Robert Johnson, il chitarrista Blues del Delta, venne trovato morto in una stanza d’hotel nel Dicembre del 1937. Aveva vent’anni. Questo articolo è in sua memoria.
Molto spesso nelle pagine di Chitarre si è parlato di tradizione o dell’origine della musica rock, delle influenze che ne hanno determinato l’attuale struttura, si è accennato di frequente al ruolo avuto da alcuni chitarristi nell’evoluzione non solo del linguaggio rock, ma soprattutto del linguaggio sulla sei corde.
Si è tentato in molte occasioni di offrire una visione a largo raggio di un’esperienza musicale che indubbiamente è una delle più importanti del secolo, un’espressione originariamente a carattere popolare che, pur mantenendo ancora simili caratteristiche, è andata progressivamente contaminandosi attraverso la messa a punto di sistemi di diffusione, che comunque in parecchi casi non sono riusciti ad indebolire quell’istintività tipica della musica rock.
È chiaro che parlando di rock e soltanto di rock, inteso chiaramente nelle sue oggi infinite accezioni, il discorso può assumere caratteristiche ambigue e parziali, perché comunque proprio la ricerca delle origini, e di conseguenza un viaggio a ritroso nella tradizione, porta obbligatoriamente a parlare di blues, e non solo del blues urbano degli anni quaranta, blues elettrico di grande fascino nato e voluto da gente come Muddy Waters, T Bone Walker, Elmore James o Bo Diddley, ma di quella forma detta country blues che è comunque indissolubilmente legata allo sviluppo di ogni successivo blues.
Se si dovessero indicare i nomi di bluesmen di country blues che hanno influenzato le future scelte dei bluesmen urbani, si rischierebbe di fare un elenco troppo lungo, esiste comunque un personaggio che con il suo lavoro, con le sue intuizioni ha saputo portare il linguaggio del country blues verso un’evoluzione tale da essere immediatamente ripreso da altri musicisti, citato ed ammirato per la sua modernità ed infine interpretato regolarmente da intere generazioni di musicisti dagli anni quaranta ad oggi.
Alcuni titoli fanno subito capire come le sue incisioni siano diventate dagli standard: Ramblin’ On My Mind, I Believe I’ll Dust My Brown, Sweet Chicago, Crossroads Blues, Come On In My Kitchen, Hellhound On My Trail, Stop Breakin’ Down Blues o Love In Vain, oggi sono considerati dei classici, e sulle note di questi blues si sono esercitati un po’ tutti quei chitarristi che hanno dato vita al blues urbano e successivamente al rock blues, al rock e poi ancora una schiera infinita di chitarristi che dagli anni sessanta hanno cercato con alterna fortuna di riproporre e riprodurre il blues sia negli States che in Inghilterra o in Europa.
Comunque in ogni esperienza blues il nome di Robert Johnson viene sempre considerato come uno dei punti di riferimento, come una delle influenze più significative e durature. Certo parlare di influenze oggi, a cinquant’anni di distanza dalle incisioni del bluesmen del Delta, può sembrare una forzatura, ed allora si può dire che i brani incisi da Johnson hanno tutt’ora una eco nei lavori di gente come Eric Clapton, Johnny Winter, Billy Gibbons, Steve Ray Vaughan, nei Rolling Stones, e questo per citare solo una minima parte dei musicisti che qualcosa debbono a Johnson — potremmo poi citare Jimi Hendrix, Duane Allman, ma comunque in realtà quella che andrebbe citata è l’intera esperienza del rock come derivazione di intuizioni che Johnson aveva concentrato nell’uso della chitarra, trasformando completamente il ruolo stesso dello strumento all’interno dell’economia strutturale della musica blues.
È chiaro che non si vuole sottolineare la tecnica di Johnson allo strumento, ma proprio le tecniche che il chitarrista riuscì a sviluppare aprendo il blues verso il futuro e quindi verso il rock, che rimane comunque indissolubilmente legato all’espressione e all’esperienza blues dei negri americani la cui storia va necessariamente affrontata in sintesi per capire infine le matrici stesse del blues.
Oppressi e discriminati, sfruttati socialmente ed economicamente, privati di ogni diritto, gli schiavi africani che arrivarono dal 1600 nelle Americhe mantennero inalterate, malgrado i condizionamenti e gli insegnamenti condizionanti del cattolicesimo e del protestantesimo, alcune caratteristiche culturali che nel tempo vennero assimilate dalla cultura dell’America del nord ed oggi in parte la definiscono.
