Elmore James blues picture

Quando nel 1990 i Black Crowes esordirono con Shake Your Money Maker non furono in molti ad accorgersi che il titolo (e non soltanto quello) era stato trafugato dall’enciclopedia di canzoni costruita, anno dopo anno, da Elmore James. Non hanno attinto soltanto i Black Crowes: loro sono stati soltanto gli ultimi (e i più fortunati) di una vasta e numerosa stirpe di discepoli, imitatori, apprendisti stregoni e semplici fan che hanno poi scoperto come funziona una (chitarra) slide. E’ interessante scoprire che questo è successo un po’ a tutti i bluesmen, ma difficile trovare un songwriter più saccheggiato di lui e che ha determinato la metamorfosi che ha portato al rock’n’roll. Forse solo Willie Dixon e, un passo più in là a delimitare la congiunzione, Chuck Berry, ma Elmore James ha fornito anche un suono oltre alle canzoni. Un suono molto particolare che ha riscaldato i chitarristi più spiritati che ne moltiplicheranno i segnali trasformandolo in quello che Phil Walden, factotum della Capricorn Records, definirà «un potente testamento della sua continua importanza nella musica contemporanea americana».

Elmore James è stato il più rock’n’roll del bluesmen, magari senza saperlo e comunque grazie a un talento primitivo, intuitivo, istintivo, potente. Qualcosa difficile da spiegare a parole. Qualcosa difficile da comprendere anche per un chitarrista come Robbie Robertson: «Mi sono esercitato dodici ore al giorno, tutti i giorni, fino a farmi sanguinare le dita, per cercare di avere lo stesso sound di Elmore James. Questa storia è andata avanti per settimane e settimane, fino a quando finalmente qualcuno mi ha detto: guarda che suona una slide». Il carattere timido, come riportano tutte le biografie, non gli impedirà di generare uno dei suoni più incendiari e particolari, tanto che qualcuno ritiene i suoi licks chitarristici persino l’origine primaria dell’heavy metal. Un’energia e uno stile che dipende dall’iniziazione attraverso un ‘diddley bow, strumento dalle prestazioni tribali che richiede una non indifferente carica (la sua prima chitarra è stata poi una National pagata venti dollari) e d’altra parte dalla nota influenza primaria di Robert Johnson. A cui Elmore James ha impresso una sua particolare originalità. Non avendo l’inarrivabile magia di Robert Johnson, Elmore James si è riversato nella forza spingendo l’accelleratore sulle parti più incisive, ruvide ed essenziali. Una sorta di minimalismo della chitarra che Frank Zappa (non uno qualsiasi) ha descritto così: «Elmore James suona sempre lo stesso fraseggio, ancora e ancora, ma ho la sensazione che fosse una scelta consapevole». La reiterazione e l’insistenza su passaggi rudimentali è diventata una forma di chitarrismo (slide) di rara efficacia. Non basta comunque a giustificare la potenza del boogie di Elmore James se non si aggiunge l’interpretazione vocale, una sorta di grido primordiale che ha condiviso con Howlin’ Wolf.

Un particolare rilevante che ha contribuito non poco alla metamorfosi e alla radicale evoluzione del blues. «Puoi sentire la sua firma su tutti i riff che alla fine ogni chitarrista (slide) suona ogni notte, ma nessuno ha mai nemmeno sfiorato quell’intensità vocale che ha trasformato il lamento solitario del Delta in un grido di Chicago» ha scritto Tony Glover e l’associazione rende un po’ più chiaro un passaggio che tanto trasparente non è mai stato. Le testimonianze dei suoi concerti concordano: il boogie scatenava le danze, gli spiriti del blues diventavano elettricità. Oltre alla chitarra, alla voce e al suono in generale il suo legame con il rock’n’roll è ancora più sottile e articolato, persino identificabile da un punto di vista cronologico con i suoi albori. E’ il 1948 quando Elmore James, Sonny Boy Williamson (il secondo) e Arthur ‘Big Boy’ Crudup viaggiano e suonano insieme nell’Arkansas. L’anno dopo, Arthur ‘Big Boy’ Crudup, inciderà una versione di Dust My Broom che, secondo alcune opinioni, è stata il trait d’union con la rendition (definitiva) di Elmore James. Dust My Broom è una di quelle canzoni su cui le indagini possono essere infinite.

