Telluride, Colorado, é una minuscola località turistica sperduta nelle Montagne Rocciose. Il suo nome, seppur sconosciuto ai più, evoca agli amanti di bluegrass e country music sensazioni magiche. Ogni anno, infatti, da 13 anni questa piccola città mineraria dell’epoca vittoriana si anima al suono di banjo e fiddles per accogliere il più spettacolare Bluegrass Festival del mondo.
La storia della cittá
La storia di Telluride inizia verso la fine del 1800 quando i primi cercatori d’oro arrivarono in quest’area e vi si stabilirono. Nonostante il freddo, l’altitudine (quasi 3.000 m.) e le difficili condizioni di vita, la zona attrasse parecchi avventurosi da tutto il Sud-Ovest. Attorno ad essi si sviluppò la vita. Alcuni saloons, le prime attività commerciali, la banca, addirittura un giornale: Telluride era pronta per essere ufficialmente segnalata sulle carte geografiche.
Ma fu solo in seguito ad un atto criminale che la città balzò alla ribalta nazionale nel 1889. La banda di Buth Cassidy e Sundance Kid inaugurò infatti con un bottino di 24.000 dollari, carpito alla San Miguel Valley Bank di Telluride, la sua lunga serie di malefatte.
Ai primi del ‘900 Telluride era una delle prime città al mondo ad essere illuminata elettricamente. Il merito di tale prodigio fu di un eccentrico personaggio, certo L.L. Nunn, collaboratore di George Westinghouse, l’inventore della corrente elettrica alternata. Per ridurre i costi di illuminazione (a petrolio) delle miniere, Nunn propose a Westinghouse di testare la sua invenzione. Così una delle prime centrali elettriche al mondo venne installata ad Ames, Colorado e servì anche ad illuminare le strade di Telluride. Con il decremento dell’attività mineraria negli anni ’30 si sentì l’esigenza di trovare una nuova economia. Alcune società furono costrette a chiudere e la vita di Telluride sembrava destinata a sparire con loro. Ma verso la fine del 1960 venne l’idea di sfruttare le potenzialità turistiche della zona e di trasformare la città in località sciistica. Questo, oltre a cambiare radicalmente l’aspetto e le fortune di Telluride diede modo all’amministrazione cittadina di promuovere diverse manifestazioni artistiche e culturali allo scopo di diffondere il nome della città in tutti gli States.
13 Anni di bluegrass
Fall Creek era il nome di una band di bluegrass locale che nel 1973 fu chiamata a suonare al Festival di Winfield, Kansas, famoso per il Contest Internazionale di Flatpicking. I componenti del gruppo rimasero così entusiasti di quella esperienza che al ritorno a Telluride decisero di organizzare loro stessi un festival. Telluride, all’epoca, aveva un solo evento festaiolo che coincideva con la celebrazione dell’lndipendence Day, il 4 Luglio. Così, in accordo con l’amministrazione cittadina, il 4 Luglio 1974 ebbe luogo, nell’ambito delle celebrazioni ufficiali, il 1º Telluride Country & Bluegrass Festival. I gruppi che vi parteciparono erano tutti del Colorado ma lo spettacolo registrò comunque un notevole successo: più di mille persone si entusiasmarono e danzarono nell’area del Festival.
Sulla scia del successo, si pensò subito all’organizzazione su base più professionale della seconda edizione del Festival. Ma ci voleva una novità, un qualcosa che potesse rendere la manifestazione autonoma dal resto dei festeggiamenti. La risposta fu: ingaggiare una band professionistica. La scelta, determinante come vedremo per gli sviluppi futuri del Festival, cadde sui New Grass Revival, un gruppo emergente che proponeva una musica nuova fuori dai consueti schemi del bluegrass tradizionale.
Dopo la svolta dei New Grass, nelle successive edizioni il Festival vide l’alternarsi di nomi sempre più di spicco: John Hartford, Peter Rowan, Byron Berline, Country Gazette. Un paio di dischi editi dalla Flying Fish (Too Late To Turn Back Now dei NGR e Festival Tapes, una compilation dei migliori gruppi apparsi alla 4ª edizione del Festival) contribuirono notevolmente a diffondere la voce che nel Colorado, in un posto sperduto tra le Rocky Mountains, aveva luogo un festival bellissimo, dall’atmosfera famigliare nella incantevole cornice della zona che chiamano la ‘Svizzera d’America’.
Nonostante il successo di pubblico e di critica, i 4 dischi editi dalla Flying Fish (oltre ai due precedentemente citati, ricordiamo un’altra antologia, Tellulive, e un ‘live’ della Doug Dillard Band, Jackrabbit) e i numerosi turisti che la manifestazione portava, la città di Telluride non era affatto favorevole al Festival. Rumore assordante, un sacco di atti di vandalismo, la città che durante i tre giorni veniva messa sottosopra: era troppo per la quieta cittadinanza e per la sua amministrazione. Quindi, nel 1979/80, si ebbero fortissimi dubbi sulla ripetizione del Festival.
