Peppino D’Agostino

Quando sentono il suo nome a San Francisco pensano sia arrivato per aprire l’ennesima pizzeria o ‘spaghetti-house’. Invece Peppino D’Agostino negli States e approdato per suonare fingerpicking insieme alla sua Martin D18. La cosa apparentemente incredibile è come sia riuscito a ritagliarsi un suo spazio in un ambiente dove di chitarristi validi ne esistono tanti, e dove se non hai il difficile pregio dell’originalità le possibilità di emergere sono davvero scarse. L’essere riuscito nell’arco di un paio di anni a produrre due LP e il fatto di essere stato ‘catturato’ dallo stesso manager di personaggi del calibro di Alex de Grassi, sono la dimostrazione di un talento che risulta oggi indiscutibile.

La stessa rivista Frets, vera e propria ‘Bibbia’ per gli appassionati di musica acustica, si è occupata di lui. Molti sono i concerti che D’Agostino tiene negli USA a dimostrazione che ci troviamo di fronte a qualcosa di più di un personaggio emergente nel campo della musica acustica. Indubbiamente colpisce trovare il suo nome sbucare accanto a quelli di John Renbourn, Peter Lang, Guy Van Duser ecc. nel cartellone di uno dei tanti fingerstyle guitar festival che si tengono in America. In realtà Peppino, siciliano d’origine e torinese d’adozione, sarebbe dovuto diventare avvocato. A legge riuscì ad arrivare però solo al terzo anno, poi la musica prese il sopravvento con la solita delusione di mamma e papà, due insegnanti che avrebbero voluto che il figlio seguisse ben altre vie. Una passione per la musica che ha contagiato anche il fratello Piero, per il quale però la chitarra è rimasta solo un hobby. A D’Agostino, di passaggio in Italia, abbiamo rivolto alcune domande.

Quando hai cominciato a suonare e che cosa suonavi?
Avevo circa undici anni e come tanti ragazzi della mia età impazzivo per i Beatles e i gruppi italiani tipo Equipe 84. Strimpellavo qualche accordo tentando di ripetere brani tipo Apache degli Shadows. Importante è stato scoprire i dischi di Crosby, Stlills, Nash & Young a sedici-diciassette anni, di li la voglia di suonare acustico utilizzando in particolare le intavolature che la casa discografica Kicking Mule poteva farti arrivare per posta.

Anche tu sei quindi un autodidatta?
Praticamente sì; agli inizi degli inni ’70 era veramente difficile trovare a Torino qualcuno che potesse insegnarti fingerpicking o flatpicking. Ricordo ancora come fossimo pieni di entusiasmo per un nostro amico tornato dalla Francia a cui un americano aveva insegnato Freight Train,

Le tue prime chitarre?
La prima fu una Meazzi con le corde di nylon, poi un’elettrica EKO semiacustica amplificata con un Meazzi a valvole piccolissimo che non so che fine abbia fatto… farei chissà che cosa per riaverlo.

Quando hai cominciato a fare i primi concetti?
Insieme ad Enzo Ponzio ed Alfredo Morabito formammo un trio di fingerpicking e riuscimmo persino ad aprire un concerto di Stefan Grossman. Nel 1981 producemmo il primo disco con il nome di Bluerba. Avevamo due Ovation classiche, più la mia Martiri D18 amplificata con un Dean Markley a contatto. A volte una chitarra veniva sostituita con un banjo. Eravamo in pochi a fare queste cose allora, permettimi anche di ricordare un banjoista molto bravo che allora suonava nel nostro giro: Enzo Longo.

Quali sono i musicisti che ritieni ti abbiano maggiormente influenzato?
Direi tanti: Renbourn, John Mc Laughlin, Pat Metheny ecc. Tra i chitarristi classici John Williams e Julian Bream. In campo jazzistico mi hanno sempre colpito musicisti tipo Coltrane e Parker.

Ti eserciti molto quando non sei in tournée?
Non in modo particolare ora. Piuttosto dirci che è l’insegnamento la cosa che più mi impegna quando sono a San Francisco. E poi naturalmente ascolto musica, di ogni genere, che poi filtro per creare composizioni per chitarra.

Come definiresti la tua musica.
Qualcuno la ricollega alla ‘new age’, ma a me il termine non piace. E’ semplicemente un modo di suonare la chitarra che percepisce le influenze musicali più disparate.

Conte nascano l tuoi brani?
Non c’è un modo particolare, il difficile sta nel creare linee melodiche che tocchino te e chi ascolta, non mi interessa invece il virtuosismo fine a se stesso. Quello che è veramente difficile è creare poi un supporto armonico originale, e questa è la cosa più complicata.

Nella tua attività didattica so che hai la necessità di dover ‘tirere giù’ brani di altri chitarristi per trascrivente le intavolature. Come procedi?
Riesco a farlo in genere senza rallentare la velocità del registratore. Ritengo che la trascrizione possa anche contenere alcune diversità rispetto al pezzo originale, ma se l’intavolatura è diretta ad una rivista, cerco di essere più fedele possibile.

