Norman Blake

Nel caso di Norman Blake le notizie bio-discografiche, specie riguardanti i primi 25 anni, sono scarse e perfettamente in linea con il carattere del personaggio. Blake è un uomo schivo, solitario, meditativo, forse egocentrico, un artista che non ama il clamore e rifiuta il battage pubblicitario, un musicista che generalmente preferisce esibirsi in piccoli clubs, in ambienti intimi, piuttosto che in concerti sovraffollati, teme i mezzi di trasporto aerei e appena possibile ritorna con la moglie Nancy, sposata in seconde nozze, alla quiete idilliaca della sua fattoria presso Rising Fawn, sul confine tra Tennessee e Geòrgia.

L’unica fonte dalla quale ho attinto abbondantemente è rappresentata dalle note di copertina dell’album Home in Sulphur Springs: informazioni di prima mano, e quindi attendibili, che a volte ho integrato con considerazioni personali ed un pizzico di fantasia.

Norman Lee Blake nasce il 10 marzo 1938 a Chattanooga (Tennessee). La famiglia, da generazioni impiegata nella ferrovia, si trasferisce presto a Sulphur Springs, un centro di poche anime all’ombra dei Monti Lookout nella Geòrgia settentrionale diviso in due dai binari della Southern Railways.

E’ probabilmente a causa di questi due fatti che il pittoresco mondo della vecchia ferrovia, coi suoi eroi positivi e negativi, le espressioni gergali, gli incidenti, il suo inarrestabile declino di fronte al progresso tecnologico, ricorre con tanta frequenza nelle composizioni di Blake.

Comincia a suonare la chitarra a 11 anni ascoltando ì dischi di Riley Puckett, dei Monroe Brothers, di Sam McGee, della Carter Family ed il programma radiofonico Grand Ole Opry diffuso dalla vicina emittente WSM di Nashville. Le sue prime influenze sono un cugino violinista, Earl Walraven, un tale Cripple Clark e la nonna materna dalla quale impara Spanish Fandango in accordatura aperta di Sol.

Dopo le elementari a Rising Fawn e le superiori a Trenton, Blake decide di abbandonare gli studi e formare un trio coi fratelli Ronald e Donald Everett (mandolino, fiddle e chitarra). I Dixieland Drifters suonano country-music in diversi radio-shows a Chattanooga e Knoxville (Tennessee) ed appaiono in un programma televisivo a Rome (Geòrgia). Più o meno nello stesso periodo Norman si accompagna al banjoista Bob Johnson in un duo di musica tradizionale appalachiana ed incide un album, purtroppo oggi irreperibile, con Walter Forbes.

Il 1960 lo vede al seguito di June Carter, figlia di Maybelle e più tardi moglie di Johnny Cash, e con mandolino e dobro nella formazione di Hylo Brown ai microfoni della stazione radio WWVA di Wheeling in West Virginia, punto focale per una lunghissima serie di musicisti tradizio­nali e bluegrass.

Dal 1961 al 1963 svolge il servizio militare con il contingente americano di stanza sul Canale di Panama e, sotto le armi, anima il gruppo dei Fort Kobbe Mountaineers. Durante le rare licenze incide alcuni NPs per l’etichetta B.B. e nel 1962 l’album Ten Shades Of Bluegrass con Bob Johnson ed il chitarrista David Johnston. Dopo il congedo Blake è invitato a Nashville da Johnny Cash per la sua Understand Your Man (rifacimento della famosa Don’t Think Twice, It’s All Right di Dylan). Appare in seguito in moltissimi altri dischi di Cash.

Nel 1963 sposa Annie, ha due figli, suona il fiddle nei Buck Turner’s Town & Country Boys e contemporaneamente, per vivere, da lezioni di chitarra a Chattanooga.

Una svolta decisiva nella sua carriera avviene nel 1969 a Nashville, dove intraprende un lungo redditizio lavoro di session-man: partecipa a Nashville Skyline e a Self Portrait di Bob Dylan, incide con Kris Kristofferson e con Joan Baez accompagnando i due anche in concerto. All’inizio del 1971, insieme, a Vassar Clements, Tut Taylor e Randy Scruggs (figlio del celebre Earl), si unisce stabilmente a John Hartford, registra Aereo-Plain (Warner Brothers WB-1916) e col medesimo gruppo prende parte alle sessions per il primo disco di David Bromberg (Columbia BL-31104).

Nell’agosto dello stesso anno è presente, in succinta veste di dobroista, alle sedute nashvilliane che daranno origine allo storico triplo album Will The Circle Be Unbroken (United Artists UAS-9801).

Da qui in poi la storia diventa per noi cronaca, ed a noi preme analizzarla nei dettagli.

