Sugaray Rayford è uno dei pochi personaggi nuovi, e giovani nel rispetto degli standard del Blues, che si siano affacciati sulle scene negli ultimi anni. Voce possente come il suo fisico, Sugaray si circonda di musicisti ultranavigati come i Mannish Boys, la cooperativa del Blues, senza disdegnare gruppi europei come la band di Luca Giordano con la quale s’è esibito a Porretta. Non disdegna nemmeno di cantare acapella, una dimostrazione vocale sempre di grande effetto sul pubblico che potrebbe sconfinare nella gigioneria se fosse, ma non lo è, alla portata di tutti. Nel caso di Porretta si è anche concesso il lusso di un meritato bagno di folla. E’ un musicista comunque maturo, un cantante vero con una voce possente e personale, che ha inciso dischi ottimi trovandosi a suo agio nei mid-tempo e gli swing. Dal vivo, sui lenti paga un po’ la foga che lo fa diventare poco preciso. Ma sono al più dettagli: l’intensità, il cuore, sono sempre benvenuti in una musica dove le emozioni devono sempre sopravanzare la tecnica.
Vuoi presentarti al pubblico italiano?
Vengo dalla parte est del Texas: da bambino suonavo la batteria e cantavo in chiesa, ho cominciato a cantare Gospel quando avevo 3-4 anni, ma per un periodo molto lungo mi sono estraniato dalla musica fino a quando, grazie a mia moglie, sono tornato a cantare intorno al 1999-2000. All’epoca avevo una band soul-funk, The Urban Gypsies, ma volevo fare qualcosa di più blues e quindi sono venuti gli Aunt Kizzy’z Boyz, e poi Mannish Boys. Nel 2008 ho deciso di lanciarmi in una carriera come solista.
A parte la batteria, suoni qualche altro strumento?
Diciamo che me la cavo con le tastiere. Però le mie canzoni nascono tutte dalla testa e poi chiedo al mio bassista, Ralph Carter, che sa cosa voglio, di metterle in musica.
Quanti dischi hai registrato? Meglio, dicci in quanti dischi compari.
Oddio, almeno sette, Trunk Full Of Bluez, It’s Tight Like That … Blind Alley, Dangerous e Southside sono gli ultimi, e figuro in molti altri essendo uno dei cantanti dei Mannish Boys, canto per esempio in Double Dynamite.
C’è un disco tuo che preferisci?
Tutto compreso penso che il mio ultimo, Southside, sia quello che mi rappresenta meglio. E’ anche il primo album dove ho potuto decidere su tutto, quindi lo sento più mio dei precedenti. Certo, Blind Alley è stato il mio primo album solo e ne sono molto orgoglioso, mentre Dangerous è quello più Chicago Blues.
Preferisci grandi band o piccoli combo?
La Sugaray Rayford Band è una Texas Band, un nutrito gruppo di gente, ma non mi dispiacciono nemmeno contesti più raccolti, chitarra acustica, piano.
In effetti, in Lucerna, hai cantato acapella per diversi minuti…senza microfono…
Ah quello mi piace, è un modo per cambiare dal frastuono del gruppo, è un grosso sforzo fisico, ma il pubblico resta impressionato.
Quali sono i cantanti che ti hanno marcato di più, le tue fonti d’ispirazione?
Amo Son House in tutto quello che fa e come lo fa, mi piace molto anche Bobby Bland, poi Otis Redding, adoro Luther Vandross, Bobby Womack, Tyrone Davis. Questi sono i primi che mi vengono a mente, ma ce ne sono sicuramente altri. Tutti hanno contribuito a forgiarmi come cantante.
Il primo che hai nominato, Son House, è uno dei padri fondatori del Blues moderno...
Vero. Ho molto rispetto per quello che artisti come Son House hanno rappresentato. Erano altri tempi, prima dell’amplificazione, il Blues era voce, chitarra acustica, armonica, si suonava nei juke joints, ambienti rumorosi, scomodi, nel quale l’artista doveva quasi imporsi al pubblico per esser ascoltato. Per me i cantanti di Blues devono avere il ‘growl’, Joe Cocker era un buon esempio in questo contesto, ma anche Tom Jones che ho visto a New Orleans. E’ qualcosa che hai o non hai. Cocker e Jones sono due britannici ma hanno questo ‘growl‘, Jones è un grande cantante, incredibile. Tra i britannici mi piace molto anche Simply Red, semplicemente fantastico, e uno che non è blues, ma che ha lasciato un ricordo indelebile, Freddy Mercury.
Quale è a tuo avviso la differenza tra pubblico americano e pubblico europeo?
Vedi, 10 anni fa uno come Bruno Mars, non avrebbe potuto esistere perché il pubblico americano è molto impaziente, ma ora il Blues, il Jazz stanno tornando in voga. Il pubblico europeo è anche un po’ più maturo come età, anche se in estate questa differenza si vede di meno.
Come trovi la vita on the road?
Ah, non scherzo, chiedete a mia moglie, quando non giravo il mondo ero sempre a lamentarmi e adesso … sono stanco!! Davvero stanco! E’ mia moglie che si occupa del booking, e per adesso ci riesce molto bene. Per la verità dovrei anche farmi operare al ginocchio sinistro che ormai è a pezzi, ma fino a gennaio o febbraio sarà impossibile perché devo cantare, sono sempre in giro. Però’ a gennaio mi opero …. Me lo hai promesso, vero (…Girato verso la moglie…)
Quali sono i programmi post-operatori?
Mia moglie ha già programmato diversi concerti e un tour per il 2016, e ho appena finito una commedia Ain’t Nuthin’ But The Blues, 8 spettacoli alla settimana per 6 settimane! Che stress ….Mi piacerebbe fare un album live e poi incidere un album acustico, stile Mississippi Delta, chitarra, contrabbasso, una roba old school … sono un bluesman.
(Intervista realizzata a Porretta Terme, luglio 2015)
Luca Lupoli, fonte Il Blues n. 133, 2015