Suoni sempre da solo o con altri musicisti?
Tendenzialmente da solo, anche se mi piace suonare assieme agli altri. Mi piacerebbe in futuro formare un gruppo di 4/5 persone con flauto, contrabbasso, pianoforte e percussioni.

Che ne pensi dell’affermazione secondo la quale oggi nel campo della chitarra acustica staremmo di fronte ad una crisi di creatività?
Ritengo cha musicisti come John Fahey, Leo Kottke, ecc. abbiano ancora diverse frecce al loro arco, sono convinto che da loro è possibile aspettarsi altre sorprese. Cercare di creare qualcosa di nuovo non è certo facile. Quello che ogni musicista alla fine desidera è creare sonorità che lo rendano subito riconoscibile. Guarda per esempio Bensusan e l’uso che fa dell’elettronica al servizio della musica acustica.

Spiegaci perché la decisione di andare a vivere negli USA?
Perché per il genere che faccio le possibilità sono davvero più grandi. C’ero già stato nell’82, successivamente ho deciso di fermarmi. Poi tieni conto che sono sposato con un’americana.  Riguardo a quest’ ultimo aspetto si dice in genere che per un musicista non è facile il rapporto che si viene a instaurare con la propria compagna.
Fortunatamente non è il mio caso. Mia moglie è per me una preziosa consigliera. Tanto più che fa la dietologa e mi dà utili consigli sul mangiare e su come organizzare la vita di ogni giorno, Oggi sei qui domani sei là, è facile entrare in un vortice che ti porta a condurre una vita disordinata ed alla fine a compromettere proprio la tua salute e la tua musica.

Anche Bensusan nel suo libro ha dato consigli non solo musicali, ma anche… ,gastronomici, ginnastica per le dita ecc. C’è ancora invece chi continua a pensare al luogo comune del musicista dedito al fumo, all’alcool o peggio alla droga.
Per quel che mi riguarda cerco di curare in particolare il mangiare e contemporaneamente l’attività fisica. Anche quando sono in giro cerco di seguire una dieta prevalentemente vegetariana, o almeno di evitare le carni rosse. Se è vero che negli USA si mangia in maniera molto discutibile, è anche vero che ristoranti e negozi naturali sono un po’ dovunque. Poi non dimentichiamo che in California c’è una vera e propria mania per lo sport e anch’io mi sono volentieri adeguato: cerco di correre al mattino e quando è possibile di giocare a calcio. Prima di ogni concerto mi tengo leggero e faccio esercizi di respirazione: aiutano a vincere la tensione.

Non è meglio chiamarla paura?
Si, è vero. E’ una vecchietta che viaggia con noi e con cui devi abituarti a convivere. Puoi essere anche la persona più sicura di se stessa, ma quando per esempio c’è da aprire un concerto di Doc Watson ti senti pieno di responsabilità. A me è capitato persino di suonare a Sacramento in un teatro di duemila posti, pieno zeppo, dove il pubblico si aspettava di trovarsi davanti un gruppo e invece sono arrivato io, da solo, con la chitarra. Sfido chiunque in certe occasioni a non ammettere di aver avuto i brividi. E’ buona regola comunque iniziare sempre con un brano con il quale hai una certa confidenza. In fondo poi la tensione che precede un concerto ti aiuta a stare sveglio

Sei soddisfatto della tua scelta americana?
Si, c’è stato un momento in cui la chitarra acustica era diventata per me la cosa più importante e in Europa purtroppo gli spazi si erano ristretti. San Francisco l’ho scelta perché per un italiano è il posto che va meglio. E poi la scena musicale é molto vivace. I primi tempi sono stati difficili, ma non durissimi. É vero che ho fatto il lavapiatti, l’imbianchino ecc., ma debbo dire che è durato poco e alla fine il fatto che non fossi americano mi ha giovato.

Che differenza c’è tra il pubblico americano e quello europeo?
C’e più rispetto per il musicista, in particolare acustico. Molte trasmissioni TV e radio specializzate, tanti teatri. In alcuni locali riesco a suonare anche senza impianto di amplificazione, situazione questa che amo moltissimo, perché la chitarra torna ad essere veramente quello che è.

Sei tra coloro che leggono la musica?
Si, adesso comincio ad usare anche il computer. Ma scrivi pure che essere un buon .musicista non vuoi dire necesrsariamente conoscere il pentagramma o gettarsi a capofitto nell’informatica.

C’è qualche locale in cui hai suonato e che ricordi con particolare piacere?
Direi il ‘Great american music-hall’ a San Francisco e il ‘Folkstudio’ a Roma.

Segui la musica rock ed utilizzi la chitarra elettrica?
II rock cerco di seguirlo, ma il tempo a disposizione è quello che è. Vorrei riprendere a suonare la chitarra elettrica e sono curioso di sperimentare il sistema midi. Quando mi comprerò  una chitarra elettrica voglio indirizzarmi verso una semiacustica, tipo Gibson. E’ più vicina a quelle sonorità jazz che in questo momento mi affascinano di più.