 

HOME IN SULPHUR SPRINGS

Rounder 0012, 1972

Bully Of The Town / Randall Collins / Bone Gone / Down Home Summertime Blues / Warp Factor No.9 / Orphan Annie / Spanish Fandango / Lìttle Joe / Richland Avenue (Front Porch-Wood Pile) Rag / When The Fields Are White With Daisies / Cattle In The Cane / Crossing no. 9 / Weave & Way / Ginseng Sullivan / Bringing In The Geòrgia Mail

Norman Blake — chitarre, mandolino, voce

Tut Taylor — dobro

Registrato il 30 dicembre 1971, subito dopo il ‘solo’ di Tut Taylor e a cavallo dei due importanti lavori con John Hartford per la Warner Bros. (Aereo-Plain e Morning Bugle), Home in Sulphur Springs viene pubblicato improvvisamente nella primavera del 1972 da un’etichetta indipendente di Somerville, Massachusetts. E’ un’opera prima e, come ogni opera prima che si rispetti, contiene di tutto o quasi: ballate e canzoni tradizionali e originali, fiddle-tunes americani e non soggiogati al flat-picking, composizioni strumentali cui l’uso sapiente e non certo avaro della sovraincisione conferisce una dimensione difficilmente riscontrabile in altrui precedenti esperienze (ad esempio gli effetti di una 12 corde in Warp Factor sortiti dall’abbinamento di due distinte chitarre a 6 corde).

In quest’album d’esordio tre caratteristiche emergono subito, caratteristiche tanto costanti da diventare dei veri e propri marchi di fabbrica nelle immediate future realizzazioni di Blake: il singolare approccio strumentale (chitarra e mandolino) delle melodie per violino, il tocco personalissimo conferito ai testi ed alla musica delle proprie composizioni, l’idioma tradizionale sempre presente, sempre aleggiarne, mai travisato, mai ripudiato. I fiddle-tunes (Bully Of The Town, Cattle In The Cane e specialmente Done Gone), così come il bellissimo arrangiamento in raro finger-picking di Spanish Fandango, sono qui affrontati, assimilati e resi d’istinto, con quella partico­lare confidenza, quasi viscerale, con la quale si trattano i vecchi amici, gli amici veri, e cheha dato l’immortalità allo stile di intere generazioni di violinisti tradizionali, primi fra tutti i georgiani a cominciare da Earl Johnson.

Lo stesso si può dire ascoltando attentamente il brano Down Home Summertime Blues, dove la preferenza riservata ai toni ruvidi e sanguigni dell’effetto ‘slide’ alla chitarra richiama prepotente­mente alla memoria un altro istintivo, l’amato Frank Hutchison, relegando Ry Cooder tra i suoi preziosismi.

Come autore Norman Blake non è certo secondo ai colleghi più affermati: lo strumentale Richland Avenue Rag e soprattutto le ballate Randall Collins, Orphan Annie e Ginseng Sullivan sono saggi perfetti di capacità creativa ed insieme di raffinata sensibilità musicale. Le tante qualità delle ballate di Blake meritano da sole un intero trattato: il secondo ed il terzo album, contenenti esempi sublimi in materia, ce ne daranno subito l’occasione.

Intanto Home in Sulphur Springs riscuote l’entusiasmo della critica, e scarsissima considerazione da parte del pubblico.

 

THE FIELDS OF NOVEMBER

Flying Fish 004, 1974

Green Leaf Fancy / Last Train From Poor Valley / White Oak Swamp / Ruins of Richmond / Graycoat Soldiers / Caperton Ferry / Southern Railroad Blues / Lord Won’t You Help Me / Krazy Kurtis / Coming Down From Rising Fawn / Uncle / The Old Brown Case / The Fields of November

Norman Blake — chitarra, mandolino, fiddle, dobro, voce

Nancy (Short) Blake — violoncello

Charles Collins — chitarra, fiddle

Tut Taylor — dobro

Nel giugno 1972, sciolto il sodalizio con Hartford, Blake è a Nashville, assiste all’incisione del primo album del dobroista Mike Auldridge (vi scriverà le note di copertina) e come musicista partecipa con Doc Watson ad alcune sessions che, opportunamente manipolate, forniranno il materiale per Elementary, Then & Now e Two Days in November.

L’anno seguente si aggrega ai Red, White & Blue (Grass), un quartetto country-bluegrass di Atlanta, ed incide un LP per la General Recording Corporation (GA-5002). Il disco contiene una mediocre ripresa di Ginseng Sullivan, due nuove composizio­ni per mandolino (Johnson’s Crook e la deliziosa Nine Years Waltz) ed un pasticcio in forma di medley cui Blake presta voce, chitarra e mandocello (Mountain Lady/Linda Ann). L’esperienza coi nuovi compagni non avrà altro seguito.

La seconda prova solista viene pubblicata dalla Flying Fish di Chicago nel 1974. The Fields Of November si avvale della collaborazione di più musicisti, di un impianto strumentale semplice o corposo studiato di volta in volta su misura, si rivela un capolavoro al primo impatto e probabilmente il miglior parto della fantasia di Blake. E’ un album concepito e diviso in due momenti distinti, secondo lo stato d’animo dell’autore, ed il gioco delle emozioni che suscita nell’ascoltatore procede sullo stesso canovaccio; anzi, se le due cose — la proposta dell’autore e la risposta emotiva dell’ascoltatore — si identificano (e spessissimo si identificano), allora The Fields Of November ha raggiunto la perfezione.

