Spero siate generosi da concederci il Vostro perdono se oggi apriamo la rubrica con alcuni CD anziché con… tapes.
R.W.Hampton ha già avuto modo di apparire più volte sulle pagine western del nostro giornale, in quanto rappresenta la perfetta sintesi del cowboy tradizionale (i compiti del mandriano rappresentano VERAMENTE la sua occupazione quotidiana, affiancata da quella artistica) con la nostra realtà odierna.
Giunto ormai alla sua quarta prova discografica, questo Ridin’ The Dreamland Range è il perfetto connubio fra l’epopea dei ‘singing cowboys’ ed il periodo d’oro del cinema western.
A ciascuno dei due approcci sono dedicate ben dieci canzoni, fra le quali troviamo due episodi originali a firma R.W.Hampton (l’iniziale Ridin’ The Dreamland Range e la conclusiva Sunset Trail), più un brano scritto dal fedele pard, il grandissimo polistrumentista Richard O’Brien .
Il resto rappresenta una sorta di Greatest Hits: fra la parte dedicata ai singing cowboys, ecco Take Me Back To My Boots And Saddle, Blue Shadows On The Trail, Wagon Wheels, Jingle Jangle Jingle (che vede la partecipazione di R.H. in duetto con il grande Don Edwards), The Last Round-up e Ridin’ Down The Canyon, mentre fra i motivi tratti da western cinematografici famosi non possiamo trascurare Ballad Of The Alamo (interpretata da Marty Robbins nella colonna sonora del film Alamo, che vedeva il ruolo di Davy Crockett ricoperto da John Wayne),
My Rifle, My Pony And Me (che Dean Martin e Ricky Nelson eseguivano in duetto nell’indimenticabile ed indimenticato Rio Bravo, a fianco dell’imperituro John Wayne), I’ll Take You Home Again Kathleen (tratta dall’epico Rio Grande con il solito John Wayne e Maureen O’Hara: allora interpretata da un improbabile plotone di cavalleria rappresentato dai Sons Of The Pioneers, oggi resa con l’aiuto degli eccellenti Sons Of The San Joaquin) e High Noon (dalla colonna sonora dell’immarcescibile omonimo film con Gary Cooper, ribattezzato in Italia Mezzogiorno Di Fuoco).
Siamo di fronte ad un grande album di musica western, per fans di ogni età.
Congratulazioni vivissime a R.W.Hampton per un altro eccellente capitolo della saga dedicata a preservare la figura dell’eroe romantico per antonomasia: il cowboy americano.
“New West: Music… Big as the Western Sky”, questo in sintesi il messaggio di una nuova compagine di musica western. Il trio in questione è formato da Michael Fleming, Raul Reynoso e David Jackson.
Compositore di grande talento, nato in Colorado al piedi delle Montagne Rocciose, Michael Fleming ha sviluppato un innato amore per l’West e per le sue genti. Le sue canzoni sono state inserite in un progetto bibilografico dal titolo Songs Of The Trail, insieme ad altre firmate dai luminari del genere western, quali Red Steagall, Chris LeDoux e Rusty Richards.
Quando lo stesso Fleming canta, accompagnandosi con la chitarra ritmica, è possibile sentire il profumo della malvia purpurea ed osservare le incredibili tonalità dei colori di un tramonto nella prateria (provate a selezionare il brano Lonesome Canyon e vedrete se non è vero).
Raul Reynoso è un virtuoso della chitarra e del mandolino, oltre a cantare con grande perizia. Ha al suo attivo un album registrato con Larry McNeely ed è noto per la sua abilità strumentale nei generi più disparati, che vanno dal bluegrass al jazz degli anni ’30, nella tradizione del grande Django Reinhardt.
Raul ha appena finito di registrare il suo album di esordio da solista, Royal Street.
David Jackson è un grandissimo bassista e veterano delle sale di incisione del rock californiano anni ’70 (ha collaborato a registrazioni di Jackson Browne, Hoyt Axton e Cher), ma recentemente ha lavorato anche con Kenny Rogers ed addirittura Dwight Yoakam.
