La loro casa si trova a pochi isolati dal celebre Music Row, cuore pulsante del business della country music, là dove si costruiscono i più grandi successi discografici d’America. Eppure, le loro canzoni ma soprattutto la loro attitudine artistica è distante anni luce da quella concezione sin troppo industriale e, a volte, persino preconfezionata della musica di Nashville. Per loro, i coniugi Miller, fare musica significa scrivere canzoni oneste che parlano di esperienze vissute, che trasmettono sentimenti sinceri ed emozioni vere. E che si basano su una produzione semplice (quasi casalinga) ma di gran gusto che inevitabilmente va diritta al cuore degli appassionati.
“Entrambi sono autori eccellenti e cantanti incredibili”, dice Emmylou Harris, la loro prima sostenitrice, “quando si esibiscono insieme hanno un suono davvero fantastico. E poi, Buddy è uno dei più bravi chitarristi che abbia mai sentito.” Non a caso da un paio d’anni, suona fisso nella sua band.
Prima, durante e dopo, la chitarra di Steven Paul ‘Buddy’ Miller (nato a Fairborn, Ohio, nel 1952) è stata alla corte di Lucinda Williams, Alison Moorer, Shawn Colvin, Patty Griffin, Trisha Yearwood, Victoria Williams, Steve Earle, Jimmie Dale Gilmore, Midnight Oil. E alcune sue canzoni sono finite nei dischi di Brooks And Dunn, Dixie Chicks, Hank Williams III, Lee Ann Womack.
È una bella storia quella di Buddy e Julie Miller, una coppia nell’arte e nella vita, che dopo vent’anni di matrimonio pubblicano in questi giorni il loro primo album insieme. Si sono conosciuti a Austin, Texas nella seconda metà degli anni ’70: Julie allora cantava in un gruppo (Rick Stein And The Alleycats) che cercava un chitarrista. Buddy si presentò e dopo una rapida audizione si conquistò il posto vacante. Tra i due scattò subito un’intesa artistica che si trasformò presto anche in solido legame sentimentale.
Dopo aver condiviso un’ulteriore esperienza con una band (Partners In Crime), Buddy e Julie si sono sposati nel 1981. Da una decina d’anni vivono a Nashville e nella loro antica casa vittoriana dell’East Side c’è posto anche per il Dogtown, un piccolo studio all’interno del quale registrano i loro album ma anche quelli di amici come Jimmie Dale Gilmore.
“C’è un’altra Nashville a Nashville”, dice sorridendo per la ripetizione la dolce Julie, “è una piccola comunità artistica di cui facciamo parte noi, Guy Clark, Lucinda Williams, Jim Lauderdale, Kerian Kane e molti altri cantautori che non si identificano con gli stereotipi della Music City Usa.” Di tanto in tanto, Emmylou Harris passa a fare visita. È lei il loro comune punto di riferimento artistico se non addirittura un vero e proprio idolo. “Qualche anno fa, quando ho saputo che Emmy era in tournée con Daniel Lanois… beh, ho capito che la cosa non poteva durare”, racconta senza peli sulla lingua Buddy. “Allora, ho cominciato a telefonare al manager prenotandomi in caso avessero dovuto trovare un nuovo chitarrista.” E così puntualmente è avvenuto. Buddy Miller suona oggi al fianco di Emmylou e spesso anche Julie si unisce a loro: non è raro vedere i coniugi Miller aprire i concerti della Harris. Che ha anche cantato nei dischi di Julie oltre ad avere inciso una superba cover di All My Tears (sia in Wrecking Ball che nel live Spyboy).
La musica di Buddy & Julie (ma soprattutto quella di Julie) risente inevitabilmente delle influenze della prima Emmylou, quella che duettava con Gram Parsons. Ascoltare per credere: nel nuovo album (a proposito, s’intitola semplicemente Buddy & Julie Miller ed è pubblicato dalla californiana Hightone Records) il pezzo emblematico è Rachel. Musicalmente, contiene tutti gli elementi classici della proposta artistica dei Miller: ballata country rock con strumentazione semi-acustica ricca degli stilemi cari al genere alternative country o, come va di moda dire da qualche anno, Americana. Le due voci, quella sottile di Julie (a metà strada tra il timbro suadente di Emmylou e quello ‘squeaky’ di Victoria Williams) e quella piena di Buddy si fondono alla perfezione.
Le parole della canzone sono invece ispirate a una storia vera, quella di Rachel Joy Scott, una ragazzina di 17 anni il cui desiderio principale era diventare amica delle persone senza amici cercando di donare un po’ d’amore a tutti quelli che incontrava. La mattina del 20 aprile 1999 Rachel era in classe ma appariva distratta, preoccupata di qualcosa che aveva scritto nel suo diario. Poi, poco dopo le 11, mentre era seduta in giardino a dividere la colazione con un amico, Rachel è stata la prima delle 13 vittime innocenti di una pazza, immotivata sparatoria all’interno della Columbine High School di Littleton, Colorado. Più tardi, nel suo zainetto forato da un proiettile, è stato trovato il suo diario: nell’ultima pagina c’era un disegno dei suoi occhi da cui scendevano 13 lacrime che cadevano sopra una rosa. La stessa rosa era stata disegnata sulle pagine di un altro diario; stavolta, però, essa cresceva sotto un albero sul cui tronco c’era scritto: “Non c’è cosa più grande per un essere umano che quella di dare la vita per i suoi amici”.
Il pezzo, pieno di sincera compassione, svela la profonda religiosità dei due Miller (entrambi sono cattolici praticanti e Julie negli anni ’80 ha anche inciso un album di ‘christian music’ di un certo successo) ma anche il clima intimo, delicato e spesso malinconico delle loro canzoni. Perché, come ammette la stessa Julie, “i miei fan non sono numerossisimi (i dischi della Miller vendono mediamente tra le 40 e le 50mila copie, nda) ma parecchio legati a me. Spesso è gente segnata da cicatrici profonde che mi scrive lettere commoventi in cui racconta la propria storia. Ma che mi gratifica sempre dicendomi quanto la mia musica li aiuti a vivere meglio”.
Non è comunque obbligatorio avere ‘cicatrici profonde’ per apprezzare la musica dei Miller che, per altro, aiuta anche noi appassionati a vivere meglio. Basta infatti ascoltare la magnifica Keep Your Distance (brano di Richard Thompson) che apre in maniera piacevolissima l’album così come l’altra cover (Wallflower, un valzerino che Dylan ha inciso con Doug Sahm) lo arricchisce di atmosfere delicate e romantiche. Anche se, oltre a Rachel, il pezzo autografo più bello e sentito dell’album è la ballata acustica Forever Has Come To An End dove alla coppia si unisce la voce deliziosa di Emmylou Harris. Qui, infatti, il neo folk di Julie risplende nella sua poetica essenzialità emanando quel genuino profumo homemade che sembra proprio esser tornato di moda nella musica americana di inizio millennio. È Julie che, in questo caso, ha scritto i pezzi anche perché “Buddy era sempre in giro con Emmylou e io stavo in studio da sola: così ne ho approfittato”.
Ma l’album comunica inequivocabilmente la loro incredibile fusione acustica (“cosa vuoi”, dicono, “cantiamo insieme da 25 anni… “) così come la loro perfetta sintonia artistica. Alla faccia di quelli che dicono che è meglio non sposarsi con un collega di lavoro.
Ezio Guaitamacchi, fonte JAM n. 77, 2001