Nella trasformazione dello schiavo negro africano in cittadino ‘schiavo’ negro americano, la musica ha avuto un’importanza rilevante anche se è necessario subito chiarire che il negro trapiantato negli stati americani non era già portatore della musica blues e che questa nacque dalla particolare condizione di vita del negro prima come forma poetica e poi come espressione musicale, subito denunciata dalla chiesa come musica del diavolo.
Al negro rimasero ricordi della propria religione, ricordi di pratiche e divinità, alcune delle quali vennero poi identificate attraverso un processo di osmosi, con caratteristiche di Santi conosciuti attraverso il continuo e continuato intervento del cattolicesimo…
Ad Haiti uno dei principali loa è Legba che detiene tra l’altro le chiavi del mondo spirituale e non a caso viene accostato a San Pietro dalle popolazioni haitiane di origine africana convertite al cattolicesimo. Legba è una divinità di Dahomey rintracciabile anche in vaste zone dell’Africa occidentale, è una figura del vodu haitiano, ma la si ritrova con eguali caratteristiche anche nel sud degli Stati Uniti: è il signore delle strade e dei sentieri e viene rappresentato sotto le spoglie di un vecchio invalido coperto di stracci che, pipa in bocca e sacca a tracolla, avanza a fatica appoggiato ad una stampella.
Legba è anche il signore dei crocicchi ed il crocicchio è il luogo frequentato dagli spiriti maligni, un luogo proprio alle arti magiche. Il crocicchio è il luogo delle scelte ed anche uno dei luoghi cantati con più intensità dai musicisti di blues.
“Andai al crocicchio e mi lasciai cadere in ginocchio,
andai al crocicchio e mi lasciai cadere in ginocchio
chiesi al signore lassù nel cielo
Abbi pietà, risparmia ti prego il povero Bob.
Standomene al crocicchio cercai di farmi dare un passaggio,
standomene al crocicchio cercai di farmi dare un passaggio
non c’è nessuno che sembri riconoscermi, tutti mi passano davanti” (Crossroads Blues).
Così cantava Robert Johnson, e lui il crocicchio e la sua magia doveva conoscerli bene, al crocicchio infatti il futuro musicista di blues vendeva l’anima al diavolo di cui Legba era uno degli emissari.
Son House e Willie Brown incontrano Robert Johnson a Robinsonville; loro suonavano il sabato sera nei quattro jookes joints del paese e Robert, malgrado fosse ancora un adolescente, li seguiva determinato ad apprendere i segreti del blues. Robert Johnson era allora soltanto un discreto armonicista che voleva suonare la chitarra senza però dimostrare nessuna particolare predisposizione per lo strumento, e sia Son House che Willie Brown cercarono di far desistere il ragazzo da quella che era per lui una vera e propria ossessione.
Per circa sei mesi i due bluesmen suonano in località lontane da Robinsonville, contemporanemente Robert Johnson si allontanò dalla piantagione di Leatherman a Commerce, determinato a rifiutare il lavoro nei campi e sembrò scomparire nel nulla. Cosa accadde in quei sei mesi rimane ad oggi un mistero, ma Son House è molto esplicito al proposito: secondo lui Robert Johnson durante quel periodo aveva invocato ed incontrato il diavolo e gli aveva venduto l’anima ottenendo in cambio una straordinaria visione poetica ed una musicalità che lo stesso Son House definirà sovrannaturale.
Ad accorgersi del cambiamento di Johnson saranno proprio Son House e Willie Brown che incontreranno il giovane bluesman in un locale di una piccola località ad est di Robinsonville, Banks, e sarà lì che dopo essere stato invitato a suonare, Jonson canterà Terraplane Blues, costringendo Son House a riconoscere subito in lui non solo un ottimo chitarrista ma anche un grande poeta.
Molti fattori fecero nascere successivamente una vera e propria leggenda attorno a Johnson: la sua morte avvolta nel mistero, anche se ora è certo che fu assassinato con del veleno da un marito geloso, il fatto che fino a pochissimi anni addietro sembrava che di lui non esistessero fotografie, le sue improvvise sparizioni, i ripetuti riferimenti al diavolo nelle canzoni, la sua musica che causava forti emozioni, i testi sempre costruiti attorno al tema dell’ autodistruzione, dell’angoscia esistenziale, delle donne con cui Johnson deve aver avuto rapporti tormentati e confusi.
Johnny Shines, che per un breve periodo suonò con Johnson, racconta spesso un episodio avvenuto a St. Louis: “Stavamo suonando una di quelle canzoni che a Robert piaceva suonare ogni tanto, Come On In My Kitchen. Lui suonava molto lentamente e con passione, e quando finimmo io notai che nessuno diceva niente. Poi capii che stavano piangendo… donne, uomini, tutti.
