…Un cartello lungo la strada dice: WELCOME TO NASHVILLE, TN, MUSIC CITY USA.
Allora è proprio vero, sto arrivando veramente nella capitale della musica country, per me è un sogno che si realizza anche perché sarò qui non in una settimana qualunque ma in quella in cui si celebra il Country Music International Fan Fair, il re di tutti i festival.
Come dicevo per me si è trattato di un desiderio che si è venuto materializzando dopo le inevitabili fatiche che un appassionato di country deve purtroppo sostenere per organizzarsi un viaggio del genere dall’Italia.
Il problema più complicato è infatti riuscire a prenotare i preziosi biglietti che ogni anno vengono esauriti da più di 25.000 fans da tutto il mondo. Avrei potuto mettermi in contatto direttamente con l’organizzazione dell’evento oppure cercare all’estero un pacchetto ‘tutto compreso’ offerto da qualche agenzia viaggi. Così a settembre di un anno fa ho deciso di muovermi in entrambe le direzioni. Ricevetti per prima, la proposta del tour operator inglese Joe Fish che si occupa di ‘country holydays’ dal 1981 e la cui pubblicità avevo notato su una rivista specializzata; colsi al volo l’occasione e così la mattina del 12 giugno, il mio sogno comincia a divenire realtà!
13 Giugno
Neanche il tempo di smaltire il fuso orario che, assieme ai miei compagni di viaggio britannici, mi tuffo nel ‘vortice’ delle manifestazioni. La domenica sera il Fan Fair ha il suo prologo nello speciale concerto organizzato dall’International Fan Club Organization al Ryman Auditorium, uno dei teatri storici di Nashville, non tanto grande ma bellissimo proprio perché fatto su misura per la musica.
Inoltre, essendo situato a due passi dalla Brodway e cioè dal centro, mi consente subito di vedere più da vicino come la città sia pronta per la settimana più importante dell’anno.
Tutti i negozi restano aperti fino ad orari notturni e su tutte le vetrine compaiono pubblicità di offerte speciali precedute dalla scritta ‘Fan Fair Special’. Le strade sono naturalmente traffìcatissime e percorse da un mare di gente, i cappelli da cowboy sono quasi d’ordinanza così come le camicie dai colori più sgargianti.
Il Ryman é stracolmo quando ha inizio lo spettacolo aperto dai giovani emergenti di music city: Beverly Ellis, i cinque ragazzi dei South 65 (una sorta di surrogato in versione new country dei Take That), Storm Seymour, Brad Hawkins ed il nativo della Louisiana Trini Triggs, l’unico a spiccare veramente per le buone doti vocali ed un discreto assortimento di pezzi godibili come il singolo di debutto Straight Tequila.
Il livello si alza quando sale sul palco Victoria Shaw, cantautrice molto apprezzata dai suoi colleghi che interpreta The River, hit scritta insieme a Garth Brooks e da lui resa famosa, e la nuovissima Waikiki Cowboy, canzone travolgente che la Shaw esegue con grande vivacità, malgrado l’avanzata gravidanza.
Dopo le performances di Danni Leigh, Jeff Carson e John Berry, arriva il momento più atteso da tutti, l’esibizione di Marty Stuart: musicista e cantante sicuramente di levatura superiore ed in più vero e proprio animale da palcoscenico. Sa di avere lo scatenato pubblico in mano e non si risparmia proponendo i suoi pezzi storici come Hillybilly Rock, Now That’s Country e The Whiskey Ain’t Working per poi passare alle anteprime di Sometimes The Pleasure’s Worth The Pain e The Pilgrim.
Le sorprese non sono ancora finite perché per il gran finale Marty invita con lui sul palco il grande Earl Scruggs per un paio di pezzi mandolino, banjo, basso tra le ovazioni del pubblico. Un grande spettacolo, e pensare che siamo solo all’inizio!
14 Giugno
Infatti, l’apertura ufficiale del Fan Fair avviene il Lunedì mattina con l’esecuzione dell’inno nazionale e con le parole di benvenuto di sindaco ed organizzatori.
