Seguo da molti anni – oggi, ahimè, posso dire addirittura decenni – la produzione discografica di Tim O’Brien. La prima volta che mi lasciai tentare dall’acquisto di uno dei suoi dischi eseguiva musica bluegrass con gli Hot Rize. Mi piacque subito l’approccio moderno e originale della loro proposta musicale.
In seguito fui tra coloro che vissero con ‘dolore’, sul finire degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, la scelta dello scioglimento da parte di formazioni come Newgrass Revival, Hot Rize, Johnson Mountain Boys e Skyline. Una vera e propria rullata di pugni nello stomaco, un momentaccio pian piano superato dall’arrivo di nuovi dischi registrati dai singoli musicisti che componevano i suddetti gruppi, dischi che ci confermavano la continuità della musica fino ad allora prodotta dagli stessi.
Il più prolifico tra questi, non vi è alcun dubbio, si è rivelato Tim O’Brien. Non solo prolifico, anche eclettico, e con una caratteristica poco comune: quella di essere in grado di spaziare attraverso numerosi generi ‘roots’ con una maestrìa che implica profonda conoscenza specifica.
Molti considerano O’Brien il ‘Ry Cooder’ del country tradizionale e folk americano. Personalmente, conoscendo l’opera di Cooder, non la penso proprio così: Ry Cooder fà sue le tradizioni tex-mex, blues, hawaiian, ecc. filtrandole attraverso la sua sensibilità artistica, ma più spesso adattandole al proprio stile, alla propria originale personalità; Tim O’Brien invece quando esegue cajun lo fa come se fosse nato dalle parti di Lafayette, suona old time come se fosse cresciuto al fianco dei vecchi musicisti di Galax e Irish folk come se i suoi avi non avessero mai lasciato la terra d’Irlanda.
Certo, dai suoi dischi si ascoltano canzoni inequivocabilmente di Tim O’Brien, ma se il nostro decide di ‘entrare’ in quello stile, in quella tradizione, riesce ad esprimere la vera essenza della musica, col rigore di un serio ricercatore e incondizionato amore verso la tradizione musicale popolare, rendendolo fresco, attuale, moderno. Questo non è da tutti.
Detto ciò, affermato cioè il rispetto nei suoi confronti da parte mia, caso mai vi fossero dubbi in merito, vi voglio confessare che quando ci giunse l’informazione di una possibile visita di Tim O’Brien in coppia con Darrell Scott, artista che apprezzavo ma che conoscevo meno, la prima reazione non fu di vero entusiasmo. Perché? Semplice, la BCMAI da qualche anno a questa parte, chiusa la bella parentesi ‘Notte Country’, organizza un solo concerto l’anno di dimensioni e ‘importanza’ decisamente minori rispetto al passato, quindi in quanto occasione unica speriamo sempre di ricevere proposte da parte di quartetti o quintetti che, solo per il numero di strumenti in azione contemporaneamente, garantiscono un impatto sonoro più consistente se paragonato a quello prodotto da una chitarra e un violino.
Valutazione piuttosto superficiale, mi si dirà. E’ vero: oggi, col senno di poi, mi è toccato rivedere questo punto di vista. Perché la serata dello scorso 19 ottobre a Settimo Milanese è stata una delle cose più belle mai organizzate dalla Bluegrass & Country Music Association of Italy nei suoi 12 anni d’attività.
Tim O’Brien e Darrell Scott dopo due ore di concerto hanno rimandato a casa un pubblico inebriato da una musica meravigliosa, che ha toccato il cuore di tutti i partecipanti. Un pubblico, tra l’altro, accorso da ogni parte d’Italia: Lombardia, Veneto, Piemonte, Toscana, Liguria, Lazio e addirittura Puglia!
Abbiamo vissuto momenti di vera magia, ascoltato musica che ci ha fatto letteralmente viaggiare in ogni direzione, che ci ha resi anche un po’ più liberi e aperti. Senza retorica. La parola più ricorrente espressa già durante la pausa del concerto, e ancora di più dopo, è stata “emozionante”. Niente di più vero. Emozionante, per me, è anche stato vedere una grossa fotografia degli Hot Rize, scattata durante un concerto, all’interno della custodia di uno degli strumenti che erano sul palco. Il piccolo uomo coi capelli rossi viaggia sempre con quella fotografia nella custodia del suo strumento…
Darrell aveva l’aereo il mattino seguente, Tim qualche giorno dopo. Gli ho chiesto che ne pensava di partecipare alla mia trasmissione radiofonica di lunedì 22 ottobre, alla sua risposta affermativa un conduttore coscienzioso si sarebbe precipitato a casa a preparare una scaletta di domande, cosa che invece non ho fatto.
E’ stata una trasmissione assolutamente improvvisata, e forse bella anche per questo, forse. Noi che l’abbiamo vissuta ‘dall’altra parte’ ci siamo divertiti un sacco, aiutati anche dal buon vino rosso (e non solo quello) che il ‘Red Wine’ Dino Di Giacomo s’era portato con sé. (NB: per l’organizzazione del concerto e tutto il resto, si ringrazi Martino Coppo, Dino Di Giacomo, Antonio Evangelista, Nuccio Davanzo, Roberto Galbiati, Alberto Cardea e Paolo Ercoli).
Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 60, 2001