La sua versatilità strumentale lo porta ad esibirsi anche alla fisarmonica, oltre a prestare la sua voce alle armonie vocali del trio in questione.
Questo Wild Places rappresenta l’esordio artistico dei New West in qualità di trio e le premesse sono quanto mai stuzzicanti ed interessanti, ma andiamo con ordine.
Si parte con una accattivante Pretty Cowgirl, scandita da un mandolino particolarmente intrigante, che ci precipita in atmosfere decisamente ‘giuste’, Stampede e Vaquero – cantata la prima, strumentale la seconda – ricordano vagamente la stupenda Ballad Of The Alamo di cui si parla più sopra e rappresentano già due punte di diamante del CD.
Lonesome Canyon profuma di sogni adolescenziali e mai confessati, grazie alle raffinate armonie vocali a tre.
Amigo ha un incedere volutamente Mexico-oriented ed è la storia di un ragazzino e del suo cavallo di nome Amigo.
Hey Conductor è impreziosita da uno sviluppo vagamente western-swing e da un tessuto armonico complicato, ma di grande effetto. Grandi armonie vocali.
Country-blues di spessore per l’insolita Sometimes This Ol’ Cowboy Gets The Blues, con un bel giro di basso acustico.
The Gypsy Cowboy Band sembra uscita dalla Bibbia della canzone western, leggi Gunfighter Ballads di Marty Robbins, ed è caratterizzata da un ritmo che non può mancare di coinvolgere anche l’ascoltatore più distratto.
Chiude la parata il title-track. Un album molto ben confezionato, che non deve mancare sul Vostro scaffale western.
A distanza di ben quattro anni dalla cassetta di esordio del lontano 1992, ritornano a noi in versione CD i bravissimi Desert Sons dall’Arizona, che oggi rispondono ai nomi di John ‘Buck’ Ryberg (leader incontrastato del gruppo, chitarra ritmica e voce solista) da Tucson, Benny Young (fiddle e voce corista) ancora da Tucson, Skelly Boyd (chitarra solista e voce corista) da Safford e Slim Tighe (contrabbasso e voce corista) da Bisbee.
Quattordici i brani qui compresi, quattro dei quali sono firmati da membri del gruppo (Ride In The Wind, un veloce esercizio western impreziosito da virtuosismi di gut string guitar e fantastiche armonie vocali in omaggio ai capiscuola del genere, gli indimenticati ed indimenticabili Sons Of The Pioneers), Arizona Mountain Home, ennesimo tributo ai molteplici aspetti ed alle innumerevoli attrattive naturali dell’Arizona, Dream Of The Prairie, ancora a firma di John Ryberg e deliziosa nel suo sapore dolcemente malinconico, per finire con The Cowhand Life), mentre il resto è pescato oculatamente dal patrimonio tradizionale ed attuale di questo fantastico genere che è la musica western.
When It’s Round-up Time In Texas And The Bloom Is On The Sage non può mancare in un qualsiasi album western e lo stesso può dirsi di classici quali The Chant Of The Wanderer o la conclusiva Ghost Riders In The Sky.
The Old Borunda Cafè dell’ingiustamente sconosciuto Bob Campbell, è tratta dalla sua cassetta di esordio Roll On, Cowboy del 1993 e risulta assolutamente incantevole nei suoi riferimenti al Texas ed all’epopea d’oro del cowboy.
Troviamo poi addirittura due covers di Ian Tyson: The Gift e Fifty Years Ago.
L’omaggio a Marty Robbins, figura carismatica per ogni interprete di cowboy songs o western music, è ricordato con la sua In The Valley e con una sua famosa interpretazione: One Hundred And Sixty Acres.
Un altro piccolo/grande capolavoro di musica realizzata per il puro piacere di farlo, senza la benché minima implicazione commerciale. Nella lettera di accompagnamento della nostra copia, John Ryberg ha concluso dicendo: “…This album is, of course, dedicated to Western Music fans everywhere, like yourselves…”.
Thank you, John. Thank you, Desert Sons.