La prima facciata è pervasa dalla tristezza, da una sconsolata malinconia, da un’infinita nostalgia, a stento addolcite e mitigate dagli strumentali Green Leaf Fancy, White Oak Swamp ecc. Le miniere chiuse, le file per il pane, la vita grama in tempi grami per la moglie di un minatore disoccupato in Last Train From Poor Valley (la ‘brown haired’ Becky, insieme ad Annie, Sarah McCray, Jenny, una delle umanissime protagoniste femminili delle ballate di Blake); la rapida distruttiva marcia delle truppe nordiste di Sherman attraverso la Geòrgia nel 1864, le tombe dei soldati confederati sulle colline, i cannoni in attesa di eserciti fantasma in Graycoat Soldiers; ancora, il vivo ricordo delle locomotive a vapore, i rudi operai della ferrovia, l’ammessa difficoltà di vivere “questi tempi moderni” in Southern Railroad Blues.

La seconda mostra invece un barlume di speranza (basterebbe solo il titolo di Lord Won’t You Help Me), l’irriducibile tenacia di affrontare comunque le avversità efficacemente evocata dalla figura di uno zio violinista (Uncle). I brani strumentali — su tutti la gioiosità pazzerellona di Krazy Kurtis e la determinazione di Old Brown Case — procedono di conseguenza.

Le ballate di Norman Blake hanno una particolarità raramente incontrata altrove, possiedono dei ‘refrains’ che, per testo e musica (l’una il complemento dell’altra e viceversa), da soli sarebbero sufficienti a giustificare una composizione.

Richiamo ancora l’attenzione su Last Train (i soffici fiocchi di neve che accompagnano la forzata partenza della protagonista) e su Graycoat Soldiers (l’immagine dei soldati grigiovestiti in una guerra senza scampo, il pianto delle giovani vedove e dei figli in fasce). Particolarissimo il tipo di suono, grazie soprattutto al fiddle ed al violoncello, e il tutto scorre con una naturalezza disarmante.

Album illuminato.

 

OLD AND NEW

Flying Fish 010, 1975

Widow’s Creek / Bristol In A Bottle / Bìlly Gray / Forked Deer / Rubagfre / Cuckoo’s Nest / Witch Of The Wave / My Old Home On The Green Mountain Side / Miller’s Reel / Dry Grass On The High Fields / Harvey’s Reel / The Railroad Days / Valley Head / Sweet Heaven / Sally In The Garden / Ajimina /Fiat Rock

Norman Blake — chitarra, mandolino, fiddle, viola, voce

Nancy Blake — violoncello, viola, contrabbasso

James Bryan — fiddle

Charlie Collins — chitarra, fiddle

Ben Pedigo — banjo

Tut Taylor — dobro

II 22 giugno 1974 Blake è di nuovo in studio, all’Hound’s Ear di Nashville, con Jethro Burns, Sam Bush, Vassar Clements, David Holland, Butch Robins e Tut Taylor, per incidere quelle che poi verranno familiarmente chiamate le HDS Sessions e dalle quali verrà tratto un LP distribuito dalla Flying Fish (HDS-701). Le HDS Sessions rimangono uno degli esempi più luminosi e tangibili (per tecnica e sensibilità) dei risultati raggiunti mettendo a contatto artisti di due diverse generazioni accomunati dal medesimo amore per un certo tipo di suono acustico in cui ì confini tra swing (Sauerkraut’n Solar Energy) e pura tradizione sudorientale nordamericana (la McKinley’s Blues, appartenente al gruppo The Cannonball/White House Blues /Unlucky Road To Washington) svaniscono d’incanto.

Nel 1975 è la volta del terzo lavoro, preceduto dalla partecipazione al primo album del giovane violinista texano Mark O’Connor (Rounder 0046) ed al secondo dell’amico Tut Taylor (Flying Fish 008).

Old And New, già nel titolo, si presenta in maniera molto esplicita: vecchio e nuovo, una simbiosi tra materiale tradizionale e originale con una particolare gratificazione per le fatiche compositive del titolare. Concepito senza dubbio in un momento di feconda ispirazione anche quantitativa (17 brani), l’album rivela subito diverse novità: l’uso di una formazione abbastanza nutrita (una string-band con tutte le carte in regola), l’inserimento di un banjo in ‘Scruggs-style’ (cosa più unica che rara in tutta la produzione solista del nostro), una decisa preferenza riservata agli strumentali. Old And New rimane forse anche l’opera più varia grazie all’elasticità ed alla polivalenza degli strumenti a plettro e ad arco profusi.

Si inizia con Bristol In A Bottle, un’affascinante combinazione di pre-bluegrass e contra-dance del New England, si prosegue con il tour-de-force di Cuckoo’s Nest (splendido il movimento centrale) i soliti ineguagliabili fiddle-tunes (notare come il cross-picking della chitarra si adatta alle double-notes del violino in Forked Deer), composizioni stilisticamente raffinate che fra non molto finiranno per assumere una posizione chiave nella musica di Blake (c/o Dry Grass On The High Fields), per concludere con la strana Ajimina, un continuo zigzagare dentro e fuori i canoni tradizionali a velocità incredibile.

