Robert Cray

Veloce scambio di opinioni con il più eclettico chitarrista blues del momento in occasione del suo ultimo album e di un eccellente concerto con il maestro B.B. King.
Robert Cray, il bluesman che si è recentemente esibito in concerto a Milano con B.B. King, ci ha concesso un’intervista nella quale abbiamo parlato della sua musica, della sua concezione musicale e delle sue influenze. Cray rappresenta in questo momento l’ala creativa del blues, la sua musica non ripercorre la tradizione in modo ortodosso, ma cerca una difficile individualità che possa in qualche modo svincolarlo dagli stilemi classici di questo genere musicale.

HF: Nel tuo ultimo disco hai rotto il sodalizio con Richard Cousins che ti aveva sempre accompagnato nei lavori precedenti. Come mai?
RC: Si, ho cambiato qualcosa. In circolazione ci sono molti musicisti che sanno suonare il blues nel modo che io desidero e credo sia giusto sperimentare nuove strade con gente nuova, altrimenti rischi di fossilizzarti in suoni stereotipati, in soluzioni scontate, per te ormai prevedibili e ciò non è certamente creativo. Richard Cousins ora suona con un’altra band; con lui ho caratterizzato un’epoca della mia vita, ora ne comincia un’altra.

HF: Sei soddisfatto di “I Was Warned“, il tuo ultimo lavoro?
RC: Mi sembra un buon disco, o per lo meno sono riuscito a registrare quello che avevo in mente e ciò è già un buon motivo di soddisfazione. La mia band inoltre, se è questo che sottintendevi, ha perfettamente capito lo spirito dei pezzi e si è perfettamente integrata nel sound che volevo.

HF: La tua musica prevede spesso un debordare del blues nel genere soul e talvolta addirittura nel country. Da dove arrivano queste influenze?
RC: Amo da sempre la musica soul ed è quindi naturale che compaia nella costruzione dei miei pezzi. Per quel che riguarda il blues le influenze sono molteplici e abbastanza evidenti, ho preso molto da maestri come B.B. King, Albert King, Bobby Bland, Jimi Hendrix e da chissà quanti altri. Gli accenti country derivano soprattutto dall’ascolto dei dischi.

HF: Cosa ne pensi del country blues? Non ti interessa?
RC: Mi piace molto e l’ascolto spesso, ma lo trovo distante dal mio tipo di quotidianità, lontano dal mio modo di concepire il presente. Non ho mai pensato di suonarlo perché sono troppo affascinato dal blues elettrico e da quello che esso rappresenta: la nevrosi, la vita di città, le contraddizioni generazionali e così via.

HF: Che tipo di musica ascolti quando non sei in concerto?
RC: Naturalmente i miei bluesmen preferiti: Muddy Waters, John Lee Hooker, Buddy Guy, Sunnyland Slim, Willie Dixon e altri ancora, ma mi piace sentire anche molto soul, jazz e country.

HF: Presto sarai in tour con B.B. King, cosa significa per te suonare con un musicista che è stato un tuo grande maestro e mito?
RC: Beh, sono molti anni che suono e ho già avuto l’opportunità di esibirmi insieme ad alcuni padri del blues, ciononostante è sempre una grande esperienza e un’enorme emozione perché hai l’impressione di suonare con il blues in persona e questo è sconvolgente.

HF: Preferisci esibirti in concerto nei posti piccoli o nei grandi stadi?
RC: Non c’è dubbio che l’atmosfera che si instaura nei club, nei piccoli teatri o comunque nei luoghi circoscritti sia impossibile da trasportare nei grandi stadi. Il blues ha bisogno di feeling, di pelle, e la vicinanza è indispensabile perché ci si possa capire. Bisogna guardarsi in faccia per trasmettere certe sensazioni e questo non è possibile a centinaia di metri di distanza.

Roberto Caselli, fonte Hi, Folks! n. 56, 1992

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