Succedevano spesso cose del genere, e penso che Robert piangesse forte come gli altri. Era per cose così, credo, che Robert volesse stare solo, e ben presto lo sarebbe stato. C’era solo una differenza credo, ed era che Robert piangeva dentro. Sì, il suo pianto era dentro.
Nato l’8 maggio del 1911, Robert Johnson morì a soli ventisette anni il 16 agosto del 1938 a Greenwood, sempre in quella zona del Delta del Mississippi in cui si era formato musicalmente e che aveva abbandonato, tra il 1930 ed il 1938, per suonare in piccoli club, bar, barrelhouse, jookes e naturalmente per le strade.
In quegli anni aveva girato gli Stati Uniti e lavorato con musicisti che parteciperanno in prima persona a rendere immortale la sua musica, tra questi Elmore James. Riconosciuto subito come uno dei più significativi bluesmen del Delta, Johnson registrò soltanto ventinove canzoni in cui spesso tornava a parlare del diavolo: “Stamattina presto quando hai bussato alla mia porta ho detto Salve Satana, credo che sia ora di andare — Io e il diavolo camminavamo fianco a fianco” (Me And The Devil Blues). “Devo muovermi sempre, devo muovermi sempre, i blues cadono come grandine, i blues cadono come grandine ed il giorno continua a ricordarmi che c’è un demonio che mi segue, un demonio che mi segue…” (Hellhound On My Trail).
Nei pochi anni in cui si esibì, il suo impatto su altri musicisti fu enorme, e chi ebbe occasione di incontrarlo ed ascoltarlo ricorda ancora l’estrema facilità con cui poteva suonare in vari stili e varie forme musicali mantenendo sempre una incredibile padronanza dello strumento.
Ed è sempre Johnny Shines ad offrire una insostituibile testimonianza: “Lui [Robert] poteva suonare qualsiasi tipo di musica, poteva suonare nello stile di Lonnie Johnson, di Blind Blake, di Blind Boy Fuller, di Blind Willie McTell e di altri ancora, come ad esempio il cantante country Jimmie Rodgers di cui facevamo insieme un po’ di pezzi. Robert suonava bene anche il ragtime, ma anche canzoni popolari, walzer e polke.
Molta di questa musica normalmente non era suonata con lo slide e lui invece otteneva strane cose suonando slide. A differenza di Tampa Red che usava un bottleneck molto corto, Robert aveva un bottleneck più lungo, comunque più corto della larghezza del manico. A volte usava un coltello invece del bottleneck perché diceva che per certe canzoni il suono ottenuto era più adatto. Suonava con il thumbpick, e con il fingerpick o con un plettro, ed usava il pollice e l’indice anche se a volte usava il pollice e due dita”.
Sulle ventinove canzoni incise da Robert Johnson si è formata la prima generazione di bluesmen urbani tra i quali Muddy Waters ed Elmore James, l’originalità della struttura musicale dei suoi brani ed alcune tecniche applicate alla chitarra acustica, sono state alla base dello sviluppo della musica blues.
Ascoltando le incisioni di Johnson si avverte una modernità sorprendente: registrate tra il 1936 ed il 1937, le sue canzoni contengono in sintesi alcuni elementi formali sfruttati in seguito dalle prime band di blues urbano, dai musicisti rhythm and blues e quindi nel rock: l’uso del walkin’ bass eseguito sulle corde basse della chitarra, l’uso di accordi inframezzati da interventi slide, portavano nel blues qualcosa di nuovo.
Anche se quelle tecniche erano conosciute e praticate da tempo, Johnson era riuscito a farle convivere sulla chitarra creando una vera e propria forma di accompagnamento come noi oggi lo intendiamo. Con una facilità ed una approssimazione tipiche della critica americana si è voluto riconoscere in lui l’iniziatore o identificare nella sua proposta blues il momento di passaggio e collegamento con il futuro blues urbano.
La storia del blues insegna che è impossibile attribuire una innovazione ad un solo musicista ed ogni etnomusicologo riconoscerà che le espressioni popolari si sviluppano per somma di apporti e di influenze.
Indubbiamente la figura di Robert Johnson rimane una delle più significative per lo sviluppo del blues: in At The Cross Road (“Nessuno sembra conoscermi, tutti mi passano accanto”), o nello straordinario Hellhound On My Trail (“il blues cade come grandine stamane, non ho soldi, il cane dell’inferno è sulle mie tracce”) si raggiunge la disintegrazione definitiva del country blues.