Quattro le interpretazioni vocali. La poetica ballata Billy Gray – il tragico epilogo di un amore di fine Ottocento tra un fuorilegge e la sua ignara compagna, visto attraverso gli occhi di lei – segue in toto i canoni delle migliori ‘Child Ballads’ importate: andamento narrativo, dovizia di particolari, generalità dei protagonisti, considerazione moralistica nella strofa finale enunciata in modo impersonale dall’autore. The Railroad Days, in forma di canzone, è un ulteriore impotente richiamo sull’agonia della vecchia ferrovia in toni questa volta esasperati (“you surely killed my railroad”). Sweet Heaven, infine, potrebbe essere considerata un po’ come la sintesi di tutto il presente lavoro: la melodia tradizionale di Beautiful Brown Eyes, già arricchita da Carter Stanley (Going Down The Races degli Stanley Brothers), viene completamente rivestita da Blake con un arrangiamento che nulla toglie all’originale incisione (c/o Tenneva Ramblers, Bristol, 4 agosto 1927) e molto aggiunge alla sua primitiva bellezza.

Il 1975 si chiude con Blake per la seconda volta ospite del nuovo album di Mark O’ Connor, Pickin’ In The Wind (Rounder 0068).

 

LIVE AT McCABE’S

Takoma D-1052, 1976

Nine Pound Hammer / Sweet Heaven When I Die / Border Widow / ‘G’ Medley / Dry Grass On The High Fields / John Hardy / Arkansas Traveler / Medley: Bully Of The Town – Bonaparts Retreat – Richland Avenue Rag / Harvey’s Reel

Norman Blake — chitarra, fiddle, voce

Nancy Blake — violoncello

Lo ‘Spirit of ’76’, il Bicentenario della Rivoluzione americana, porta fortuna a Norman Blake. E’ un anno particolarmente felice: esce il famigerato Live At McCabe’s, primo ed unico disco dal vivo, un discreto album tutto intriso di tradizione in compagnia del mandolinista Red Rector (Darlin’ Honey, County 755), il terzo con Tut Taylor (Dobrolic Plectral Society, Takoma D-1050), da ultimo un lavoro destinato a rimanere nella storia delle incisioni per chitarra, Whiskey Before Breakfast.

Il ‘live’ viene registrato dalla Takoma Records (un’etichetta con “un grande avvenire dietro le spalle” in campo chitarristico) presso il rinomato negozio di strumenti musicali McCabe’s Guitar Shop di Santa Monica (California) e, ancora a distanza di anni, conserva intatte tutte le sue qualità originarie: un discorso estremamente limpido e coerente sulla tradizione musicale sud-orientale affidato ad una 6 corde ed a una voce (Nine Pound Hammer e John Hardy, due capisaldi del folklore e due autentici manuali del flat-picking), brani originali che sembrano tratti da un cassetto rimasto chiuso per mezzo secolo e più (Border Widow, Dry Grass On The High Fields) e che aggiungono una pagina forse mai scritta alla storia delle composizioni strumentali per archi, americane al 100%, con un piede nel folk ed uno nella musica cosiddetta colta, motivi per violino spogliati da ogni scorza regionale ed interpretati secondo una concezione universale di musica acustica senza barriere etniche, sociali, culturali.

E’ un album accessibilissimo per il neofita, oltre che zeppo di spunti interessanti per i vecchi seguaci di Blake. Si ponga mente solo alla compattezza di un G Medley (alias Green Leaf Fancy, The Fields Of November e Bristol In A Bottle), all’intima partecipazione di Sweet Heaven (versione che riesce perfino a far dimenticare l’apporto della seconda chitarra di Collins nel disco precedente), alla perfezione di Arkansas Traveler nella quale sono riconoscibili frammenti di Forked Deer, Sally Goodin e Caperton Ferry.

Live At McCabe’s si snoda lungo lo spazio di 40 minuti, ed è musica viva a presa diretta capace di smuovere anche il più scettico sulle possibilità dell’artista.

L’album riscuote un notevole successo di vendite.

 

WHISKEY BEFORE BREAKFAST

Rounder 0063, 1976

Hand Me Down My Walking Cane / Under The Double Eagle / Six White Horses / Salt River / Old Grey Mare / Down At Milow’s House / Medley: Sleepy Eyed Joe – lndian Creek / Arkansas Traveler/ The Girl I Left In Sunny Tennessee / Medley: The Minstrel Boy To The War Has Gone – The Ash Grove / Church St. Blues / Macon Rag / Medley: Fiddler’s Dram – Whiskey Before Breakfast / Slow Train Through Geòrgia

Norman Blake — chitarra, voce

Charlie Collins — chitarra

Adorno di un adesivo su cui spicca ‘The Guitar Album’ ed accompagnato dallo slogan le aspettative dei fans di Norman Blake saranno finalmente esaudite”, nel settembre del 1976 appare Whiskey Before Breakfast.

