artisti. Inoltre sul lato artistico Cash insisteva per registrare il tanto desiderato disco di materiale gospel che Phillips continuava a giudicare inadatto.

Parallelamente anche Carl Perkins stava maturando la decisione di passare alla Columbia. All’inizio del 1958 la produzione di Johnny Cash era seguita principalmente da Jack Clement, braccio destro di Phillips nonché autore dal fiuto sicuro. Proprio Clement gli consegnò Ballad Of A Teenage Queen una canzone ruffiana che strizzava l’occhio agli adolescenti e fu piazzata su di un singolo che relegava al lato B la splendida Big River, uno dei futuri classici del suo repertorio ispiratagli dal titolo di un articolo che recitava “Johnny Cash has the big river blues in his voice”. Lanciata nel corso di una serie di concerti in Canada la canzone spopolò: in ogni città canadese toccata dal tour fu indetto un concorso per nominare la Teenage Queen locale tra coloro che si fossero presentate alla selezione con una copia del singolo. Nella cittadina di Saskatoon fu nominata una fanciulla che sognava una carriera nel mondo della musica: si chiamava Joni Mitchell.

Appena Sam Phillips scoprì dell’accordo tra Cash e la Columbia cercò di fargli registrare nuove canzoni da tenere di scorta per poter pubblicare nuovo materiale anche dopo il termine del loro contratto. Fu Jack Clement a proporre il nuovo materiale tra cui infilò un’altra sua nuova composizione, Guess Things Happens That Way, che andò diritta in cima alle classifiche country e nuovamente nella Top 20 di Billboard. Gli arrangiamenti dei nuovi brani, con la sovraincisione di cori da pop song sdolcinate, non piacevano però a Cash che lasciò ancora più volentieri la Sun Records.

Alla Columbia le cose andarono subito benissimo: Don’t Take Your Guns To Town, I Stili Miss Someone e I Got Stripes confermarono il suo talento e grazie alle maggiori capacità di impatto e distribuzione della casa discografica le canzoni raggiunsero facilmente i primi posti delle classifiche. Fu subito chiaro dal nuovo materiale che Cash aveva la capacità e la voglia di continuare a coltivare il suo talento compositivo. Fu anche un pioniere dei cosiddetti concept album in un’epoca in cui i long playing erano considerati come meri contenitori di successi e brani riempitivi che non avevano la stoffa del singolo.

Negli anni successivi Johnny Cash concepì progetti tematici che affrontarono gli argomenti che più gli stavano a cuore: il sudore e le tribolazioni delle classi più povere, l’epopea western, l’orgoglio e il dramma degli Indiani d’America. Le apparizioni nei principali programmi televisivi come l’Ed Sullivan Show e The Tonight Show ne avevano fatto ormai un divo, ma il successo aveva già iniziato a destabilizzare la serenità e l’equilibrio della sua vita personale.

A partire dal 1958 Cash iniziò ad aiutarsi con le anfetamine per reggere lo stress causato dai tour che praticamente concedevano pochissimi giorni di tregua. Anche il matrimonio con Vivian aveva ormai raggiunto livelli di grande tensione soprattutto a causa della sua dipendenza da droga e alcol. In questo periodo a fianco del personaggio pubblico che stava gradualmente sostituendo l’artista creativo, Johnny Cash aveva ormai assunto il ruolo di vero punk-rocker ante litteram: uno scavezzacollo che sfasciava automobili, camere d’albergo e scherzava pericolosamente con le armi da fuoco.

Gli hit arrivavano ugualmente; come Ring Of Fire ad esempio, un’affascinante cavalcata dai sapori epici da primo posto in classifica che una sezione di fiati Mariachi collocava vicino al Rio Grande. Ma nel 1965 Cash aveva ormai toccato il fondo. Nel giro di un paio di anni finì in prigione tre volte, anche se a differenza di quanto riportato su giornali dai pruriti scandalistici vi rimase soltanto un giorno in ciascuna occasione. La più eclatante fu la prima, quando fu fermato all’aeroporto di El Paso mentre tornava dal Messico con un migliaio di anfetamine nella custodia della sua chitarra. Il giorno dopo la sua foto, con le manette ai polsi, campeggiava su tutti i giornali. Le altre due occasioni furono più bizzarre: una volta fu fermato perché raccoglieva fiori nel cuore della notte in un giardino privato (circostanza in seguito raccontata in maniera scherzosa in Starkville City Jail contenuta in At San Quentin); l’altra poiché fu trovato addormentato e nudo in un’automobile.

Nel 1965 ottenne anche il suo primo hit in Inghilterra con una versione di It Ain’t Me Babe di Bob Dylan. Tra i due nacque un’amicizia e una reciproca stima che segnerà diversi momenti delle rispettive carriere. Nel 1966, dopo un altro incidente e una quasi fatale overdose, Vivian decise di tagliare definitivamente il legame e chiese il divorzio; Cash si stabilì a Nashville dove divenne amico di Waylon Jennings con il quale passò oltre un anno interamente sulla ‘wrong side of the road’, periodo che sembrava destinato a fargli ricalcare l’epilogo della vita di Hank Williams, di cui poteva essere considerato l’erede più credibile.