I gridi e gli strilli in falsetto sono adesso non soltanto selvaggi e grotteschi, ma anche spezzati, perduti, privi di un nucleo centrale. L’eccitazione emotiva, quasi folle, viene rinforzata dalle dissonanze aspre della chitarra, il suo vibrato penetrante viene prodotto con una lama di coltello o con il collo di una bottiglia su singole note ripetute; la voce e lo strumento non si concedono più il confronto reciproco del dialogo, ma si stimolano a vicenda verso un parossismo ulteriore. Alle parole “gotta keep moving”, la forma del blues viene letteralmente infranta, l’armonia spostata, le modulazioni diventano bizzarre e perverse.
“L’espressione della solitudine — il cantante parla con la chitarra e attraverso essa — non può andare oltre” (Wilfrid Mellers da: Musica Del Nuovo Mondo). Ma non si può dimenticare il debito di Robert Johnson verso personaggi come Charley Patton, Lonnie Johnson, Kokomo Armold, Skip James e naturalmente Son House e Willie Brown.
Negli ultimi anni quaranta, le sue canzoni vennero riprese dai primi gruppi di blues urbano che nascevano nelle grandi metropoli, e questo accadeva perché il semplice lavoro di Robert Johnson sulla sua chitarra acustica equivaleva in realtà ad una specie di arrangiamento, ed alcuni musicisti non fecero altro che stabilire le parti per basso, le sequenze armoniche e le parti soliste sezionandole dal lavoro alla chitarra di Johnson.
Dopo il crollo della borsa di Wall Street nel 1929, la depressione dei primi anni trenta mutò il modo di vivere di milioni di persone. La crisi trascinò con sé ogni settore dell’economia americana e naturalmente anche l’industria discografica subì enormi perdite e parziali rivoluzioni. La scena blues cambiò lentamente volto, il country blues divenne sempre più un’eredità, un’eredità a volte scomoda e rifiutata.
La fuga dalle campagne aveva portato nelle città migliaia di negri ed inesorabilmente la loro musica era mutata, ancora si incideva del country blues e le registrazioni di un bluesman del Delta come Robert Johnson lo dimostrano chiaramente; ma sul finire degli anni trenta, la struttura strumentale della musica blues si aprì a soluzioni nuove. Lì dove il bluesman di country blues o del Delta si accompagnava con la chitarra, con l’armonica, con il kazoo o con la washboard, il musicista blues urbano si riuniva in piccole band: al piano, basso e chitarra iniziali si aggiunsero successivamente la batteria e le sezioni dei fiati più o meno allargate.
Più volte si è cercato di sistematizzare il lavoro di Johnson, di analizzarlo ed offrirne una chiave definitiva sia di lettura che d’esecuzione, ma i risultati di questo tipo di intervento difficilmente hanno offerto una risposta sicura, ed anche il periodo in cui la musica di Robert Johnson è stata incisa sicuramente non aiuta a capire ad esempio che tipo di accordature usava perché mancano completamente testimonianze che possano chiarire aspetti apparentemente decodificabili della sua tecnica.
Diciamo anzitutto che a differenza di molti bluesmen del periodo, musicisti dí country blues, Johnson faceva quasi sempre uso del capotasto. Questo in parte complica il tipo di analisi che si vuol fare, ma sono comunque le accordature aperte a rimanere uno dei punti in parte oscuri da affrontare.
L’analisi che questo articolo propone, nasce da alcuni testi consultati, dal lavoro fatto da Samuel Charters, da vari articoli pubblicati su riviste specializzate e in particolar modo da una delle fonti forse più veritiere, vale a dire l’articolo di Jas Obrecht apparso su Guitar Player dell’aprile del 1982.
Diciamo subito che i lavori di Obrecht e di Charters si discostano in maniera decisa soprattutto sull’individuazione delle open tuning usate da Johnson, ed è per questo che ho interpellato Maurizio Bonini e Marco Manusso per avere ulteriori punti di riferimento e di confronto, non tanto per poter dire una parola definitiva sull’argomento, ma per poter confrontare più giudizi ed indicazioni possibili.
Anzitutto è necessario tornare agli anni trenta e vedere come la chitarra in quel periodo fosse uno strumento con specifiche tecniche diverse da quelle attuali, e poi valutare anche il tipo di corde che venivano costruite in quel periodo. Da Johnny Shines sappiamo che Robert Johnson ha suonato con una Gibson arch top con buche a ‘f’ e successivamente con una Kalamazoo (marchio ‘economico’ della Gibson), mentre da Robert Jr. Lockwood sappiamo che precedentemente all’uso di questi strumenti normalmente Johnson suonava con una chitarra National in legno (senza risuonatore).