La storia di questo LP è abbastanza curiosa e per molti versi ancora avvolta nel mistero. I nastri vennero registrati originariamente per la King/Starday nel 1972 ed in seguito, causa la crisi finanziaria che investì l’etichetta un tempo di Cincinnati (Ohio), ritirati dal musicista e riproposti alla Rounder in versione riveduta e corretta. E’ quindi un’opera vecchia di quattro anni rispetto alla data di uscita ma, per uno di quei miracoli che solitamente accompagnano i capolavori, sembra essere stata incisa ieri l’altro.

Whiskey Before Breakfast rappresenta il classico canto del cigno del primo periodo musicale di Blake, periodo in cui il repertorio tradizionale viene ulteriormente assimilato, consolidato, offrendo modelli e spunti per elaborazioni originali o composizioni nuove di zecca che sembrano scaturire dalla penna d’oca di un anonimo autore popolare agli albori del minstrel-show; una metempsicosi artistica che riesce solamente a quei pochi musicisti, d’estrazione folkloristica, con tutte le caratteristiche del genio.

Questa prima fase sarà seguita da altre due: un momento di incertezza e smarrimento, che chiameremo ‘di transizione’ (Blackberry Blossom e Directions), il nuovissimo corso tanto arduo da definire evolutivo o involutivo (gli ultimi tre LPs). La succitata divisione è sotto la completa responsabilità del sottoscritto e del tutto arbitraria, oltre che comoda. L’etichetta ‘The Guitar Album’, in bella mostra sulla copertina, corrisponde più ad un’operazione di mercato che al contenuto reale: usando lo stesso metro, sia Home In Sulphur Springs sia addirittura il ‘live’ potrebbero vantare un identico attributo.

E’ vero, l’album in questione presenta un ampio spettro del Blake flat-picker (c/o la stupefacente riedizione di Salt River) e del Blake finger-picker (il prologo della trilogia The Minstrel Boy And The War composta nel 1827 da John Hill Hewitt, figlio dell’autore di Yankee Doodle). Pur tuttavia è altrettanto vero che nell’opera abbondano i brani vocali scelti con infinito gusto e amore nel corpus folkloristico (Six White Horses resa attraverso lo stile caro a Sam McGee, o The Girl I Left In Sunny Tennessee tra le cui note fanno capolino i North Carolina Ramblers di Charlie Poole).

Whiskey Before Beakfast rimane più vicino alla tradizione del Sud-Est di quanto gli slogans pubblicitari facciano supporre, ed è in grado di colmare nel migliore dei modi una grossa lacuna su disco lasciata in eredità dai grandi chitarristi old-time del passato.

 

BLACKBERRY BLOSSOM

Flying Fish 047, 1977

Are You From Dixie / The Rights Of Man Hornpipe / The Highland Light / Railroad Blues / Foggy Valley / Lonesome Jenny / Blackberry Blossom / D Medley / Jerusalem Ridge

Norman Blake — chitarra, mandolino, fiddle, voce

Nancy Blake — violoncello, chitarra

DIRECTIONS

Takoma D-1064, 1978

Blue Ridge Mountain Blues / Thebes / The L&N Don’t Stop Here Anymore / Medley: Loch Lavan Castle – Santa Ana’s Retreat – Cattle In The Cane / Poor Ellen Smith / Uncle Sam / Ice On The Road / Rake & Rambling Blade / High Dad In The Morning / Father’s Hall / White Horse Breakdown / ’76 Blues + 2

Norman Blake — chitarre, mandolino, mandocello, voce

Nancy Blake — violoncello, voce

Miles Anderson — tromboni, tromba, corno in Uncle Sam

Mi è sembrato opportuno raggruppare i due album poiché entrambi presentano qualche affinità, palesano una certa carenza a livello creativo ed espressivo, appartengono insomma al medesimo periodo da noi definito di transizione.

Le analogie più macroscopiche riguardano la mancanza di accompagnatori — tutta la parte strumentale si deve unicamente ai due coniugi — e la presenza di un paio di brani (D Medley e Ice On The Road) che, se ascoltati con attenzione (e col senno di poi), suonano come straordinarie anticipazioni delle opere a venire, contengono cioè in embrione tutti quei tentativi e gli sforzi caparbi di affrontare le melodie popolari e tradizionali da una prospettiva colta, con uno stile accademico.

Comunque, Blackberry Blossom si trascina straccamente dall’inizio alla fine con una sequela di brani inutilmente prolissi cui poco o nulla giovano episodi tanto felici quanto sporadici (The Rights Of Man Hornpipe, Foggy Valley, gli accenti ‘bluesy’ magistralmente piazzati nel titolo omonimo).

Inspiegabilmente lunga, a tratti addirittura monotona, risulta ad esempio Railroad Blues, accreditata a Blake quando, per amor di giustizia, deriva dalla Southern Whoopee Song degli alabamiani Anglin Twins (12 novembre 1938, a più riprese indicata come uno dei primi modelli incisi di blues bianco in duetto), a sua volta ispirata alla versione del vero autore, Sam Fleming McGee (15 agosto 1934 in quel di Richmond, Indiana).