Utilizzi i fingerpicks per suonare?
No, suono con quattro dita con la destra, ma utilizzando le unghie. Purtroppo talvolta qualcuna si rompe e cerco così di usare quelle colle per ‘riattaccarle’ che oggi usano in America, ma non sempre i risultati sono soddisfacenti. Se uno si abitua, si riesce anche a suonare con le unghie corte: si spezzano molto meno.

C’è un musicista che apprezzi in modo particolare?
Ce ne sono diversi, se proprio vuoi che faccia un nome il primo che mi viene in mente è proprio quello di Leo Kottke. Ritengo che abbia un senso del ritmo incredibile e mi piacciono anche i suoi ultimi dischi. E pensare che dopo 25 anni ha dovuto cambiare il suo modo di suonare a causa di una fastidiosa tendinite.

E un musicista che a tuo parere nel campo della chitarra acustica non è stato ancora valorizzato a sufficienza?
Duck Baker. E non lo dico certo solo per motivi sentimentali, perché come sai Duk ha vissuto a Torino negli anni’70 prima di tornare qui a San Francisco. Le sue lezioni mi sono state molto utili.

Quali sono i rapporti fra i musicisti negli USA. Esistono o no fenomeni di competitività, arrivismo, ecc.?
Direi che tutto sommato la competitività sia poca. I musicisti sono tanti, ma gli spazi per suonare sono altrettanto numerosi. Pensa che c’è gente che suona nelle strade e riesce a campare in questo modo.

Parlaci della tua tecnica musicale.
Fortunatamente nella chitarra acustica c’è una maggiore libertà rispetto alla chitarra classica dove tutto è invece molto più codificato. Prima di tutto come avrai notato io non ho il mignolo della destra ancorato alla cassa, cambio posizione delle gambe a seconda del pezzo, anche se quella che preferisco è con le gambe semplicemente accavallate. Utilizzo anche la tecnica del ‘tapping’ e mi piace poi usare la cassa della chitarra per creare effetti percussivi. Ma forse quello che più ha colpito gli americani sono gli armonici che faccio poi vibrare premendo le corde nel tratto che dalle meccaniche va al capotasto.

Vedo che anche tu utilizzi molto le accordature aperte.
Mi piace molto sperimentare le accordature più disparate perché ritengo che abbiano aperto prospettive incredibili nell’utilizzo della chitarra acustica.

Che corde usi?
Le D’Addario extra light (010) al fosforo bronzo che, rispetto alla classica lega in bronzo, hanno una timbrica che a me piace di più. Le cambio ad ogni concerto o registrazione.

Che chitarre usi attualmente?
Ho sempre la Martin D18 del ’72 che mi ha accompagnato agli inizi, ma adesso la mia preferita è una Taylor a spalla mancante. Talvolta uso l’Ovation 1624 che è una classica elettrificata. La Tayior l’ho fatta costruire tenendo conto che avevo l’esigenza di usare corde extra-light. La tastiera è leggermente più larga, mentre il manico è più sottile del solito.

Come amplifichi la chitarra?
Non sono uno che ama interessarsi particolarmente a questi problemi, confesso che mi faccio molto guidare. Le scelte che ho fatto mi sono state consigliate da De Grassi. Utilizzo un pick-up Thin Line 332 sotto l’ossicino del ponte, contemporaneamente ho incastrato nella buca un Sunrise. Davanti alla buca metto poi un microfono AKG C 460 cardioide molto delicato, ma anche molto preciso e sensibile. E’ un sistema di amplificazione meno complicato di quanto sembra, anche se alla fine sono tre i segnali che arrivano all’impianto. Il check-up prima del concerto non dura peró mai meno di un’ora, un’ora e mezzo.

Usi degli effetti?
Praticamente solo il riverbero, che per la precisione è un Alesis Minireverb di cui sono molto soddisfatto e che non costa nemmeno tanto. Non uso il chorus come fanno molti chitarristi acustici. Anni fa facevo qualche pezzo con il phaser, ma ora non più. Se suono in un posto dove c’è confusione tengo inserito l’accordatore elettronico per agevolare il passaggio da un’accordatura all’altra.

Ci sono delle chitarre che sogni in modo particolare?
Ho conosciuto un liutaio di San Francisco, George Peacock, che fa chitarre meravigliose, e penso che per i miei futuri acquisti mi rivolgerò a lui. Molto apprezzato negli USA è anche il liutaio Somoji (suonano sue chitarre De Grassi e Hetch, ndr). In questo momento negli USA stanno di nuovo andando molto bene le Martin. Tra i musicisti le Martin OM e Dreadnought sono sempre molto diffuse.

Conosci chitarre di liutai italiani come GBL, Masetti, Raspagni, Plm?
No, anche se so che Duck Baker ha una chitarra Mantra fatta a Milano.

Che consigli daresti  ad un giovane che volesse dedicarsi alla musica acustica?
Di non lasciarsi scoraggiare dalle difficoltà e non aver paura. Soprattutto di ascoltare di tutto in modo da non limitare i propri orizzonti musicali e andare poi dove la tua musica ti porta perché è fondamentale essere disposti a viaggiare in questo lavoro.

Tullio Rapone, fonte Chitarre n. 38, 1989

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