Anche la sua carriera viveva un inevitabile momento di crisi e in quel periodo fu decisiva la presenza di June Carter, figlia della leggendaria Mother Maybelle Carter, ex moglie del suo amico e cantante country Carl Smith. Johnny Cash conosceva già June e questa era stata anche coautrice di Ring Of Fire. I due iniziarono a frequentarsi e fu grazie alla grande dedizione di June che Cash riuscì a disintossicarsi e a mettere da parte i suoi demoni autodistruttivi. Il 1 marzo del 1968 i due si sposarono, dopo che Cash gli aveva proposto le nozze davanti al pubblico nel corso di un concerto, dando inizio a un legame rivelatosi indissolubile.

Ma il 1968 è importante anche per la realizzazione di un progetto che a Cash stava particolarmente a cuore: la registrazione di uno dei suoi spettacoli per i detenuti. Si era esibito in un carcere per la prima volta nel 1956 a Huntsville, Texas, e questi concerti rappresentavano ormai una costante della sua carriera.

La Columbia, che dapprima aveva qualche riserva circa l’opportunità dell’operazione, acconsentì di registrare un disco dal vivo e per l’occasione fu fatta la scelta più naturale: Folsom Prison. Non fu un passo sbagliato e si rivelò uno dei documenti dal vivo più intensi dell’epoca. L’album è memorabile fin dall’inizio con la famosa frase “Hello! l’m Johnny Cash”, che a partire da questo momento divenne un vero e proprio rito inaugurale dei suoi concerti e diede luogo anche a parodie e citazioni da parte di personaggi famosi, non ultima quella di Elvis Presley.

Il disco fu un grande successo e l’anno successivo l’esperienza fu ripetuta con At San Quentin dal quale fu tratta la divertente A Boy Named Sue che arrivò al terzo posto delle classifiche pop.

Tra il 1969 e il 1971 Johnny Cash visse il momento d’oro della sua popolarità. La rete televisiva ABC gli commissionò il Johnny Cash Show con il quale andava in onda in prima serata dal Ryman Auditorium di Nashville proponendo contenuti vari e musica non soltanto country con ospiti che spaziarono da Bob Dylan a Louis Armstrong. Il momento di particolare esposizione gli portò anche diversi ruoli in film televisivi e cinematografici il cui picco fu raggiunto con il ruolo di co-protagonista di A Gunfight accanto a Kirk Douglas.

Il 1970 fu un anno significativo perché oltre alla nascita del figlio John Carter Cash, il cantante si esibì alla Casa Bianca, per il presidente Nixon in uno spettacolo dal significato controverso, e in Vietnam per regalare un momento di sollievo ai suoi connazionali; l’esibizione diverrà fonte di estremo imbarazzo a causa delle condizioni di scarsa lucidità in cui egli si presentò sul palco. Fu una pubblica umiliazione e il campanello d’allarme che nonostante l’equilibrio trovato con June le tendenze autodistruttive non erano sparite d’incanto.

L’inizio del nuovo decennio vide la sua carriera musicale proseguire su binari di normalità con qualche country hit e alcuni progetti di musica gospel che non incontravano il favore della casa discografica. Nel 1976 Cash realizzò There Ain’t No Good Chain Gang in coppia con Waylon Jennings, una sorta di premessa a quello che nel decennio successivo fu poi il progetto The Highwaymen, gruppo di fuorilegge del country di cui, oltre ai due, facevano parte anche Willie Nelson e Kris Kristofferson.

Ma la vena creativa pareva ormai esaurita tanto che i suoi dischi erano sempre più infarciti di cover più o meno famose con risultati spesso poco esaltanti. Una di queste però, Highway Patrolman (di Bruce Springsteen) entrò direttamente tra le cose migliori del suo repertorio poiché sembrava cucita su misura del suo stile. Non a caso Bruce Springsteen come Bob Dylan, era stato molto influenzato dall’ambientazione e dalla scrittura di Cash che nei migliori episodi sapeva unire l’emozione e l’onestà folk dei contenuti con il senso di ribellione proprio del rock.

Gli anni ‘80 iniziarono alla grande con la nomina alla Country Music Hall Of Fame. Fu l’artista più giovane a raggiungere questo riconoscimento che però non fu sufficiente a fermare il declino delle vendite dei dischi. Ma non fu questo il problema maggiore. Una serie di incidenti e altri problemi fisici causati dai troppi eccessi iniziarono a richiedere l’assunzione di antidolorifici per alleviarne i sintomi che presto gli causarono una nuova dipendenza.