Ci metto un po’ per entrare in sintonia con il funzionamento della manifestazione, ma tutto sommato il meccanismo è piuttosto semplice. Il Tennessee State Fairground è diviso in due aree adiacenti. Nella prima è allestito il grande palco principale con le tribune per il pubblico. Lo stage è a sua volta diviso in due dal megaschermo al di sopra del quale campeggia la scritta colorata ‘FAN FAIR’. Sui due stages, si susseguono i live show organizzati dalle varie case discografiche, con un continuo alternarsi dì volti nuovi e di star. Davanti al palco scorre la photo line, una lunga ma veloce fila per chiunque voglia scattare tre o quattro foto più da vicino.
Ogni artista ha la sua band, mentre uno si esibisce sulla parte destra del palco, a sinistra i musicisti ed i tecnici del cantante che seguirà preparano gli strumenti e perfezionano il sound-check.
In media ogni spettacolo dura circa tre ore divise tra i diversi artisti della stessa label, in un giorno si svolgono tre spettacoli: uno al mattino, uno al pomeriggio e quello serale.
Nella seconda area della fiera, sono aperte dalle 9 del mattino alle 6 dì sera le Exhibits Halls, veri e propri capannoni all’interno dei quali sono allineati gli oltre 200 stands allestiti dai vari Fan Club, case discografiche, radio, TV e riviste specializzate.
Qui, si alternano le presenze degli artisti che incontrano i fans per sessioni di autografi e foto ricordo per le quali l’efficientissimo staff del Fan Fair ordina file diverse da artista ad artista. Il segreto, di fronte a tutto questo ben di Dio, sta allora nell’organizzarsi: finito un concerto, via verso gli stands degli artisti poi di nuovo di corsa al main stage per un altro show e così via dalle nove del mattino fino alle undici di sera; naturalmente non si può certo perdere tempo per fermarsi a mangiare con tranquillità e così anche io come tutti ho fatto largo uso dei tanti fast food disseminati per tutta l’area testando ogni genere di schifezza di cui la cucina veloce americana è capace.
La giornata inaugurale, parte sotto una insolita pioggia di giugno che bagna l’inizio del primo concerto organizzato dalla Asylum Records ed aperto dalla calda voce di Bryan White che testa subito il polso del pubblico con So Much For Pretending hit di grande successo qualche anno fa.
Tocca poi all’esordiente Chalee Tennison che precede l’attesissimo concerto dell’intramontabile George Jones, talmente grande che alle prime note dei suoi classici, smette di piovere e spunta il sole tra il delirio dei 10.000 assiepati sulle tribune, e se per Bryan White erano state soprattutto le giovanissime a farsi sentire, ora con Jones sul palco tocca ai più anziani che non si fanno certo pregare, anzi cominciano a cantare e gridare mentre qualcuno si cimenta in improbabili passi di danza.
Sempre nella mattinata, si svolge lo spettacolo della Dreamworks Nashville Records nel quale spiccano le bellissime voci di Linda Davis e Toby Keith: la prima apre con I’m Yours e chiude con una Some Things Are Meant To Be cantata insieme al pubblico, il secondo passa in rassegna i pezzi migliori del suo repertorio tra cui Dream Walking, We Were In Love fino alla più recente Getcha Some.
Dalla 1 fino alle 3 del pomeriggio c’è una pausa prima dei concerti pomeridiani; è una buona occasione per andare a caccia dei primi autografi. Riesco allora ad avvicinare, tra gli altri, Paul Brandt, la giovane colored Beverly Ellis, il duo Montgomery Gentry e la bella Danni Leigh.
Tutti sono più che disponibili, mi regalano una loro foto che mi firmano, qualcuno distribuisce anche CD e cassette promozionali, scambiamo qualche parola e scatto le preziose foto ricordo. Ma soprattutto durante le lunghe file per accedere agli stands capita di fare amicizia con chi ti è vicino, scoprendo tra l’altro come i fans che visitano Nashville durante il Fan Fair arrivino non solo da ogni angolo degli States ma anche dai più lontani Brasile, Giappone, Francia, Germania ecc…
Un pubblico eterogeneo quindi non solo per l’età ma anche per la provenienza. Il tempo però stringe perché alle 3:30 ha inizio l’imperdibile show della Rounder.
Arrivo sulle tribune del main stage giusto in tempo per vedere salire sul palco Beth ed April Stevens, ovvero, le Stevens Sisters, banjoista una e mandolinista l’altra nonché ottime vocalists.
La punta dì diamante del concerto Rounder arriva però direttamente da San Antonio, è Rosie Flores, voce cristallina, grande chitarrista, canzoni piene di ernergia, ce n’è abbastanza per scatenare il pubblico presente.