Lo stesso dicasi per le due ballate: troppo dispersive, inconcludenti, dimesse, solo pallide imitazioni dei capolavori precedenti. Jerusalem Ridge, tipico gioiello dell’ultima produzione di Bill Monroe, verrà poi ripresa da Blake ed interpretata in forma smagliante sul disco del Philadelphia Folk Festival del 1977 (Flying Fish 0064).

Directions è un lavoro, in pieno accordo col titolo, proteso verso varie direzioni. L’essenza di un folk contemporaneo o universale (il bluegrass di Monroe in White Horse Breakdown, la velata protesta in The L&N Don’t Stop Here Anymore di Jean Ritchie, il blues) convive in buona armonia con la tradizione (Poor Ellen Smith) e con composizioni originali in cui vengono tentate soluzioni ad effetto anche se stilisticamente discutibili, come l’orgia di fiati nel finale di Uncle Sam (curato da Joseph Byrd, il superbo arrangiatore di Jazz di Ry Cooder), e dove il virtuosismo del chitarrista, con o senza sovraincisioni, ha ancora il sopravvento.

Ancora per poco. La musica di Norman e Nancy sta lentamente cambiando, anela verso nuovi orizzonti, vive il presente guardando sempre più con insistenza il passato: The Rising Fawn String Ensemble ne rappresenterà il manifesto sonoro più compiuto.

Alla fine del 1978, forse in un momento di nostalgia per le atmosfere di sapore country-bluegrass, Blake appare come special-guest nell’album dei Downhome Folks di Buck White, Live At The Old Time Picking Parlor (County 760), e nella primavera dell’anno seguente partecipa con la moglie all’incisione di Ladies On The Steamboat del banjoista Bob Black, ex-Blue Grass Boy (Ridge Runner 0018).

 

THE RISING FAWN STRING ENSEMBLE

Rounder 0122, 1979

Devil Chased Me Around The Stump/ Charlie Gaither / Medley: Over The Waterfall – Opera Reel – Cherokee Shuffle / The Promise / Tin Foil And Stone / Three Ravens / Handsome Molly / Jeff Davis / Medley: Da Slockit Ligth – Briarpicker Brown – Stony Fork / Old Ties / Coming Down From Rising Fawn no. 2

Norman Blake — chitarra, mandolino, fiddle, mandocello, voce

Nancy Blake — violoncello, mandolino

James Bryan — fiddle

The Rising Fawn String Ensemble vede la luce nelle ultime settimane del 1979 e, pur essendo sotto certi aspetti il diretto discendente di The Fields Of November, inaugura una terza fase nella carriera artistica di Blake.

In primo luogo appare subito un lavoro d’equipe in cui l’apporto di James Bryan (violinista occasionale nei Blue Grass Boys di Bill Monroe ai tempi di Together Again) ha una portata decisamente consistente, vi trovano posto composizioni di Nancy (The Promise su toni crepuscolari), il tocco chitarristico di Norman si estrinseca soprattutto nell’accompagnamento ritmico e riacquista i timbri cristallini dì un tempo (Corning Down From Rising Fawn no.2, Handsome Molly), il repertorio si è fatto più maturo con scelte che rivelano uno studio approfondito nella tradizione.

Il suono infine, e questa è la grande novità, ricorda quello di un’eccellente squisita string-band georgiana, non già rurale (che gli Skillet Lickers o i Clodhoppers sono molto lontani), ma più consona ai canoni dei ‘sofisticati’ Dupree’s Rome Boys (1929), degli Swamp Rooters (1930) o dei meglio conosciuti Geòrgia Yellow Hammers (1927-1929).

I brani inseriti nei due medleys strumentali perdono allora la carica naturale e le connotazioni popolari risultando pregni del cosiddetto ‘parlor-style’ (o lo stile da salotto) in voga dall’inizio dell’Ottocento fino al primo dopoguerra sia nell’ambiente dei ricchi coltivatori sudisti che al Nord presso la borghesia degli agglomerati urbani.

Non è difficile notare che l’uso del violoncello, di due violini d’ispirazione classicheggiante, l’assenza del banjo, la chitarra tutta tesa ad imitare l’andamento ritmico del pianoforte (vecchia conoscenza per le melodie ‘nobili’ della settentrionale Nuova Inghilterra) conferiscono a Opera Reel e a Briarpicker Brown (secondo Blake di provenienza ohio-kentuckiana, ma pressoché identica alla Everybody To The Punchin’ della West Virginia e molto nota nella versione del fiddler Clark Kessinger), una dimensione assolutamente diversa da una registrazione sul campo condotta anche oggigiorno.

Dove l’operazione archeologica raggiunge il culmine è nella riproposta esclusivamente strumentale della Child n.26 The Three Ravens (o The Crow Song, The Twa Corbies ecc); e non solo perché la riabilitazione di questa rara ballata scozzese presuppone una notevole preparazione (per il solo fatto di conoscerne l’esistenza), ma soprattutto perché Blake riporta nelle note di copertina, con lievi varianti, due strofe del testo più antico in nostro possesso, ovvero quello pubblicato nel Melismata di Thomas Ravenscroft del 1611.

