C’era una volta…Potremmo ricordare così Robert Belfour (scomparso a Memphis il 25 febbraio scorso), ma rischierebbe di assomigliare a quei ‘coccodrilli’ pronti per l’uso al prezzo di un tanto a parola. Ecco perché noi preferiamo sorridere di lui con lui. Siccome crediamo che ovunque sia il completo viola non lo avrà certo dismesso, come pure il cappello e la cura con cui cercava di accordare la chitarra senza quasi mai riuscirci (tempo previsto 30 minuti), ciò che ci mancherà sarà il suo Delta Blues mai canonico (e qui non riusciamo a sorridere) fatto di quell’energia, mai fracassona e autocelebrativa ma intrisa di emozioni, con cui ‘parlava’ a noi, bianchi o neri che fossimo, venuti da lontano per ascoltarlo.
Da parte nostra ci fu anche il colpo di fortuna. Accadde quando eravamo a Memphis nel 2005. Il 14 settembre, dopo aver rintracciato il suo domicilio (abitava al 1541 di…non ricordiamo più quale strada) sfogliando le pagine gialle situate all’interno di una cabina telefonica, lo contattammo chiedendogli se potevamo incontrarlo. Confortati dalla sua risposta affermativa, ci recammo presso la sua abitazione. E qui, oltre al bluesman che conoscevamo già, scoprimmo la figura di ‘Nonno Robert’ che, pur alle prese con tre nipotini, non riuscì a nascondere la dolcezza del suo sorriso, quella che solo l’animo dei nonni è in grado di contenere ed esprimere. Abolita quindi l’immagine austera con cui difendeva se stesso quando suonava, riuscimmo anche a strappargli un diverso e pacato sorriso quando gli mostrammo la copia del n.92 della nostra rivista, sulla cui copertina campeggiava la foto che lo ritraeva durante il suo concerto al Rootsway Roots & Blues Food Festival di quello stesso anno.
Toccato con mano il lato umano del bluesman mississippiano, volutamente o meno tenuto segreto, lo salutammo e partimmo alla ricerca di un luogo dove pranzare. Ma ci fu una cosa che non dimenticheremo mai (tra l’altro fissata sul negativo di una pellicola fotografica): allorchè ci voltammo indietro per salutarlo lo vedemmo che dal portico di casa lo stava già facendo a braccia alzate nei nostri riguardi. Cercavamo il musicista, trovammo l’uomo.
Che poi crudelmente si venga ricondotti ai giorni nostri, e si venga a sapere che è stato necessario l’intervento della Memphis Blues Society per dare vita ad una raccolta atta a reperire i fondi necessari al suo funerale, nulla ci toglie di chiudere questo ricordo affidandoci alle sue parole: «Per insegnare bisogna essere in grado di leggere e scrivere la musica, le note e tutto il resto, ma io non so farlo, ho imparato da solo…» (Il Blues n.92, pagina 13). Ma quante cose ha saputo insegnarci che non si trovano nei libri…
Marino Grandi, fonte Il Blues n. 130, 2015