Solo dopo molte riunioni e svariate discussioni, l’amministrazione comunale, resasi conto dell’importanza dell’avvenimento, rinegoziò gli accordi con gli organizzatori e diede il benestare per la 7ª edizione. Fortunatamente il Festival quell’anno fu uno straordinario successo (oltre 9.000 paganti) e superata la prova decisiva si avviò a ripetere record di pubblico e di critica anno dopo anno.
Tanto per dare un’idea delle dimensioni, anche economiche, del Festival di Telluride vi possiamo dire che il budget di costi per l’8ª edizione (1980) sfiorò i 250.000 dollari e che quello attuale è presumibilmente il doppio. Il costo dei biglietti è passato dai 2 dollari della 1ª edizione ai 45 dell’8º e ai 65 attuali (cioè circa 100.000 lire italiane solo per l’ingresso durante tutti e tre i giorni). Ma questo incremento strutturale ha permesso un notevole salto di qualità anche dal punto di vista artistico tanto che ora Telluride è una passerella importante e tutti i migliori musicisti fanno praticamente la fila per parteciparvi. Del gruppo originale degli organizzatori è rimasto il solo Fred Shellman, colui che più degli altri ha creduto e voluto che Telluride continuasse ad avere il suo grande Bluegrass Festival.
Il Festival nel 1986
Immerso nel verde del Town Park con lo sfondo di picchi innevati e di una cascata vertiginosa, il caratteristico palco di legno decorato con fiori coloratissimi e sormontato dal logo del Festival è diventato una costante del look di Telluride degli ultimi anni. Più di 1.000 sono i volontari destinati a varie mansioni (servizio d’ordine, biglietteria, pronto soccorso, cucina, ecc.) per far sì che i tre giorni della manifestazione trascorrano nel modo migliore possibile. Il Festival, la musica e gli artisti presenti si meritano il massimo. Soprattutto quest’anno che si è giunti ad una edizione (la 13ª, ma nessuno qui è superstizioso!) molto importante perché dedicata a un monumento del country: Doc Watson, recentemente colpito dalla tragica e prematura scomparsa del figlio Merle.
Contemporaneamente, a Telluride si festeggia quest’anno anche il ventennale della Nitty Gritty Dirt Band, il gruppo che ha maggiormente contribuito alla promozione della musica country e bluegrass negli anni ‘70. Ma soprattutto il programma del Festival è un vero e proprio manifesto di ciò che è il bluegrass oggi: un’isola felice, nel sempre più desolante mondo del folk internazionale, che ha saputo superare la crisi del dopo folk-revival degli anni ’60 senza contraddizioni e con voglia di andare avanti. Un grosso merito va proprio allo sviluppo dei Bluegrass Festival (negli U.S.A. quelli ufficiali sono più di 400: oltre uno al giorno!) che in una atmosfera tranquilla e gradevole permettono, nel giro di due/tre giorni, di godersi abbuffate musicali che saziano la fame degli appassionati per un bel pò di tempo. Ogni Festival ha caratteristiche proprie: Telluride è concentrato sul bluegrass cosiddetto contemporaneo, quello cioè che non fa sofismi stilistici particolari e guarda a questa musica in un’ottica adeguata ai tempi.
I rappresentanti più validi di questa avanguardia stilistica, salvo poche eccezioni, sono quasi tutti presenti all’edizione 1986: Hot Rize, Berline, Crary & Hickman, Seldom Scene, Doc Watson, Peter Rowan & Crucial Country. Insieme a loro i più bei nomi della new acoustic music (Tony Trischka & Skyline, David Grisman, New Grass Revival, Mark O’Connor, Jerry Douglas), del glorioso country-rock (Nitty Gritty Dirt Band, Hillman & Pedersen Band, David Bromberg, Jonathan Edwards, Chris Daniels) e alcuni ‘outsiders’ di lusso come Norman Blake, Chuck Pyle, la Ophelia Swing Band. Insomma tutte le premesse per potere assistere ad un avvenimento unico. E infatti i concerti non deludono le aspettative: tutti o quasi sono di altissimo livello.
Parzialmente appannati risultano solo Berline, Crary & Hickman che, nonostante gli sforzi, presentano un repertorio piuttosto noioso basato per la maggior parte su fiddle-tunes suonati dai tre con diverse combinazioni strumentali senza troppa inventiva né calore. Problemi anche per Peter Rowan, qui con Mark 0′ Connor, Jerry Douglas e Roy Husky Jr., alle prese con difficoltà di amplificazione e di amalgama con i suoi titolati accompagnatori. Ma tutto il resto è super: dalla smagliante e divertente performance dei Seldom Scene da soli o come back-up band di Jonathan Edwards alla jam session del venerdì sera di Chris Daniels con i New Grass Revival.
Sabato, la giornata più attesa, inizia subito alla grande con la reunion della Ophelia Swing Band, un sensazionale gruppo di swing acustico con all’attivo 2 dischi. Dopo oltre 8 anni di separazione la Ophelia si ripresenta nella formazione originale capitanata da Dan Sadowsky (che è anche lo spiritoso presentatore del Festival nonché il coordinatore artistico dell’intera manifestazione). Il gruppo propone un repertorio misto di tradizione bianca e nera con particolare riferimento alla ‘Swing Era’ degli anni ’30 e ’40. Con loro ha incominciato la sua carriera Tim O’Brien, ora star degli Hot Rize. Con O’Brien e Sadowsky la ottima violinista Vicky Del Monaco e il percussionista ‘Washboard’ Chaz aggiungono quel tocco di classe e originalità che già si era apprezzato nei dischi della band.
