Ed in questo inizio d’autunno Tim O’Brien spiazza tutti facendo uscire due dischi contemporaneamente, due dischi entrambi straordinari e tra loro uguali, diversi e complementari. Uguali per ispirazione, diversi per arrangiamenti e complementari perché sono da ascoltare insieme. Per coloro che già conoscono questo artista la recensione potrebbe finire qui, con un invito incondizionato e categorico all’ascolto.
Si tratta di due episodi nei quali viene esplorata in modo personale la musica tradizionale nord-americana, variamente composita e ricca di gioielli anche sconosciuti, tra i quali trovano compiuta sistemazione brani recenti ma già senza tempo ed anche originali, a firma sia Tim O’Brien sia di altri. Ed il bello è che tutti questi pezzi si amalgamano perfettamente fra loro, a non riuscire a discernere il vecchio dal nuovo.
Fiddler’s Green dei due è forse l’episodio meno eclettico, con arrangiamenti più dolci, più vicini alla tradizione. Si inizia con una vecchia ballata cantata con voce malinconica, mentre più allegro è il secondo brano con in evidenza il banjo di Charlie Cushman. Si prosegue con la title-track dal regale andamento per passare al quarto pezzo, un medley strumentale dove risaltano l’abilità al mandolino di Tim e la dolcezza del fiddle di Casey Driessen. Il quinto è un triste racconto dall’andamento molto celtico, cantato con l’aiuto della sorella Mollie, mentre nel sesto è in evidenza il contrabbasso di Edgar Meyer suonato con l’archetto (una performance che provoca sempre brividi), accompagnato solamente da fiddle e voce.
Nel settimo brano si cambia registro, e Tim ci sorprende con un sorprendente (la ripetizione è voluta) virtuosismo alla chitarra. Segue un altro breve strumentale che introduce il nono pezzo, semplice ed accattivante, con un cameo inaspettato ma riconoscibilissimo di Chris Thile al mandolino. È la volta poi della conosciuta Long Black Veil resa con l’ausilio della steel guitar e con la voce del sempre ottimo Darrell Scott. Dopo un antico brano risalente alla prima metà del diciannovesimo secolo, il disco termina con Early Morning Rain di Gordon Lightfoot (era anche a questo pezzo che mi riferivo parlando precedentemente di cose recenti, ma già senza tempo), fresca come una pioggia mattutina.
Tra gli altri amici che collaborano occorre citare almeno Dennis Crouch e John Doyle, ma in ogni caso su entrambi gli episodi domina la voce di Tim O’Brien, calda ed affascinante, la sua bravura strumentale, il suo estro musicale davvero a 360 gradi ed il suo ottimo buon gusto, capaci di dare nuova vita a cose note. Una leggera predilezione molto personale va a questo Fiddler’s Green, ma confermo, per un godimento completo sono da ascoltare insieme.
Sugar Hill 4006 (Old Time Music, New Acoustic Music, 2005)
Claudio Pella, fonte TLJ, 2005
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