ROBERT KIMBROUGH SR. Willey Woot cover album

Lo avevamo lasciato lo scorso numero con un CD casalingo, privo di copertina, ma da cui trapelava l’abbrivio di una ricerca orientata verso un soul blues mississippiano ma in cerca di identità. Lo ritroviamo oggi con Willey Woot che, sebbene sia dotato di un titolo “esplicito” e nuovamente autoprodotto ma confezionato almeno in maniera accettabile, indica l’affermazione della sua scelta musicale precedentemente accennata (10 tracce su 12 lo sono) e qui confermata nelle brevissime note di copertina. Note che, oltre a segnalare la presenza di due suoi fratelli (David e Kenny) e quella di Duwayne Burnside impegnati non si sa in quali brani (sempre?), e che Robert è autore di tutti brani, riportano sì i nomi dei componenti la sezione ritmica Artemus Le Sueur e Jim Hall lasciando però a noi la scelta del loro rispettivo strumento (riteniamo possibile che Artemus sia il bassista).

E’ logico a questo punto che il primo brano sia quello che debba lasciare il segno. Ed in effetti così è. Girl Is Gone è un tempo medio ben scansito, aperto da una chitarra astiosa, che dapprima si ritira a vantaggio della voce discorsiva del leader velata di tristezza, per riprendere più avanti prima di calare nuovamente a favore dello spirito da ballad che la durata stessa della song (8’ e 29”) richiede. Assistiamo quindi ad uno scorrere di soul ballad, tra cui Voodoo Man, Jodi sporcata di rap, Runnin’ Yo’ Mouth On Me e You Laugh At Me, U Better Run, innervate da scatti chitarristici che evitano i rischi della caduta di tono alla luce della non indifferente durata delle varie song.

Ma, come in ogni buon disco che si rispetti, almeno un paio di tracce diverse ed oltre la media non possono mancare. In questo caso stiamo parlando di Old Man Is Gone e Packing Up. Se la prima è incentrata unicamente sulla simbiosi per oltre 5 minuti tra la sola chitarra, incentrata sempre sullo stesso passaggio, e la voce di Robert, malinconica ma non biasimevole, la seconda è il ritorno alle origini della musica del padre Junior, e lo è in quanto la chitarra è spiritualmente proprio quella del ‘vecchio’, e la sezione ritmica è magica nella sua semplicità nella gestione della profondità ripetitiva. I brani sono magari troppo lunghi, ma il risultato è perlopiù riuscito. Forse il soul blues targato North Mississippi Hill è nato.

Autoprodotto (USA) (Blues, 2016)

Marino Grandi, fonte Il Blues n. 137, 2016

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