Forse non ci si dovrebbe sorprendere più di tanto nello scoprire che la maggior parte dei cantautori possiede una personalità introversa. Dopo tutto, dietro una mente che crea canzoni come Poncho & Lefty, No Place To Fall e Tecumseh deve esserci una persona creativa, che sa usare il cervello. D’altro canto, la mente che riesce ad immaginare di intitolare un disco ‘Il povero Townes Van Zandt’ (dove ‘povero’ sta per ‘defunto’) deve possedere un senso dell’umorismo non comune. Ma la stessa mente che partorisce Waitin’ Around To Die è quella di un umorista, di un pensatore o cos’altro?
Tutte queste contraddizioni sono presenti in Townes Van Zandt, come lo sono in molti altri cantautori. Quando l’artista è sul palco nella sua veste di uomo pubblico, nel senso di ‘uomo DEL pubblico’, questi deve essere in grado di calarsi nel pathos della tragedia più drammatica (e nel caso del nostro, gli esempi si sprecano), per poi risorgere – novella e camaleontica Araba Fenice – sulle note di un umoristico talkin’ blues: tutti personaggi in cerca di un (cant)autore.
Townes Van Zandt nasce a Forth Worth, Texas (ma guarda!), ma le prime esperienze artistiche sono del periodo di Houston, dove Townes conosce Guy Clark e Mickey Newbury. Insieme i tre suonano e vivono, dividendo la stanza sopra il Sand Mountain Coffee House, locale ritrovo di cantautori ed aspiranti tali e dove vede la luce la prima versione di For The Sake Of The Song, che darà il titolo al debutto del nostro su Poppy nel lontano 1968.
Il disco, prodotto da Jack Clement, è certamente fra i più ‘scarni’ della produzione di Townes, ma contiene il title-track (che verrà in seguito riproposto almeno altre tre volte) ed un’altra perla, quella Tecumseh che Nanci Griffith ha voluto inserire nel suo recente ed eccellente CD Other Voices, Other Rooms.
Il fatto stesso che il secondo disco esca poi a tre anni di distanza la dice lunga sul personaggio anti-star al quale ci troviamo di fronte. Lo scrivere musica è una faccenda molto personale per Townes: quando l’ispirazione manca, si attende pazientemente il momento felice, nel frattempo le esperienze vissute sono meditate ed analizzate, per essere poi rielaborate in chiave narrativa al momento opportuno.
Il 1971 vede quindi il nuovo disco che si intitola High, Low And In Between, quasi uno spettro a trecentosessanta gradi della gamma di stati d’animo rappresentati nelle canzoni qui comprese, fra le quali sarà in seguito rivalutata la geniale To Live Is To Fly.
Ancora a fianco della Poppy ed a distanza di un anno dal precedente, esce The Late Great Townes Van Zandt, che contiene alcune covers più specificatamente country, quali Honky Tonkin’ di H. Williams e Fraulein di L. Williams.
Troviamo poi il battesimo delle due songs del nostro che godranno del maggior numero di covers, cioè Poncho & Lefty (ricordiamo che furono Willie Nelson e Merle Haggard in duetto a portarla allo status di hit) e If I Needed You, di cui rammentiamo l’interpretazione a due di Emmylou Harris e Don Williams.
Oltre a queste citate, le altre songs si allineano alla pur interessante produzione precedente, con arrangiamenti essenziali, adatti a dare il giusto risalto alla voce dell’interprete/autore. Una menzione particolare per Heavenly Houseboat Blues, ricamata sulla melodia del classico Great Speckled Bird alias The Wild Side Of Life alias I Didn’t Know God Made Honky Tonk Angels alias It Wasn’t God Who Made Honky Tonk Angels alias Song Of Songs: sempre la stessa melodia con testi diversi.
La minuscola Poppy viene a trovarsi coinvolta nell’interesse che Townes continua a suscitare attorno a sè anche grazie a Delta Momma Blues, un concentrato di country, blues e folk vissuti in chiave essenzialmente acustica. Ancora i testi la fanno da padrone su di un tappeto musicale sempre molto confidenziale, vedi Tower Song, in chiusura del primo lato, mentre il blues di Brand New Companion verrà in seguito ripreso anche sul doppio live.