Dopo di loro, con uno spettacolo solido e nel contempo brillante, scendono in campo sotto un sole cocente Tony Trischka & Skyline. Migliorati sotto tutti i punti di vista, gli Skyline sono un gruppo compatto che offre una proposta di new acoustic music fresca e affascinante con innumerevoli riferimenti musicali: jazz, rock, bluegrass, musica balcanica. Ma per gli appassionati di bluegrass gli Hot Rize sono il massimo. E francamente non si può dar loro torto. Il gruppo di Tim O’Brien, Charles Sawtelle, Peter Wernick e Tim Forster è veramente eccezionale. Niente è lasciato al caso, tutto è curato nei minimi dettagli: look, presentazione dei brani, scelta del repertorio e stile di esecuzione. Esilarante, come al solito, l’esibizione del gruppo ‘alter ego’ di Red Knuckles & The Trailblazers con vari ospiti d’onore.
Nel tardo pomeriggio inizia il set di Doc Watson accompagnato dal fido bassista e road-manager T. Michael Coleman e dal nuovo chitarrista Jack Lawrence a sostituire il compianto Merle Watson. Pur non avendo le doti di fingerstylist di Merle, Jack Lawrence si dimostra all’altezza del difficile compito tanto che il suono globale del trio è pressoché identico a prima. Anzi Doc (qui in ottima forma) ha molto più spazio solistico, il che naturalmente non guasta. La parte più bella dello show è quella in cui vengono invitati sul palco per una eccitante session John Mc Euen, Jeff Hanna, Jimmy Fadden e Jimmy Ibbotson (della NGDB) con Sam Bush al fiddle. Lo spettacolo si conclude con una autentica ovazione del pubblico in delirio tanto che il commosso Doc offre un bis a sorpresa: una versione ‘old timey’ di Lost John con armonica e voce.
Ma già tutti sono pronti per la sera e per il concerto dei New Grass Revival (vedi articolo) che sarà il punto più ‘caldo’ di tutto il Festival. Dopo di loro la nuova Nitty Gritty Dirt Band, nel ventennale della propria attività piazza uno spettacolo strepitoso che ripercorre i momenti migliori della carriera del gruppo con uno scoppiettante alternarsi di ospiti d’onore sul palco. Sulle note di Will The Circle Be Unbroken si conclude la serata che si stima sia stata applaudita da circa 15.000 persone, un record assoluto per Telluride.
Domenica mattina è di nuovo musica con l’inedito duo formato da Bela Fleck & Jerry Douglas. I risultati sono facilmente immaginabili: quella è gente che ha sette dita per mano!!
Norman Blake, con la moglie Nancy e l’ottimo Peter Ostruschko, chiude la mattinata. La musica dei Blakes è forse troppo sofisticata per riuscire vincente su uno stage caldo come quello di Telluride e, nonostante le abilità di Ostruschko, si continua a preferire il trio originale con James Bryan al fiddle.
Molto atteso dal pubblico si presenta un David Bromber ingrassato e un pò arrugginito nel suo mitico flatpicking. Ma David è performer insuperabile e lí per lì ti mette insieme una band improvvisata con i tre fiatisti di Chris Daniels ed è subito magia. Stregati dal carisma del personaggio i musicisti seguono David come se suonassero con lui da anni: siamo sempre più lontani dal bluegrass ma lo spettacolo è di sicuro effetto e sembra che il pubblico non voglia più lasciar andar via Bromberg. Solo la presenza di Grisman sul palco quieta tutti.
E’ il momento di ‘The Dawg’, il re della N.A.M. Il suo nuovo quintetto, oltre al fido violinista Jim Buchanan, annovera Dimitri Van Dellos (chitarra acustica e elettrica), Kerwin James (contrabbasso) e George Marsh (batteria). La musica proposta è ormai jazz al 100% ma è fresca, accattivante e lui, ‘Dawg’ è una presenza. Anche qui una jam-session da sogno: “the best bluegrass band in the world” come Grisman stesso la definisce: Mark O’Connor, Jim Buchanan, Sam Bush, Bela Fleck, Jerry Douglas, lo stesso Grisman a dar vita a nuovi e vecchi hits. Il Festival si chiude con la band di Chris Hillman & Herb Pedersen con un magnifico John Jorgenson a Telecaster e mandolino. Country-rock di classe ed efficacia che mantiene elevato fino alla fine il livello della manifestazione. Visto il successo della 13ª edizione a Telluride ogni traguardo è ormai possibile: perfino una ripresa in diretta della CBS!! D’altronde … “you haven’t had good Bluegrass un-telluride on it!”
Ezio Guaitamacchi, fonte Hi, Folks! n. 19, 1986