Norman Lee Blake è uno di quegli artisti al quale va la mia più profonda ammirazione. I suoi sei album da solista non fanno altro che confermare, di volta in volta e sempre meglio, l’indissolubilità della sua musica con la tradizione, sua vera matrice e genuina ispirazione. Invito caldamente coloro i quali ritengono Norman Blake un interprete progressivo di folk-song o, peggio ancora, quelli che lo definiscono semplicemente come un musicista di bluegrass (con quali presupposti??) ad ascoltare attentamente questa sua ultima fatica (e la parola fatica qui non è puramente retorica!). Si accorgeranno ancora una volta di trovarsi di fronte ad un’opera basata su di un unico cardine, la otm, sviluppata coerentemente ed onestamente su temi tradizionali e suonata con un gusto ed una tecnica ineccepibili e di prim’ordine.
Se si escludono le string bands composte da giovani entusiasti (il compianto Pat Dunford, John Cohen, Mike Seeger, Bill Hicks, Art Rosembaun, Bob Abrams, Tommy Thompson, Alan Jabbour ecc. ecc.), che non si limitano alla pura esecuzione ed alla sistematica imitazione dei modelli, ma che con fieldrecordings (registrazioni su campo) e studi approfonditi accostano l’otm da un punto di vista scientifico (oltre che emotivo), esistono pochi artisti che portano avanti un discorso di seria divulgazione di detta musica, paradossalmente diventata un fenomeno di élite.
Blake rientra in questa esigua e coraggiosa schiera coll’aver recepito i temi cari all’otm e con l’essere andato oltre, facendo cioè tesoro di questi temi nelle sue composizioni originali. L’album in questione si apre con un brano non tradizionale (ma entrato comunque nella tradizione), legato ai Blue Sky Boys (Bill & Earl Bolick) ed inciso dai due nell’agosto del ’39, Are You From Dixie (Siete del Sud?). La versione di Blake, conforme all’originale, con in più un tocco chitarristico eccellente, è una sorta di presentazione del motivo conduttore di tutto il disco: la musica del sud degli Stati Uniti (Norman, tra l’altro, è del Tennessee).
Un flat-top picking style di pregevolissima fattura di Blake, affiancato dal delizioso, ma vigoroso, violoncello della moglie Nancy, conduce il motivo irlandese per cornamusa The Rights Of Man Hornpipe (la musica irlandese è oggetto oggigiorno di una massiccia riscoperta) e la canzone (non già ballata), composta da Blake stesso, Lonesome Jenny.
Railroad Blues, sebbene attribuita al nostro artista, deriva tuttavia da Southern Whoopee Song degli Anglin Brothers, a sua volta l’esatto rifacimento della celebre Railroad Blues del vero autore Sam Fleming McGee, un chitarrista e cantante bianco al quale Blake deve molto, a cominciare dal particolare uso della voce. E’ interessante a tale proposito comparare la versione presente qui (lunghissima, col testo modificato) con quella di Sam (per esempio in County 511, Arhoolie 5012, Folkways 2379) o con la versione ad usum delphini che ne dà Tom Paley dei New Lost City Ramblers (Folkways 2398).
Foggy Valley (un’altra composizione di Blake) è l’unico brano dell’album in cui l’artista si cimenta al mandolino con la moglie alla chitarra; è un vero peccato che l’episodio al mandolino sia unico, essendo Blake in possesso di un fraseggio pari forse a quello del miglior Frank Wakefield, un mandolinista d’eccezione. I capolavori dell’album sono, a mio avviso, i due brani tradizionali: Blackberry Blossom e D. Medley. Il primo è un vecchio fiddle-tune, adattato qui alla chitarra, che risale alla guerra civile. Inciso probabilmente per la prima volta (non mi risultano incisioni antecedenti) da Dick Burnett e Oscar Ruttledge il 19 aprile 1930, è conosciutissimo da tutti i fiddlers e non (Sam McGee, Doc Watson, Dudley Hill), dal Kentucky orientale (Wild Rose Of The Mountain), alla West Virginia (Yew Piney Mountain).
D Medley contiene invece una selezione, in Re maggiore, dello stesso Blake, di quattro altrettanto note melodie per violino, nell’ordine: Susanna Gal (o Western Country o Fly Around My Pretty Little Miss o ancora Blue Eyed Girl), Bill Cheatham, The Year Of Jubilo e Fisher’s Hornpipe. Per gli interessati aggiungo che sono quattro le hornpipes più conosciute tra i violinisti di otm, Fisher’s, Rickett’s, Sailor’s e Durang’s Hornpipe; suonate tutte generalmente in Re, si possono trovare anche in trascrizioni in Fa (versioni pubblicate) e più raramente in Sol (area intorno a Galax, Virginia).
Un appunto del tutto personale: pare che il fiore ed il frutto (la mora) del rovo (blackberry) siano i più resistenti all’inquinamento ambientale; dato per certo che la scelta del titolo dell’album non sia casuale, l’allegoria è valida anche da un punto di vista strettamente musicale? Superlativo.
P.S. Voglio dedicare quest’album agli ingenui che reputano l’otm una musica d’altri tempi.
Flying Fish 047 (Old Time Music, 1977)
Pierangelo Valenti, fonte Mucchio Selvaggio n. 5, 1978
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