Il pomeriggio si chiude con la Step One Records che ci offre la performance del veterano Gene Watson.
Il programma della serata si divide in due parti, c’è infatti la possibilità di assistere alla serata Bluegrass, oppure alla più mondana cerimonia di assegnazione dei TNN Musìc City News Awards alla Nashville Arena. Io decido per il Bluegrass Show che prevede un cast stellare per due ore e mezzo di grande musica; si alternano infatti sul palco: Dale Ann Bradley, la Del McCoury Band, James King, gli Osborne Brothers, Tom T. Hall che introduce Chris Jones e la giovane Nancy Moore, Ralph Stanley e Tim Graves, con un finale che vede tutti i protagonisti riuniti sullo stesso palco, mentre i primi fuochi d’artificio segnano il termine della prima giornata di Fan Fair.
15 Giugno
II mio secondo giorno di fiera si apre allo stand della rivista Country Music dove è in programma una sessione di autografi con la presenza di Lee Roy Parnell e soprattutto di Kelly ‘The Voice Of Austin’ Willis, un vero angelo!
Ma passiamo al racconto della giornata musicale che si apre alla grandissima con lo spettacolo della Curb Records del quale ricorderò a lungo l’incredibile voce di Le Ann Rimes, un vero fenomeno, acclamatissima dal pubblico, si esibisce in pezzi del suo repertorio, One Way Ticket e Commitment, prima di incantarci con una interpretazione di Crazy assolutamente da pelle d’oca.
Ancora più osannata è la salita sul palco della travolgente Jo Dee Messina che ci trascina tutti al ritmo di quelle canzoni che l’hanno portata al grande e meritato successo: si comincia con Heads Carolina Tails Californla e Lesson In Leavn’ per continuare con le più recenti I’m Alright, Bye Bye e l’ultimo singolo Stand Beside Me e si conclude con la dolce melodìa della toccante Even God Must Get The Blues ed una inedita cover dì Late In The Evening di Paul Simon che ci rivela una Jo Dee anche inedita percussionista.
Il suo concerto resterà uno dei migliori dell’intero festival, essere riuscito ad incontrarla personalmente, una delle emozioni più intense del mio Fan Fair.
Alla MCA è affidato il compito di allestire lo show serale. Comincia Gary Allan, seguito da una applauditissima Lee Ann Womack che, con il suo inconfondibile timbro di voce, ci canta le migliori hits dei suoi due albums: le coinvolgenti Buckaroo e You’ve Got To Talk To Me, le più recenti I’II Think Of A Reason Later e Some Things I Know per concludere con un pezzo che amo in modo particolare qual’è A Little Past Little Rock.
Neanche il tempo di spellarsi le mani per gli applausi che ci si entusiasma per l’entrata in scena di Marty Stuart, una sicurezza che non si smentisce, una garanzia!
Una discreta accoglienza viene riservata anche alla giovane Chely Wright che fa da apripista alla star della serata.
Infatti, a chiudere il secondo giorno di concerti, è chiamata quella Trisha Yearwood che i fan di Garth Brooks come me non possono non avere nel cuore. Se qualcuno può storcere il naso per certe sue melodie un pò troppo pop, niente si può eccepire circa le capacità vocali che ne fanno una delle migliori voci che Nashville possa oggi offrire. Per me che amo cantante e canzoni, il tempo è sembrato volare al ritmo delle ‘storiche’ She’s In Love With The Boy, Perfect Love, Wrong Side Of Memphis e delle più recenti How Do I Live, There Goes My Baby e I’ll Stili Love You More.
16 Giugno
La Capitol Nashville apre la serie di concerti del Mercoledì con la possente voce del nativo della Louisiana Trace Adkins per la gioia del pubblico che non smette un attimo di applauidire ad ogni pezzo in scaletta, No Thinkin’ Thing, piuttosto che There’s A Girl In Texas o gli splendidi lenti Every Light In The House e The Rest Of Mine. La classica Big Time chiude la performance di Adkins che lascia il palco a Susan Ashton, un nome che ai più dirà poco ma che i maniaci di Garth Brooks conoscono molto bene visto che non più di cinque anni fa Susan accompagnava The Big G nella sua tournee mondiale come opening act. Ora la brava e bionda texana di Houston, dopo aver venduto più di un milione di dischi con cinque album di gospel, ha finalmente pubblicato il suo primo country album intitolato Closer.
