Articolo di Old Time Music e Bluegrass

Ponderosa mon amour. L’11 e 12 giugno si è svolta al Ponderosa Ranch di Tradate la Seconda Convention italiana di musica Old Time e Bluegrass. Diciassette fra gruppi e solisti, venti ore di musica, un paio di giorni da ricordare. Da ricordare perché? Cosa si nasconde dietro questa Woodstock formato famiglia, sepolta nel verde del contado del Seprio, pilotata e ridipinta a nuovo come un Bean Blossom mediterraneo, ricca di umori musicali, collettivi, liberatori come un festival rock, dotta nella sostanza e nella forma come e quanto le Conventions americane?
Un paio d’anni fa Maria Rosaria D’Amico festeggiò sul Corriere Illustrato l’avvento della musica country in Italia (che per il grande pubblico, troppo disinformato, si riduceva a John Denver, Dolly Parton, magari Willie Nelson, ma chi conosce ancora oggi Bill Monroe?) con un articolo che titolava “Quei violini di campagna”. Non sapeva ancora, la collega, che avrebbe involontariamente colto il segno che serpeggiava fra il verde del Ponderosa Ranch.
Noi diciamo oggi che questa Seconda Convention l’abbiamo vissuta così, e non perché conosciamo solo John Denver e Dolly Parton.

Ponderosa mon amour. Quest’anno Hi,Folks! si è spinto oltre i confini del bricolage famigliare, del raduno amichevole di 50 appassionati musicisti e di 2 o 3 mila spettatori interessati. Quest’anno c’erano i New Grass Revival e Mike Seeger, c’era di nuovo Jon Cooper, violinista di Portland, Maine (non Oregon) trapiantato a Cremona fra botteghe di liuto e violini d’altre età, c’era una mappa vivente del bluegrass e dell’old time in Italia. Tre chicche d’America — che hanno calamitato il pubblico convincendolo a disertare i contemporanei concerti di Van Morrison sabato e del trio McLaughlin, Di Meola, De Lucia domenica a Milano — ad ornare il pancake nostrano e a dare lustro a una Convention che insieme al pregio indiscusso di essere il primo e unico esperimento finora tentato nel nostro paese in tale ambito, unisce il merito di aver squarciato per molti il velo di nuovi orizzonti musicali. La via per Damasco passa anche per Ponderosa.
Ponderosa mon amour. Sul palcoscenico che troneggiava in fondo a un prato che i campioni varesini di freesbee (così l’etimo australiano) e gli irriducibili campeggiatori delle contrade musicali hanno reso un parterre degno delle migliori tradizioni, hanno sfilato i giovani campioni del bluegrass made in Italy, dell’old time sognato e riproposto, di quella musica che — ricorda Silvio Ferretti — è bella se non viene copiata, o addirittura plagiata, ma anche — aggiungiamo noi — se riesce a toccarti qualche corda che non hai ancora teso sul tuo mandolino o sul tuo banjo, ma ancora nascondi nella tua fantasia.
Sabato 11, pomeriggio d’apertura, c’erano otto gruppi ed un solista, Jon Cooper. Non diremo chi ha sbagliato e chi ha eccelso, ma ricorderemo, noi conquistati da violini di campagna anche se non conosciamo solo John Denver e Dolly Parton, chi ci ha emozionato, chi ha inventato qualcosa, chi ha rapito il pubblico dall’indolenza delle cose quotidiane.