Nel 1985 partecipò a una rimpatriata con Carl Perkins, Jerry Lee Lewis e Roy Orbison registrando Class Of ’55 negli studi Sun con la produzione di Chips Moman e la significativa partecipazione di Sam Phillips oltre a ospiti del calibro di Dave Edmunds e John Fogerty.

Alla fine del decennio la Columbia non gli rinnovò il contratto attirandosi aspre critiche anche da suoi autorevoli colleghi, come ad esempio Dwight Yoakam, il quale definì questo gesto come “un insulto all’uomo con le cui vendite la Columbia aveva acquistato i palazzi in cui ora i suoi dirigenti stavano comodamente”. Cash prese la cosa elegantemente e con filosofia dichiarando che in effetti si poteva considerare una separazione consensuale poiché non vi erano più stimoli da ambedue le parti a continuare il rapporto.

Passò alla Mercury. Il suo primo disco The Night Hank Williams Carne To Town incontrò i favori del pubblico e seguirono nuove collaborazioni con Everly Brothers, Emmylou Harris e Paul McCartney. Ma in generale i dischi per la Mercury non seppero catturare l’essenza della sua musica. Il decennio si chiuse con gravi problemi di salute: accanto alla dipendenza dai farmaci questa volta si trattò di polmonite e di una patologia cardiaca che rese necessario un intervento chirurgico.

All’inizio degli anni ‘90 anche il contratto con la Mercury stava volgendo verso il termine senza apparenti prospettive di rinnovo. Una nuova positiva esperienza con il progetto Highwaymen e la sorpresa della nomina nella Rock And Roll Hall Of Fame portò nuovo morale mentre Johnny Cash stava per andare incontro a una inaspettata esperienza che avrebbe portato un nuovo e più ampio significato alla sua parabola artistica facendone un’icona musicale transgenerazionale.

Rick Rubin, il famoso produttore rap e degli Red Hot Chili Peppers, stava per avviare la sua nuova etichetta e gli chiese di riproporsi in chiave acustica, solo voce e chitarra, alle prese con un repertorio che rappresentasse un crossover tra la tradizione e il rock più moderno, con l’unico obbiettivo di catturare tutta l’onestà della sua voce. American Recordings fu un bellissimo disco nel quale Cash reinventò brani di Leonard Cohen, Tom Waits, Nick Lowe e, più sorprendentemente, degli U2 e di Nick Cave, facendoli sembrare autentici classici senza età della più pura tradizione americana.

Il disco lo portó all’attenzione di un nuovo pubblico facendogli guadagnare inaspettate soddisfazioni, come quella di un video assolutamente trendy interpretato da Johnny Depp e Kate Moss che andava in rotazione continua su MTV: una bella soddisfazione per chi era stato in pratica emarginato dalla ‘Hat Generation’ del New Country.

American Recordings fu seguito dallo straordinario Unchained; questa volta accompagnato da Tom Petty e i suoi Heartbreakers (oltre a Carl Perkins, amico di una vita che scomparirà poco dopo lasciandogli un grande dolore).

Nel 1996 gli fu assegnato l’importante riconoscimento Kennedy Art Centre per il suo contributo alla cultura Americana. Fu l’ultimo picco della sua lunga carriera.

Il 25 ottobre 1997, nel corso di un concerto a Flint, Michigan, Cash annuncia al pubblico di essere affetto dal morbo di Parkinson. È l’inizio della fine: nonostante tutto continua a esibirsi dimostrando quanto il rapporto con il pubblico sia stato veramente una necessità irrinunciabile anziché una mera fonte di guadagno; con dedizione e sacrificio Cash completa gli altri lavori con Rick Rubin, Solitary Man e The Man Comes Around, quest’ultimo contenente una sorprendente versione di Hurt dei Nine Inch Nails di Trent Reznor; la canzone viene rappresentata in un drammatico video di rara intensità che scava impietoso tra le cicatrici della vita sul suo viso.

Lo scorso maggio l’improvvisa morte di June Carter, il suo angelo custode, gli causa un dolore che nessun farmaco riesce ad alleviare. Passano soltanto pochi mesi e Johnny Cash parte per il suo ultimo viaggio.

Nell’indimenticabile Folsom Prison Blues c’è una strofa che rivela molto di Johnny Cash e riesce a essere illuminante circa i suoi più intimi sentimenti: quando il carcerato immagina la vita che scorre su quel treno che passa oltre alle fredde mura in pietra, egli descrive un lussuoso vagone ristorante con persone agiate che consumano la loro cena fumando grossi sigari. Niente di tutto questo però rappresenta per lui un desiderio: la cosa che più tortura la sua mente è l’idea che queste persone si stiano muovendo, portate via dal treno. Nonostante gli anni e i malanni fisici Johnny Cash è riuscito a seguire il suo viaggio fino alla fine, perché era ciò che contava di più. Perché, come scrisse sulle note di Unchained Heart, “Sometimes at night, when I hear the wind, I wish I was crazy again…”.

Carmelo Genovese, fonte JAM n. 99, 2003

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