Gran parte concordano nel valutare Dust My Broom come il passaggio del testimone tra Robert Johnson ed Elmore James ed è un tema così ricorrente da essere diventato un luogo comune. L’aspetto più curioso e interessante invece è che Arthur ‘Big Boy’ Crudup è anche l’autore di That’s All Right Mama, la canzone che fornirà il pretesto per un passaggio fondamentale per il rock’n’roll, l’inizio della carriera di Elvis. Il processo di raffinazione di That’s All Right Mama serve anche a comprendere quanto possano essere determinanti certe sfumature chitarristiche. Se il blues, per definizione di Sam Phillips, deus ex machina della Sun Records è un luogo «dove l’anima di un uomo non muore mai», ci sono molti modi per definirne i confini. La voce di Elvis in That’s All Right Mama è una soluzione, i tratti chitarristici di Scotty Moore, un musicista ispirato da evoluzioni cristalline che, come riporta Peter Guralnick, erano frutto delle passioni per jazzisti come Tal Farlow o Barney Kessel o virtuosi come Merl Travis e Chet Atkins. Quel tocco di leggerezza in più che a Elmore James è stato sempre sconosciuto: le sue alterne fortune commerciali e umane (è morto a quarantacinque anni) non hanno impedito che la sua musica diventasse un impressionante patrimonio di pubblico dominio. Una spiegazione condivisibile potrebbe essere la dettagliata analisi che gli ha dedicato Steve Franz, l’autore di The Amazing Secret History Of Elmore James: «Alla fine, ecco la vera scoperta riguardo Elmore James. Se volete conoscere il segreto che gente come lui si portava nell’anima, eccolo qui: nonostante il fatto che è probabile che siamo soli nell’universo, e nonostante il fatto che soffriamo, quello che il blues ci insegna nella vita è che è sempre possibile ballare, che è ancora possibile lasciarsi andare al boogie e divertirsi, che è ancora possibile celebrare la vita.

Quello che racconta la musica di Elmore James è l’innegabile e inespugnabile scintilla dello spirito umano, una scintilla che non può spegnersi, una scintilla che non può essere oscurata dalle tenebre. Elmore James non è rimasto solo sull’orlo dell’abisso urlando nel vuoto, ci ha ballato il suo boogie sopra, e poiché lo ha fatto per noi, noi, in cambio, non abbiamo nulla da temere. E se questo non lo classifica come una delle storie più sorprendenti e straordinarie che siano mai accadute su questo pianeta, onestamente non saprei dire cos’altro potrebbe esserlo». Senza dubbio la percezione di Steve Franz è quella giusta: l’intensità di Elmore James ha spalancato le porte di un intero universo e l’elenco dei musicisti che gli hanno reso omaggio, che si sono dichiarati influenzati da lui o che, in modo molto semplice, hanno ripreso le sue canzoni e il suo stile è sorprendente e particolare. Basta una parziale selezione per restarne affascinati. Uno dei primi e più ispirati chitarristi che attinsero dal vocabolario di Elmore James è stato Michael Bloomfield: la sua Shake Your Money Maker (l’intera canzone, poi i Black Crowes sfrutteranno a modo loro tutto il resto), imparata attraverso Otis Rush, un indiscutibile biglietto da visita del talento che ha creato il suono di Highway 61 Revisited. Lui e Bob Dylan parlavano la stessa lingua e attingevano dagli stessi dischi. Quindi va ricordata anche It Hurts Me Too, il cui passaggio da Tampa Red attraverso Elmore James, ancora, l’ha portata all’appropriazione di Dylan, e poi rimodellata dalla consueta e devastante energia di George Thorogood.

A scansioni regolari, decennio dopo decennio, il suo nome è tornato a fare capolino: Peter Green e tutti i primi Fleetwood Mac erano immersi nel culto di Elmore James e così Duane Allman e tutta la famiglia che hanno immortalato Done Somebody Wrong nell’epocale At Fillmore East. Nello storico venue Jimi Hendrix ha trasformato l’esplicito titolo di Bleeding Heart in uno dei tanti segnali di una dedizione totale, forse il più importante. A livello intuitivo, Hendrix deve moltissimo, se non tutto, a Elmore James, anche se poi la sua progressione è stata esponenziale e l’ha portato a esplorare l’ignoto, certe radici si sentono ancora oggi. Hound Dog Taylor e Johnny Winter si sono iscritti al club, così come Jerry Garcia e l’immancabile Eric Clapton. Roy Buchanan gli ha dedicato un esplicito Tribute To Elmore James e Stevie Ray Vaughan, incidendo The Sky Is Crying ha reso omaggio in un solo colpo a due o tre grandi maestri della chitarra, ovvero Elmore James e Albert King (e magari anche Hendrix). E’ però Willy DeVille, un chitarrista sui generis, che per anni ha usato Dust My Broom per concludere i suoi concerti, evidenziandone il carattere spettacolare, ad avere colto più di altri lo spirito di Elmore James, anche per via della voce, indimenticabile, capace di evocare quella che Timothy White chiamava «una fiera passione capace di tirare giù i cancelli del paradiso». Non è una definizione eccessiva ed è la dimostrazione delle emozioni che il boogie di Elmore James ha saputo strappare, lasciandosi andare e saccheggiare con una generosità più unica che rara. Il suo lascito è tale che il nomignolo celebrativo di King Of The Slide Guitar, tra l’altro anche titolo di una bella (e consigliata) antologia, è persino riduttivo, trattandosi di uno dei musicisti più inventivi e genuini del ventesimo secolo. La sua eredità, infine, se la sono giocata gli altri e varrà la pena di ricordare che Shake Your Money Maker dei Black Crowes, un disco che in anni di musiche vacue e impalpabili recuperava la ruspante, istintiva spregiudicatezza dei suoni di Elmore James, ha venduto una mezza dozzina di milioni di copie in tutto il mondo. E non è finita qui perché rubare una volta è un furto, due diventa un affare e così i Black Crowes si sono impossessati anche di Sho’ Nuff per farne il titolo di un lussuoso cofanetto retrospettivo. Il suo boogie, un bel business per tutti.

Marco Denti, fonte Il Blues n. 123, 2013

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