II concerto Capitol continua con la chitarra di Steve Wariner che inizia con la toccante Holes In The Floor Of Haven per scatenare la sua tecnica di chitarrista in pezzi come Burnin’ The Roadhouse Down o Longneck Bottle scritta per l’amico Garth Brooks.
Il gran finale è nelle mani della bellissima e bravissima Deana Carter che, con i suoi due albums, ha contribuito a fare la fortuna della Capitol e la riprova sta nel calore con cui gli oltre 15.000 degli spalti intonano una per una ogni sua canzone, dagli ultimi successi come Angels Working Overtime e You Still Shake Me ai più ‘datati’ We Danced Anyway e la splendida e pluridecorata Strawberry Wine.
Bisognerebbe farsi in quattro per poter incontrare tutti gli artisti che si presentano agli stands per gli autografi ma tutto sommato me la cavo bene: Gary Allan, Susan Ashton, George Ducas ma soprattutto la splendida Mindy McCready, una delle mie cantanti preferite dopo aver abbracciato la quale ogni cosa ha ormai poco senso.
A parte gli scherzi, il programma della serata vede protagonista la RCA ed il suo gruppo di artisti. Iniziano quattro giovani: Jennifer Day, il duo dei Warren Brothers, Jason Seller ed Andy Griggs, i suoni sono quelli classici del new country anni novanta ma nessuno sembra spiccare per doti particolari.
L’atmosfera si scalda con il già affermato Kenny Chesney, osannato da signore e teen-agers, apre con la ritmatissima She’s Got It All, per proseguire con la lenta Me And You e chiudere con alcuni pezzi dell’ultimo album tra cui il primo singolo How Forever Feels.
Ancora meglio fa Sara Evans, portata ad alti livelli da due soli albums non perde niente della sua voce, così piena e pulita anche dal vivo e nonostante la gravidanza che la renderà madre in agosto. Le canzoni in scaletta sono le migliori del suo repertorio, dalla lenta Three Chords And The Truth alla trascinante Fool I’m A Woman un gioiellino inconfondibilmente firmato Matraca Berg.
Ma non è ancora finita! Sì perché questo è il Fan Fair e la conclusione di giornata deve essere eccezionale ed allora…pandemonio per la presentazione di Clint Black.
Se dovessi trovare una parola per commentare la sua performance, userei ‘classe’ perché Clint ne ha da vendere; a dieci anni dal suo primo number 1 single (Better Man, 10 Giugno 1989 ) resta uno dei migliori artisti della new country music. L’inizio del concerto è elettrico con Good Run Of Bad Luck e Nothin’ But The Taillights tanto per rendere l’ambiente rovente.
Viene poi il momento di fare un tuffo nel passato imbracciando la chitarra acustica, si susseguono storiche ballate come Killin’ Time e Walkin’ Away e soprattutto Better Man, a mio parere una delle canzoni più belle nella storia della musica country, un capolavoro fatto di semplicità e gusto negli arrangiamenti e di un testo quanto mai efficace, il tutto interpretato dalla voce di Black dal vivo, il risultato è davvero da brividi!
Dopo una versione chitarra e voce di Something That We Do da ricordare, si ritorna ai suoni elettrici per il gran finale con Tuckered Out e Like The Rain, prima dei consueti fuochi artificiali.
17 Giugno
Ultimo giorno di fiera al Tennessee State Fairground ed ancora tanta buona musica dal vivo. La Arista Nashville fa le cose in grande presentando un line-up di lusso, a cominciare dalla giovane australiana Sherrie Austin, portata al successo dall’album d’esordio Words dal quale esegue Lucky In Love e One Solitary Tear, e prossima a pubblicare il suo secondo disco che ci anticipa con il primo singolo Never Been Kissed.
L’entusiasmo cresce con Brooks & Dunn, il duo per eccellenza della country music, due che dal vivo si scatenano al ritmo dei loro successi quali, South Of Santa Fé, My Maria, Hard Workin’ Man, How Long Gone e finale con tanto di coriandoli lanciati verso il cielo di Nashville.
Sotto a chi tocca … è la volta di Lee Roy Parnell, un genio della chitarra slide, si cimenta in assoli da antologia, inseriti tra le altre nella sua hit Heart Desire.