Anche se l’uso del trussrod (regolabile) era già abbastanza diffuso, è probabile che le Kalamazoo, essendo strumenti a basso costo costruiti dalla Gibson proprio durante la depressione, non avessero questa ‘innovazione’ e quindi essendo le corde in commercio in quegli anni di grosso ‘gauge’, non è ipotizzabile che Johnson potesse usare una accordatura di LA aperto che sottoporrebbe manico e ponte ad una trazione rilevante.
Un analogo discorso vale per la National e per la Gibson, anche se non sapendo la sigla è difficile identificare le caratteristiche di costruzione. È quindi probabile, come scrive anche Jas Obrecht, che una delle accordature usate sia quella di SOL aperto. Altra accordatura sfruttata sicuramente è quella di RE aperto ed anche qui vale il discorso fatto per l’accordatura di SOL, vale a dire che è improbabile che Johnson potesse accordare il suo strumento in MI aperto, sempre per un discorso di eccessiva trazione.
Altro problema che, ma questo anche se non in maniera semplice, può essere risolto, riguarda i singoli brani e le accordature usate da Johnson: consultando testi ed articoli si trovano indicazioni diverse tra loro, ma facendo fede ad una ricerca operata da Maurizio Bonini e ad un attento ascolto, credo sia possibile offrire un elenco completo e valido dei singoli brani con le relative accordature:
Crossroads Blues open SOL
Terraplane Blues open SOL (Samuel Charters propone open RE)
Come On In My Kitchen open SOL (Samuel Charters propone open RE)
Walkin’ Blues open SOL
Last Fair Deal Gone Down open SOL (Samuel Charters propone open RE)
32-20 Blues accordatura standard
Kindhearted Woman Blues accordatura standard
If I Had Possession Over Judgment Day open SOL
Preaching Blues open RE
When You Got A Good Friend accordatura standard
Rambling On My Mind open RE
Stones In My Passway open SOL (Samuel Charters propone open RE)
Traveling Riverside Blues open SOL
Milkcow’s Calf Blues open SOL
Me And The Devil Blues open SOL
Hellhound On My Trail open RE minore
Sweet Home Chicago accordatura standard
I Believe I’ll Dust My Broom accordatura standard
Phonograph Blues accordatura standard
They’re Red Hot accordatura standard
Dead Shrimp Blues accordatura standard
I’m A Steady Rollin’ Man accordatura standard
From Four Till Late accordatura standard
Little Quennie Of Spades accordatura standard
Malted Milk accordatura standard
Drunken Hearted Man accordatura standard
Stop Breakin’ Down Blues accordatura standard
Honeymoon Blues accordatura standard
Love In Vain open SOL (Samuel Charters propone accordatura standard).
Queste ipotesi sono comunque indicative e si potranno prestare a critiche, è giusto soltanto segnalare che il tipo di musica incisa da Johnson non facilita molto la ‘ricerca’ e che comunque questo tipo di ‘ricerca’ è sempre suscettibile di interpretazioni diverse; trovare un’accordatura aperta, anche se come per Johnson si tratta di open tuning molto usate nel blues, è sempre delicato.
Un’ultima indicazione o un suggerimento per chi volesse approfondire ulteriormente il tema può venire dalla ricostruzione cinematografica delle incisioni del 27 novembre del 1936 fatte a San Antonio, che troviamo all’inizio del film Mississippi Adventures. Si tratta di una breve sequenza in cui il regista Walter Hill ricostruisce l’ambiente in cui fu registrata tra le altre canzoni anche Crossroads, e nel film si vede chiaramente che il capotasto è al terzo tasto.
La cosa sarebbe ininfluente se si trattasse di una semplice trasposizione cinematografica, ma dietro a questo film c’era Ry Cooder per quanto riguarda la colonna sonora e Arlen Roth che si occupava di offrire una parvenza di veridicità tecnica all’attore protagonista, che interpretava il ruolo di un chitarrista.
Se la volontà di essere anche il più possibile fedeli all’originale ha convinto Walter Hill ad usare il `genio’ e ‘l’infinita’ conoscenza di Arlen Roth, questo sinceramente non lo sappiamo, però il fatto di mettere il capotasto al terzo tasto potrebbe anche significare che Johnson usava forse accordature aperte di LA e di MI, magari mezzo tono sotto per evitare problemi di trazione, e quindi suonava in open tuning di MIb e Lab.
Del resto, in relazione ad un contesto musicale ancora vicino alla cultura orale tradizionale, è anche corretto ipotizzare che le accordature non facessero riferimento a un diapason ben definito.
Giuseppe Barbieri, fonte Chitarre n. 48, 1990