Jon Cooper, per esempio, fiddle-player dalla preoccupante versatilità, che ha gusto e movimento, fantasia e semplicità, come è giusto che sia un musicista cresciuto nell’America Wasp della costa dell’Est. Come gli Old Banjo Brothers, band romana che vanta perfino un disco, molto attenta a trasgredire e stravolgere con un eclettismo sorprendente ogni stilema rigorosamente bluegrass, per farne materiale a volte incandescente (loro lo chiamano, o qualcuno per loro lo chiama, bluegrass ‘progressivo’) un amore, noi diremo, molto poco celato per il rock, soprattutto quando si cita Eric Clapton, o si propongono composizioni originali dal carattere affascinante.
Ma ci ha rapito anche la Red Wine, con punte di spicco in Silvio Ferretti (proviamo a confrontarlo con Mariano De Simone: due bei banjos tanto diversi.,.) e Martino Coppo, la band dal suono più pulito della Convention, un piccolo prodigio in un’epoca di approssimazione per difetto e di grandi fiaschi per eccesso, bluegrass d.o.c. con molte vanità legittime di entrare nell’empireo dei grandi.
Bravi anche i Country Jamboree, penalizzati dalla pioggia e dalle noie tecniche, ma capaci di riscatto, soprattutto considerando che suonavano prima dei New Grass Revival, davanti ad una parte del pubblico venuto al Ponderosa apposta per la band americana.

Ponderosa mon amour. Con l’esaltante concerto dei New Grass Revival c’era anche il tocco della gloria, il materiale per un album live, il diritto ad entrare nella storia, l’orgoglio di questo ‘Mundialito’ dell’old time-bluegrass. Tutti sabato notte parlarono di Sam Bush (chiamandolo ‘Sem Bash’, ma non ha importanza) e del suo mandolino dall’action molto alta e dal portamento molto basso. Tutti parlarono di Bela Fleck, scoprendo uno con l’aiuto dell’altro che si può andare oltre Earl Scruggs e Bill Keith senza imitare i Tuxedo Moon. Straordinari e professionali, i New Grass Revival verranno ricordati da chi dimenticherà il nome Ponderosa, e idolatrati da chi al Ponderosa c’è andato con lo strumento sotto braccio anche se non faceva parte del cartellone. Come noi. ad esempio.
Dei New Grass Revival ricorderemo il gusto prodigioso della forzatura, che negli Stati Uniti è un merito ed in Italia – dove la ‘compositas’ si impara nelle buone famiglie – fa storcere il naso. I New Grass forzano tutto, dal ritmo allo stile, dalla tradizione all’impasto vocale, ma in compenso inventano, oh sì, inventano qualcosa di nuovo.

“Nessuno di noi sarà mai come loro”, ci diceva un musicista vestito con una T-shirt targata Seldom Scene, e siamo un po’ tentati di dargli ragione. “Hanno richiamato il pubblico dei concerti ma hanno allontanato quello dei musicisti e dei piccoli dilettanti”, confidava un cantautore italico vestito da texano con accento romano, notando che fra le file dei giovani nel parterre erboso c’erano innumerevoli volti che popolano d’abitudine i concerti rock e meno facce intimidite dai primi passi mossi nel bluegrass dell’anno precedente.
Hanno ragione tutti e due, sia ‘Seldom Scene’ che il texano, ma chi si è perso i New Grass Revival (che noi, tra parentesi, vedemmo al Russian River Folk Festival due anni fa, quando Bela Fleck ancora non militava, e che ci rasserenerò il soggiorno californiano) e per caso ama questa musica sappia che non lo perdoneremo.
Ponderosa mon amour. Si ricomincia domenica a mezzogiorno, mentre gruppi sempre più numerosi si accalcano intorno ai musicisti che provano tra loro, si scambiano tablature e consigli, si accordano per eseguire un brano e fanno spettacolo nello spettacolo, come i film di Bunuel o i movie-movie americani. Di domenica ricorderemo un’esibizione deludente della Pick-a-Ditty String Band, precettata dopo aver ascoltato il mandolinista ‘Speedfinger’ Gerard (svizzero come tutto il gruppo, e questo doveva già dar da pensare: noi ne conosciamo un altro, i Sarclon, svizzeri e appassionati di old time, in realtà distanti lunghe leghe dal mood che vogliono riproporre) alla fiddlers’ convention di Galax in Virginia.

