Una volta, siamo negli anni ’80, c’erano i Long Ryders, gruppo che ebbe buon successo negli Stati Uniti ed in Europa e che suonava una miscela di rock primitivo e di country, il tutto sporcato da influenze punk. Una volta sciolto questo gruppo alla fine della stessa decade, il mandolinista Sid Griffin forma i Coal Porters che si trasferiscono presto in Inghilterra, dove proseguono, anche se in modo meno aggressivo, nella stessa direzione musicale. A cavallo del nuovo millennio la conversione acustica ed a documentarla questo How Dark This Earth Will Shine, stampato appunto a Londra e loro primo album da studio.
Sid, che tra l’altro è nato a Louisville in Kentucky, definisce questa sua band bluegrass, ma di bluegrass non ha moltissimo; senza dubbio la strumentazione (i classici cinque strumenti: chitarra, mandolino, banjo, basso acustico e a volte l’incursione del fiddle), poi alcuni giri di accordi e ci si può fermare qui. In trasparenza, e non solo in trasparenza, si distingue chiaramente l’impostazione molto country della band, nelle voci (impasti, intonazioni) e nel modo di suonare e di porgere la loro musica. Del resto lui ha suonato country, e country sporco, fino il giorno prima e si sente che il bluegrass non è il loro lavoro.
Sid Griffin è un buon songwriter e lo dimostra con una manciata di pezzi, così come il banjoista Pat McGarvey che nonostante il suo strumento ha vocazione a scrivere brani tranquilli. Poi altre canzoni portano tributo a Bob Dylan e Guy Clark mentre a dare un passo un po’ più bluegrass, nel senso di up-tempo, contribuisce un tradizionale non troppo scontato.
Ed alla fine, nonostante le valutazioni un po’ controverse, il dischetto rimane nello stereo: il cocktail personale che Sid Griffin e soci ci propongono, anche se non tutto, vale l’ascolto.
Prima SID 017 (Country Acustico, 2004)
Claudio Pella, fonte TLJ, 2005
Ascolta l’album ora