Ve lo ricordate il lontano 1993? In quell’anno tale Stephanie Davis esordiva su una major (Elektra) che si affrettò a liquidarla dopo che l’omonimo album non produsse interesse più di tanto nel frenetico mondo dello showbiz.
Schifata ed un tantino frustrata nelle sue aspirazioni artistiche, Stephanie si è isolata fra i suoi monti per riordinare le idee ed è così che, a distanza di quattro anni circa, ella ritorna a noi molto più sicura di se stessa, supportata da una sua etichetta, la Recluse Records, che le stampa ben due CD contemporaneamente: uno fortemente orientato verso il jazz vocale (Billie Holliday è uno dei suoi miti dichiarati), mentre l’altro – che ci interessa molto più da vicino – si intitola River Of No Return.
Dire che le note di copertina sono firmate da Rich O’Brien rappresenta un antipasto stuzzichevole già di per sé; il fatto che lo stesso Rich appaia anche in veste dì produttore e di session-man è più che una garanzia. Se poi riconosciamo fra gli altri musicisti i nomi di Tom Morrell (steel e dobro), Woody Paul dei Riders In The Sky, al fìddle in Salt River Valley e la compagine al completo (cioè Ranger Doug, Woody Paul e Too Slim) alle harmony vocals nel title-track e nella succitata Salt River Valley, abbiamo un’idea abbastanza precisa di cosa aspettarci da questo album.
Si tratta appunto di una musica molto vicina alle sonorità western che tanto amiamo.
Fra i brani che riteniamo doveroso segnalare alla vostra attenzione la remake di Lone Star Swing (titolo intrigante!), con le sue tematiche influenzate dal tipico western-swing texano grazie alla steel di Tom Morrell, la più volte citata Salt River Valley, con interventi vocali e strumentali preziosissimi, gli arpeggi acustici messicaneggianti (thank you, Rich O’Brien) di The Gift – da non confondere con l’omonimo brano di Ian Tyson – e via di questo passo, transitando attraverso la sognante The Diamond-O, oppure fermandosi per una disintossicante ed Irish-oriented square dance che ha luogo Saturday Night At The Whitebird School.
Molto più meditativa risulta invece la canzone che da il titolo all’album, una ballata maestosa e dignitosa, nel suo incedere lento ed autoritario, ingentilita dalla dolce voce di Stephanie, ben coadiuvata dai tre Riders In The Sky, che in quanto ad armonie vocali poco hanno da imparare.
C’è ancora di più in questo CD, ma esaminarlo completamente sarebbe come privarvi di un sottile piacere che vogliamo lasciarvi.
Si chiamano Call Of The West e pare che non amino particolarmente parlare di sé, visto che abbiamo ricevuto una scarna cassetta, dove compaiono a malapena i titoli dei brani ivi compresi, tre numeri di telefono (che siano un trio?) ed un indirizzo al quale rivolgersi per ordinare CD e cassette e per gli ingaggi.
La cassetta che abbiamo in mano è datata 1997 ed intitolata – senza grande fantasia – Call Of The West.
La scelta dei brani spazia dai classici della tradizione western, quali Cross The Brazos At Waco (altra cosa era però l’interpretazione che ne dette a suo tempo il grande Billy Walker), un medley che racchiude gemme senza tempo quali Streets Of Laredo, I Ride An Old Paint e Home On The Range (ah, pare che nella compagine in questione militi anche una fanciulla…), l’immarcescibile Blue Shadows On The Trail, Along The Santa Fé Trail e la famosa composizione dì Johnny Bond Cimarron Roll On.
Mi dispiace dirlo, ma i brani originali non sono neppure lontanamente parenti degli standard scelti dall’amplissimo patrimonio tradizionale. Poiché anche il livello interpretativo non va oltre un decoroso anonimato, concludo la parentesi Call Of The West: un documento di musica western come tanti, ma molto inferiore a tantissimi altri, per fortuna nostra. Tanto dovevamo, per puro dovere dì cronaca.
Dino Della Casa, fonte Country Store n. 45, 1998