Ma ricorderemo anche la splendida esibizione dei Bluegrass Stuff, forse gli unici che danno realmente la sensazione di divertirsi quando suonano. Spettacolare come sempre Dino ‘J.D. Crowe’ Barbè, banjoista metodista che pensa e suona come il suo soprannome, tenor e high tenor di allarmante bravura il chitarrista Caremoli, esilarante il cantante-comico Cesana. un po’ in ombra Massimo Gatti, rasato a zero come Marvin Hagler per l’occasione. Anche lui a volte può dirsi ‘The marvellous’. Non però al Ponderosa. Bravi il basso (anzi, il contrabbasso) Maderna e l’enfant prodige Pino Perri al dobro (o ‘alla’ dobro).
Di Mike Seeger, etnomusicologo prima che musicista (ce lo fecero studiare anni fa Roberto Leydi e Bruno Pianta quando imparavamo a distinguere tra Raul Casadei e i violinisti dell’Appennino Tosco-Emiliano), ricorderemo il portamento quasi classico nell’offrire quella musica che insieme con i New Lost City Ramblers è penetrata forse per prima nella fantasia di tutti i musicisti appassionati di tradizione popolare nordamericana una decina di anni fa. Seeger suona tutto, canta tutto, cambia stile tre volte nello stesso brano, è un computer autoalimentato che produce old time, che canta con sonorità e timbriche di segno opposto, che cita Kenny Baker, Hazel Dickens, i fiddlers del West Virginia, la Carter Family, i suoi amici della costa, le radio ballads, Ewan Mac Coll, perfino sua sorella Peggy con meritevole precisione e stile. Il Ponderosa poteva vivere solo del suo nome. Non per niente il Tirreno, che stranamente si occupa anche di bluegrass e old time, dava notizia pochi giorni prima della Convention della venuta del solo Mike Seeger a Tradate (oltre che di una prossima tournée di Norman Blake, ma non gli abbiamo voluto credere). Il Tirreno è un quotidiano della Versilia, la copia in nostro possesso è stata acquistata a Forte dei Marmi.

Questo è tutto su Seeger, ma aggiungiamo che nell’abilità eclettica di Seeger facciamo rientrare anche l’esibizione con ‘Isabelle the Baker’ Pinucci (chi possiede il disco della Prima Convention Italiana sa perché la chiamiamo così), piena d’emozione ma molto applaudita, e con altri musicisti italiani e non. L’abilità di Seeger sta nel mettersi in sintonia anche con chi non fa il suo mestiere.
Ponderosa mon amour. Sul finire della Convention ricordiamo ancora la Southern Comfort String Band, quintetto che spazia dal bluegrass classico a quello progressivo, sovrastato per statura musicale ed impatto scenico dal banjoista Menconi (di cui dicono che ha fondato in pratica una scuola: “ma tu sei della scuola di Menconi?”, ci chiede un ragazzo che scambia la nostra custodia per mandolino per una di banjo), ma sostanzialmente simile all’anno scorso nello stile e nell’esibizione. Il sospetto che la scaletta sia la stessa del 1982 è fortissimo. Poi i Moonshine Brothers, ‘three angels’ biblici di nome Stefanini, messi da Dio in provincia di Bologna per metà dell’anno e rapiti dall’arcangelo Gabriele (loro cugino) per l’altra metà che trascorrono negli Stati Uniti a diventare ancora più bravi. Inarrivabili, riconosciamolo, sia nelle square dance che nei fiddle tunes dai nomi fantasiosi, terribili nella difficile imprecisione caratteristica dei fiddlers da cui vanno ad imparare ed esaltanti nel drive con cui sfornano le loro favole in musica.

In chiusura la Watermelon Gandolins, con il banjo del giovane Bruno Guaitamacchi e il violino di Stefano Bonvini, un gruppo che ha saltato a piè pari il bluegrass classico (chiamiamolo pure così) per approdare a una sorta di hyper-bluegrass guidato da un banjo virtuoso. Saranno famosi?
Ponderosa mon amour. Con l’implacabile Will The Circle Be Unbroken cala il sipario sui violini di campagna e si alza la luna del varesino, testimone silenziosa della Seconda Convention Italiana di Old Time e Bluegrass. Noi, che non conosciamo solo John Denver e Dolly Parton, ci sentivamo meglio. Molto meglio.

Giorgio Ferrari, fonte Hi, Folks! n. 3, 1983

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