Si può parlare quindi di un recupero intelligente e ragionato della vecchia gloriosa ‘balladry’ anglo-scozzese colta che, nata e diffusasi dalla e con la trasmissione oro-aurale per generazioni, è ben presto finita nelle raccolte di musica tradizionale più o meno legittime ed illuminate, interrompendo bruscamente con ciò, almeno in Europa, il naturale processo di elaborazione popolare verso la metà del secolo XVIII (c/o i vari romantici Allan Rasmay, Thomas Percy, Joseph Ritson e, in parte, Robert Burns).

Ritornano le classiche ballate, rappresentate qui nella raffinata struttura armonica e nei testi di Charlie Gaither e di Tin Foil And Stone, un omaggio a Clarence Smith, scultore che plasma le proprie creazioni servendosi di rifiuti riciclati.

Lo spirito del vecchio irriducibile sudista, mai sopito in un uomo le cui fattezze ricordano un reduce uscito da una foto ingiallita della guerra civile americana, emerge di prepotenza in una composizione dedicata a Jefferson Davis e ritenuta in buona fede dall’autore un archetipo.

In verità, oltre a numerose parodie e caricature nordiste in musica all’indirizzo dello sfortunato presidente della Confederazione (Jeff In Petticoats la più irriverente), esiste una stupenda canzone scritta da tale Flora Byrne risalente addirittura al 1863.

Il disco si chiude con Old Ties, una delle più belle gemme di Uncle Dave Macon, cui Blake regala una veste inedita.

Tempo fa scrivevo che “dal punto di vista schiettamente tradizionale The Rising Fawn String Ensemble è senza alcun dubbio il miglior album di Norman Blake in assoluto”.

Non ho cambiato opinione.

 

FULL MOON ON THE FARM

Rounder 0144, 1981

Kennedy Rag / Nancy’s Hornpipe / Texola Waltz / Gilderoy / Davenport March / OBC no. 3 / Cairo Waltz / Jacky Tar / Sleepy-eyed Joe / The Dog Star / Salty / Diamonds In The Rough

Norman Blake — chitarre, mandolino, fiddle, voce

Nancy Blake — violoncello, fiddle, mandolino, accordian, voce

James Bryan — fiddle

Charlie Collins — fiddle, chitarra

II 1979 è anche l’anno del 6th Annual Bluegrass & Country Music Festival di Telluride (Colorado). Blake e consorte vi prendono parte con James Bryan e, su disco (Flying Fish 224), presentano una lunga riedizione di Randall Collins in medley con Done Gone. Dal canto suo Norman da vita ad una storica versione di Black Mountain Rag unendosi a Doc Watson e a Dan Crary, gettando un ponte ideale tra la pura tradizione del primo ed il flat-picking avanguardistico (e nervoso) del secondo.

Pochi mesi dopo l’uscita dell’ottavo album il chitarrista è invitato da Bill Monroe alle sedute per Master Of Bluegrass (MCA 5214). Le sessions e l’enorme personalità del ‘padre del bluegrass’ lasceranno una profonda traccia su Blake tanto da influenzare, tutt’altro che in superficie, la sua produzione più recente.

Full Moon On The Farm appare verso la metà del 1981. Poco occorre dire intorno a questo LP che sfortunatamente deve pagare il suo tributo al lavoro precedente ed esce piuttosto malconcio dal confronto; è questa purtroppo una condizione abbastanza comune per lavori che seguono cronologicamente opere ispirate.

Nonostante la presenza di un’isolata interpretazione vocale — il gospel bianco Diamonds In The Rough, che richiama la Carter Family per quanto riguarda l’impostazione corale a due voci e le predicatrici ambulanti Rev. Baybie Hoover e Virginia Brown per il singolare accompagnamento di una fisarmonica — Full Moon On The Farm si può considerare un album totalmente strumentale con le medesime caratteristiche del predecessore.

Trattasi di otm-revival di qualità elevata, eseguita in stile cosidetto ‘da salotto’, che accanto a brani tradizionali (Sleepy-Eyed Joe, Gilderoy) o d’autore ma entrati ormai da tempo nel folklore (Kennedy Rag, composto dal fiddler Charles Nevins Stripling ed inciso per la prima volta col fratello nel 1928, o Salty, un’apoteosi bluegrass di Kenny Baker), affianca motivi autografi.

Nancy presenta Texola Waltz dove l’accordion all’unisono con due fiddles fa subito pensare alla Louisiana: il proposito di imitare lo stile regionale è evidente, ma lo spirito cajun, indispensabile, presto si dissolve al cospetto del solito approccio colto dalla musica popolare. Due sono le cose positive da ritenere: The Dog Star, un originale di Norman di difficile collocazione (musica da camera calata in epoca rinascimentale?), avvisaglia di prossimi drastici cambiamenti, e la segreta fantasia, covata dall’artista, di ritornare al 1930 ed animare una street-band itinerante, di moda all’epoca.

