Non si era ancora spento l’eco dell’abbandono di Bernie Leadon degli Eagles, che anche Randy Meisner lasciava il gruppo. Identificandosi sempre più realisticamente l’asse della band nell’antinomia Henley-Frey, era logico prevederlo (ricordo di averlo detto proprio in occasione dell’ultima di Leadon-Georgiades). Ma se il solo di Bernard ha provocato perplessità e anche delusione, non così è per questo primo parto del bassista (di Walsh ho già detto, e dei meriti che ha avuto nella positiva influenza da lui assurta nel complesso senza la minima forzatura) previsto da tempo, e che anticipa l’attesissimo ritorno delle aquile dopo quasi due anni di attesa. Le canzoni di Meisner con gli Eagles sono sempre state molto particolari (Take The Devil, Tryin, It Is True, Too Many Hands, Try And Love Again…), almeno quelle accreditate a lui solo, emblema di uno stato d’animo e di un gusto melodico vicino al R & B come base strutturale della song, per ricamarci poi sopra la carica vitale della sua anima, e sua era indubbiamente, negli Eagles, la voce più ricca di soul. Una canzone a disco dunque, spazio sempre più limitato, litigi con Frey all’ordine del giorno, ed eccoci a parlare dell’album da titolare dell’ex-Poco e Stoney Poney.
Il disco è limpido e nitidissimo, sostenuto da una voce carica di feeling e da una base strumentale che si vale di musicisti non famosi ma ugualmente okay. Il repertorio è abbastanza vario ed eterogeneo, fatto di songs gustose e accattivanti, anche se il fascino e la suggestione degli Eagles sono assai difficili da ricreare. Notevole comunque la pianistica versione di Take It To The Limit, resa con acuto senso del dolore, densa di sentimento e partecipazione, volutamente più scarna e spuria dell’originale (solo pianoforte e chitarra), senza i gorgheggi vocali che però mi facevano tanto vibrare… Eccellenti mi sembrano Lonesome Cowgirl, dalla netta impronta bluegrass, una song rurale con un ritmo che batteria prima e pianoforte poi rendono deliziosamente swing; Bad Man, già sul doppio “ FM ”, scritta con Souther, e Please Be With Me.
Too Many Lovers trasuda di aquile fin dal primo ascolto, d’acchito siamo calati nel magico tepore dei mitici epigoni degli Springfield, ma poi il sax ci sveglia bruscamente, il finale in ogni caso è assai bello. Every Other Day è un Already Gone meno hard, mentre gli altri pezzi (in tutto dodici) spaziano fra folk, country e rock. Un grazie al produttore (Alan Brackett) per averci risparmiato l’orchestra, i violini e i coretti femminili tanto stucchevoli: forse venderà meno (ma sarà davvero così?), ma la qualità dell’album ci ha guadagnato parecchio. La cover ci ricorda un po’ il Browne di Late For The Sky o l’Andersen di Ol’ 55, questa simpatia per le automobili stile anni cinquanta che si ritrova in fondo nella sindrome old fashioned del personaggio.
Asylum 140 (Country Rock, 1978)
Pietro Noè, fonte Mucchio Selvaggio n. 11, 1978
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