Ancorato al nome rispettato di Townes è il seguente sforzo discografico che contiene la rilettura della sua For The Sake Of The Song per oltre cinque minuti. Appare anche l’angosciato appello di Waitin’ Around To Die con quell’incalzare ansioso delle percussioni, mentre l’acustica prosegue imperterrita.
Don’t You Take It Too Bad, abbondantemente rifatta da altri interpreti (basta con le citazioni a memoria!), poggia su di un languido 3/4 con steel guitar in sottofondo.
Fare Thee Well, Miss Carousel ha il genuino sapore della folk song che potrebbe essere uscita da uno dei primi dischi di Eric Andersen, fra l’altro grande amico di Townes.
Our Mother The Mountain ci offre per la prima volta il testo malinconico di Tecumseh (Nanci Griffith e Bobby Bare aggiungeranno ‘valley’ nel titolo delle loro eccellenti remakes) uno dei gioielli di un ipotetico Best Of T.V.Z., insieme all’incedere dolcissimo di Like A Summer Thursday, fra armonica e chitarra acustica.
In effetti, ogni canzone meriterebbe una citazione per un motivo o per l’altro, ma è doveroso lasciare spazio al doppio live del 1977, intitolato senza molta fantasia Live At The Old Quarter, Houston, Texas su Tomato Records, e che è unicamente sorretto da Townes con la sua voce, la sua chitarra acustica e la sua stupenda poesia.
Riprendono qui vita le storie ed i personaggi di Poncho & Lefty, If I Needed You, White Freight Liner Blues, For The Sake Of The Song, il classico Nine Pound Hammer e Cocaine Blues (niente a che fare con J.J. Cale o Eric Clapton).
Vedono qui la luce anche alcuni inediti (in studio, fino ad allora) quali Loretta e Rex’s Blues.
Un’ora e mezza durante la quale Townes riesce ad ipnotizzare il suo pubblico, a catturarne l’attenzione ed a portarlo con sè sulle ali della fantasia evocativa di storie di vita vissuta ed immaginata. Non tema di annoiarsi colui che sta valutando i novanta minuti di cui sopra in chiave di livello di attenzione: alla fine dei due dischi è forte la tentazione di ripeterne l’ascolto.
L’ultimo disco su Tomato Records, il Flyin’ Shoes del 1978, è senza dubbio fra i migliori di Townes e contiene No Place To Fall, della quale Steve Young fornirà un’eccellente cover. Molti sono gli ospiti di riguardo, segno che le quotazioni di Townes sono finalmente in ascesa anche in termini di disponibilità di budget da parte della casa discografica e del produttore. Fra i nomi più noti: Phillip Donnelly e Randy Scruggs alle chitarre, il fratello Gary all’armonica ed il grande Jimmy Day alla pedal sted. Dopo, il niente!
Un silenzioso niente che dura fino al 1987, quando la coraggiosa indie Sugar Hill pubblica il come-back album che va sotto il titolo di At My Window. Ritroviamo l’ennesima rilettura di For The Sake Of The Song, che non ha perso lo smalto di un tempo, anzi la versione è senza dubbio la migliore di tutte, grazie anche ad un sax discreto e non invadente di Donny Silverman.
Gradevolissima anche Snowin’ On Raton con il mandolino di Mark O’Connor e l’accordion di Joey Miskulin. Che dire poi di Blue Wind Blew, di At My Window o di Bucksin Stallion Blues?
Da quel momento fino ad oggi, la popolarità di Townes è stata cementata da una serie di live albums, parte ufficiali parte no, registrati sia in USA (Live & Obscure – Nashville 1987), sia in Europa (Live In Berlin e Rain On A Conga Drum – Berlino 1991), quest’ultimo con note di copertina di Michael Timmins dei Cowboy Junkies, band canadese che gli ha dedicato Townes’ Blues e la cover della sua To Live Is To Fly sul loro osannato album Black-Eyed Man, che contiene anche una composizione-tributo dello stesso Townes intitolata Cowboy Junkies Lament, ovviamente a loro dedicata.
Per ultima, una notizia recentissima secondo la quale sarebbe in cantiere un album-tributo a Townes Van Zandt con la partecipazione, fra gli altri grossi nomi, di Willie Nelson: speriamo non si tratti di una sterile compilation di versioni già note, ricucite insieme per l’occasione. Staremo a… sentire.
Dino Della Casa, fonte Country Store n. 24, 1994