Lo show continua con due gruppi, i Diamond Rio ed i BlackHawk, ma è il finale a riservare le emozioni più forti. Poche pennate di chitarra e i 20.000 del Fan Fair esplodono per accogliere Alan Jackson che inizia con Gone Country, quasi un inno per il popolo del country. Il più intenso applauso dell’intero festival, misto ai gridolini estatici del pubblico femminile che accompagnano ogni sua mossa, un campionario infinito di cartelli con gli slogan più disparati del tipo “Grazie a Dio sono un fan di Alan Jackson”, insomma un vero e proprio delirio per il biondo georgiano.
La scaletta è un memorabile percorso attraverso i dieci anni che lo hanno reso una star, si susseguono a ritmo frenetico successi come Chattahoochee. Here In The Real World, poi Don’t Rock The Jukebox e Summertime Blues, fino a Little Bitty e Who’s Cheatin’ Who, per concludere con The Little Man, splendido ultimo singolo dell’album High Mileage.
La sera si avvicina e con essa l’ultimo show allestito dalla Sony Music. Tra i diversi artisti spiccano le Kinleys, le due gemelle (Heather e Jennifer) si esibiscono in una serie di canzoni tratte dal loro album d’esordio tra cui Please.
All’altezza anche l’esibizione di Joe Diffie, più in forma che mai dopo la fresca uscita del nuovo CD A Night To Remember, da il meglio di sé sul palco con le sempre acclamate Third Rock From The Sun e Pick Up Man.
Decisamente piacevole anche Ty Herndon e le sue romantiche ballate Living In A Moment o le più recenti It Must Be Love e Hands Of A Working Man.
La performance migliore arriva però da Patty Loveless che coglie nel segno facendosi accompagnare da una band acustica così da far risaltare ancora di più l’inconfondibile voce di quella che gli americani chiamano ‘divina’ Patty.
La serata viene chiusa da Collin Raye il quale possiede senz’altro capacità vocali, tuttavia spesso il cantante texano eccede in vocalizzi un po’ fuori tema. Così se la calda voce di Raye è messa al servizio di pezzi melodici come Start Over Geòrgia, ecco che il risultato è strepitoso ma se come in occasione del finale esagera con ritmi e sonorità quasi hard rock per sfruttare fino al limite le corde vocali, si rischia di rovinare tutto.
Comunque, chiusa la quattro giorni di fiera al Tennessee State Fairground. la settimana prosegue con altre attrazioni.
Il Venerdì è dedicato alla visita della Country Music Hall Of Fame, della Music Row, l’area in cui hanno sede i palazzi delle case discografìche e del leggendario Studio B dove grazie all’organizzazione di Joe Fish riusciamo ad assistere ad una sessione di registrazione di John McEuen.
Il Sabato prevede invece una full immersion nel mondo della Grand Ole Opry, l’ormai mitico show trasmesso dalla WSM che compie i suoi 74 anni di vita. Prima una visita al museo che ne racchiude la storia, poi una passeggiata per i giardini circostanti ed infine lo spettacolo serale delle 9:30 alla Grand Ole Opry House. Essere seduto lì di fronte al palco su cui si è fatta la storia della musica country è qualcosa di magico, vedere alternarsi artisti del calibro di Vince Gill, Patty Loveless, Charlie Pride, Holly Dunn, Porter Wagoner, Paul Brandt e Del Reeves, un piacere da gustarsi fino all’ultima nota.
La settimana in cui Nashville ed il mondo della musica country celebrano se stesse si chiude, si torna a casa con un bagaglio carico non solo di dischi e gadgets ma soprattutto di ricordi ed emozioni che rimarranno per sempre.
Il Fan Fair, come dice il nome, è una manifestazione fatta per i fan in cui le distanze tra noi appassionati ed artisti sono colmate da una organizzazione perfetta e soprattutto dalla disponibilità di cantanti e musicisti, una vera e propria devozione verso il proprio pubblico che sinceramente non mi aspettavo così profonda e sincera.
Questo è stato il mio Fan Fair: colori, facce, suoni, luoghi, sensazioni e, soprattutto, tanta ottima musica ed una grandissima voglia di tornarci…chissà magari già l’anno prossimo!?
Roberto Galbiati, fonte Country Store n. 49, 1999