Rolling Stones - Blues & Lonesome cover album

L’album si apre con Just Your Fool e quel che si intuisce subito è il suono potente e già nel secondo pezzo – non a caso Commit A Crime di Howlin’ Wolf – si intensifica sempre di più. Ma è con Blue & Lonesome che si comincia a scalare la vetta. Splendida introduzione di Richards, tappeto sonoro che esalta Ron Wood, trascinando la band e uno straordinario Jagger. Si continua con un suono compatto, senza nessuna concessione al superfluo, non una nota in più, non una di meno, come solo i grandi possono permettersi. Si arriva così a Ride ‘Em On Down (Eddie Taylor). E qui sentendo montare la sensualità del suono, viene spontaneo pensare (con tutto il rispetto per Darryl Jones) a cosa avrebbe aggiunto il basso di Bill Wyman. Solo con lui si sarebbe raggiunta la sensualità della ‘printemp’ di Paul Verlaine. Ma va bene anche così, inoltre la musica viene messa in risalto da una scatenata Kristen Stewart nell’omonimo video. Dopo Hate To See You Go e Hoodoo Blues, si arriva a mio avviso al capolavoro dell’album, Little Rain. Ritorniamo al Life di Richards: «[…]Jimmy Reed fu un grande modello per noi. I suoi pezzi erano tutti a due chitarre.

In un certo senso poteva quasi sembrare un esperimento di monotonia, fino a che non penetravi nel tessuto delle canzoni. Usava solo due tempi, ma aveva intuito la magia insita nella ripetizione, nella monotonia che gradualmente si trasforma in qualcosa di ipnotico, in una trance. Ne eravamo ammaliati io e Brian. Jimmy Reed era sempre sbronzo come una cocuzza. La moglie era sempre al suo fianco e gli sussurrava i versi delle canzoni all’orecchio. Uno dei versi di Jimmy diceva – don’t pull no subway, I’d rather see you pull a train, che in realtà significava: non farti di eroina, non gettarti sottoterra, preferirei vederti ubriaco o sotto l’effetto della coca. Mi ci sono voluti anni per decifrare questo verso. Mi ci vollero anni per capire come impostava l’accordo di quinta in chiave di Mi. Quando ci arriva, Jimmy Reed produce un refrain indimenticabile, una dissonanza malinconica. Conoscevo già le altre mosse, ma non sapevo come fare quell’accordo di quinta fin quando non me lo mostrò Bobby Goldsboro, un ragazzo che aveva lavorato con lui. Mi disse “quell’accordo lui lo fa così”. “Cazzo! Tutto qui?”. “Tutto qui, bastardo, vivi e impara”. Era una questione di atteggiamento e di canzoni evocative.

Saranno anche state basate su un principio all’apparenza banale, ma provate a suonare Little Rain. Io e Brian avevamo fatto nostro il repertorio di Jimmy Reed. Quando lavoravamo insieme Mick si sentiva escluso. Voleva dare il suo contributo alla band anche sotto il profilo musicale e si rivelò uno straordinario armonicista. Ha un fraseggio incredibile. Molto Louis Armstrong, molto Little Walter. E non è poco. Little Walter fu uno dei migliori interpreti blues e un armonicista ‘par excellence’. Mi è difficile ascoltarlo senza timore reverenziale. Starà sorridendo nella tomba pensando allo stile di Mick. Lui e Brian avevano modalità di suonare completamente diverse, Mick aspirava come Little Walter, Brian soffiava, come Jimmy Reed, piegando le note […]». Little Rain inizia con un suono ovattato. Sembra uscire dalla nebbia di un’alba triste e viene accentuato dalla batteria di Charlie Watts che lo accompagna cupa e scandisce sulla cassa, ampliandone la malinconia. La pioggerellina cade triste, come uno spleen di Baudelaire. Mi ricorda una scena del film Una canzone per Bobby Long, dove Travolta (un professore alla deriva che passa le giornate a rileggere Carson McCullers e Robert Frost), siede fuori da una catapecchia insieme ad un suo allievo aspirante scrittore in una New Orleans dolente e romanzesca. Immaginando forse un amore impossibile per la bellissima Scarlett Johansson. Ma quando tutto sembra incupirsi, lo stacco sul piatto della batteria sembra uno scroscio improvviso, preannuncio di uno squarcio tra le nuvole. Lì si insinua l’armonica di Jagger, priva di nuances, stridente, apre il sipario su un arcobaleno.

Il suono della chitarra di Richards ricorda il continuo ‘moaning’ in quella stupenda Sister Morphine dal vivo al Fonda Theatre di Los Angeles, lo scorso anno. Su Richards, Wood, Jagger, Leavelll e Clapton, che suona in due pezzi, inutile sprecare gli aggettivi. Li spreco volentieri invece, per quello straordinario batterista che è Charlie Watts. Nelle note Charlie parla di Fred Below. Quanti batteristi rock possono permettersi il lusso di parlare di lui? Questo incomparabile musicista, così schivo da rasentare il ridicolo ha contribuito più di chiunque altro a tenere unita la band. Negli anni Settanta lo accusavano di non fare mai assolo. Lui replicava che «in una band di rock’n’roll la batteria è solo uno strumento d’accompagnamento». Lui e Wyman sono stati la più potente sezione ritmica che si ricordi, un suono unico e irripetibile. Gli amanti del blues hanno ben chiara la consapevolezza di quanto questa musica abbia influenzato i grandi del rock, che col tempo si riducono sempre di più. Gli amanti della musica dei Rolling Stones hanno la stessa consapevolezza, rafforzata (ammesso ce ne sia ancora bisogno) da una band ineguagliata e ineguagliabile.

Polydor 5714942 (Blues, Chicago Blues, 2016)

Piermario Greco, fonte Il Blues n. 137, 2016

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