Parlare dei New Lost City Ramblers senza inserirli nel contesto della scena musicale americana degli anni ’50 non consente di comprendere l’esistenza stessa del gruppo, le scelte, la coerenza, il successo.
Il Folk Revival è stato un movimento di riscoperta delle tradizioni musicali popolari nato in America negli anni ’30, dal New Deal rooseveltiano, ma giunto al suo apice alle soglie degli anni ’60. Alla base ci furono lo sviluppo urbano-intellettuale dato alle ricerche etnomusicologiche nel periodo a cavallo degli anni ’30, e la situazione politico-sindacale che si era andata delineando durante la Grande Depressione.
Una sistematica raccolta sul campo della musica popolare del Sud cominciava con John Lomax (con la collaborazione del figlio Alan), curatore dal 1933 dell’Archive of American Folk Song presso la Library of Congress di Washington. Questo lavoro consentiva di scoprire tutta una cultura fino a quel momento ignorata e riconosceva al mondo popolare autonomia culturale ed un valore non ‘archeologico’ ma attuale.
Nel secondo dopoguerra il maccartismo si accanì, tra gli altri, anche contro i musicisti del folk revival che si servivano del materiale popolare come elemento di divulgazione e di provocazione politica, contribuendo all’accelerazione del processo di diversificazione tra gli interpreti autenticamente popolari ed i loro esegeti da una parte, ed i folk-singers urbani dall’altra.
C’erano dunque i presupposti per un grosso rilancio della folk-music. E nel 1958, l’anno del successo nazionale di ‘Tom Dooley’, versione ripulita e sofisticata di una vecchia ballata del sud incisa dal Kingston Trio, cominciava a muovere i primi passi il trio dei New Lost City Ramblers.
Mike Seeger (fratellastro di Pete), John Cohen e Tom Paley (sostituito nel 1963 da Tracy Schwarz), basarono inizialmente le proprie incisioni sull’ascolto della musica hillbilly registrata negli anni ’20 e ’30, con un lavoro di ‘ricalco stilistico’, per poi estendere il proprio interesse alla musica elaborata nelle comunità di emigrati dal sud alle grandi città industriali del nord ed a proprie registrazioni sul campo.
La musica dei Ramblers riflette dunque differenti esperienze: parte da quelle contadine e locali delle comunità del sud-est appalachiano per aprirsi a quelle degli emigranti del ‘dust bowl’ diretti verso la California ed a quelli indirizzati verso le industrie automobilistiche di Detroit.
Si tratta anche della documentazione del passaggio da una musica autenticamente popolare, di tradizione orale, alla musica di autore, ancorchè di estrazione ‘popolare’, per quel che tale attributo poteva ancora significare negli anni ’40.
E’ la documentazione della nascita della musica country moderna attraverso l’urbanizzazione degli hillbillies, l’integrazione tra città e campagna, l’incontro tra tradizione e mass-media. E’ la documentazione di un periodo di grande sperimentazione all’interno della musica tradizionale: introduzione di nuove tecniche strumentali, influenza della musica dei Neri, della radio, dei deischi. Il lavoro di John Lomax trovava dunque degli attivi continuatori.
L’importanza del gruppo é data dal numero di musicisti che si sono dedicati alla riscoperta della old-time music partendo dai dischi dei Ramblers per poi giungere alle registrazioni originarie d’epoca, sicuramente più difficili, al primo ascolto, delle copie realizzate da musicisti urbani e colti. Ha consentito ad aspiranti musicisti old-timers di avere un approccio con un ampio spettro di tecniche strumentali rurali tradizionali, fuori della portata dei ‘cittadini’ perlomeno fino al boom del revival della old-time music degli anni ’70.
Coerentemente con l’impostazione del proprio lavoro, i Ramblers hanno infatti adottato tecniche strumentali simili a quelle degli anni ’20 e ’30, senza mai eccedere in virtuosismi e cercando anche un ‘suono’ d’epoca. Tutti sono multistrumentisti, e se la cavano bene o male con banjo, fiddle, chitarra, autoharp, dulcimer; la possibilità di variare l’organico strumentale del trio ha consentito al sound dei Ramblers di non sclerotizzarsi.
La scelta, mai rinnegata, di fare riferimento costante a quella che poi sarebbe stata definita ‘Old-Time Music’, fa sì che le incisioni dei Ramblers non siano databili: la loro musica è senza tempo, fuori dalle mode, eseguita sempre con la stessa carica, entusiasmo, rigore.
Le divagazioni nel repertorio bluegrass delle origini (quello degli anni ’40) sono episodiche e comunque affrontate con lo stesso spirito con cui i Ramblers hanno affrontato il repertorio degli anni della commercializzazione della country music.
Nel corso degli anni ’60 i Ramblers ebbero il merito di proporre al pubblico cittadino non solo la musica del sud ma anche alcuni dei suoi interpreti originali. Si sono esibiti con Tom Ashley (banjoista, inserito nella raccolta di Harry Smith e ripescato dall’oblio), gli Stanley Brothers, Maybelle Carter (superstite della originaria Carter Family), Elizabeth Cotten (un riferimento per future schiere di finger-pickers), Dock Boggs (ex-minatore e banjoista virginiano, dallo stile influenzato dal blues dei lavoratori neri con i quali era stato a contatto nelle miniere), i Balfa Brothers (i primi autentici musicisti cajuns ad essere proposti al grande pubblico), Roscoe Holcomb ed altri ancora.
Gli anni ’70 videro una progressiva diminuzione dell’attività del gruppo, ma la produzione discografica non si è interrotta. Ogni disco dei Ramblers è accompagnato da diffuse note che offrono spunti di interesse su aspetti storico-culturali della old-time country music, sugli interpreti originari, sulle tecniche strumentali (accordature particolari di banjo e fiddle ed altro); per ogni brano sono riportati gli esecutori e gli strumenti utilizzati, talvolta i dati discografici riferiti ai vecchi 78 giri usati come modello.
Dopo un concerto del ventennale il gruppo si è sciolto, salve alcune performances sporadiche, ma i musicisti hanno continuato ciascuno la propria attività, sporadica nel caso di John Cohen, rivolta alla musica cajun nel caso di Tracy Schwartz. Il solo Mike Seeger ha proseguito in una intensa attività concertistica con la quale continua a portare in giro per il mondo la OTM ed i suoi strumenti.
E’ senza enfasi né retorica che si può concludere che i New Lost City Ramblers hanno costituito per gli americani la memoria vivente di una parte della propria cultura; ed ancora oggi la loro sterminata produzione discografica rimane un punto di riferimento fondamentale per i nuovi appassionati della OTM.
1958 – 1975
Old Time Music
Mariano De Simone, fonte TLJ, 2003