Semplici indicazioni o solide promesse? Bisognerà aspettare quasi due anni.

 

ORIGINAL, UNDERGROUND MUSIC FROM THE MYSTERIOUS SOUTH

Rounder 0166, 1983

New Brick Road / Dusty Rose / Walnut River / Pig On The Engine / Third Street Gypsy Rag / Geòrgia Home / Peezlewhister / Old Fiddler’s Roll Call / Pueblo / The Toneality / Natasha’s Waltz / Blake’s March

Norman Blake — chitarra, mandolino, banjo tenore a 8 corde, mandocello

Nancy Blake — violoncello, mandolino

Carl Jones – chitarra, mandolino, mandola, banjo tenore a 8 corde

Peter Ostrusko — mandolino, fiddle, chitarra

Larry Sledge — mandocello

Dei primi mesi del 1983 è infatti l’ultima fatica di Blake. Originai Underground Music From The Mysterious South riserva non poche sorprese e, ammettiamolo pure, va addirittura oltre, molto oltre, ogni aspettativa.

Già il titolo la dice lunga: eliminato il compromesso ed il sottile equilibrio di Old & New, bandite una volta per tutte le incertezze e la candida innocenza di Directions.  E’ musica originale composta interamente dai Blakes (10 brani di Norman e 2 di Nancy), eseguita da una string-band di cinque elementi (l’ultima esperienza in questo senso risale a ben otto anni prima e con presupposti peraltro molto differenti), dove ogni membro ha un suo spazio definito ed un compito preciso.

Se Full Moon On The Farm — album strumentale, non si dimentichi — gettava fumo negli occhi dell’appassionato presentando ancora pregevoli parti di chitarra ed un notevole aggancio al folklore sudista, in questo LP lo strumento di Blake quasi non esiste e tutti i titoli, con le sole eccezioni di Geòrgia Home (vagamente riconducibile all’area bluegrass) e Blake’s March (vicina per certi passaggi ai fiddle-tunes scoto-irlandesi) con la musica tradizionale non hanno più nulla a che fare.

L”original underground music’ sembra essere qualcosa di spontaneo ed autonomo nato nel profondo Sud come risposta alla musica pseudo-popolare (d’ispirazione classica) importata dal Vecchio Continente, un tentativo, probabilmente molto discutibile e giunto ormai alla seconda fase, di ridare dignità alla melodia rurale, un tempo tradizionale (ed in quest’ottica va letto il ‘parlor-style’), oggi fondata su motivi composti ad uopo.

E’ quindi una produzione parallela ed alternativa rispetto al folklore, concepita da musicisti che — non suoni come un paradosso — vivono gli anni Ottanta vivendo contemporaneamente la musica al passato, al presente e al futuro.

La mandolin-orchestra, Master Of Bluegrass di Bill Monroe e l’ultima produzione di David Grisman rappresentano i tre stadi e le tre principali influenze.

Le mandolin-orchestras, fiorite in USA dal 1905 al 1910, solevano saccheggiare il repertorio classico-cameristico affidando al mandolino le parti del violino, alla mandola le parti della viola, al mandocello quelle originali del violoncello. Natasha’s Waltz e Third Street Gypsy Rag (entrambi elabo­razioni su tematiche etnico-musicali dell’ Europa dell’Est) sono eccellenti esempi sonori in tal senso.

Bill Monroe e David Grisman stanno ad indicare il presente ed il futuro, rispettivamente. Il primo, soprattutto con l’album menzionato, ha portato il bluegrass a livelli compositivi ed esecutivi senza precedenti; il campione della cosiddetta ‘Dawg music’, con Mondo Mando, è riuscito persino a travolgere qualsiasi ostacolo che ancora intralciava la musica acustica per strumenti a corda, primo il mandolino, inventando possibilità di cui proprio non è dato vedere il limite.

Walnut River e The Toneality di Norman, insieme a Peezlewhister della moglie, attraverso la struttura complessa, un’elaborazione d’accordi senza soluzione di continuità, i momenti rarefatti, sognanti o vigorosi, i sottili ricami tra mandolini e derivati, fiddle e violoncello, suggeriscono spunti captati dall’uno e dall’altro artista.

Da parte mia devo confessare che il risultato generale, ferme le premesse, non mi entusiasma particolarmente, essendo questo un tipo di musica che fa del virtuosismo, del totale autocompiacimento, del più completo narcisismo da parte dei musicisti una vera e propria bandiera. Le opinioni dei comuni mortali, come sempre di fronte a svolte radicali nella carriera di un artista, abbracciano una vastissima gamma di posizioni.

Chi è pronto a giurare che l”original underground music’ rimarrà un episodio isolato, chi non riesce a capacitarsi del perché Norman abbia rinunciato alle sue favolose Martin, chi crede nel nuovo corso e ne prevede un ulteriore fantasmagorico sviluppo, chi infine è convinto di avere in tasca la ricetta della musica tradizionale e popolare del XXI0 secolo.

10.3.1938

Acoustic Guitar

Pierangelo Valenti, fonte Hi, Folks!, 1983

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