Elmore James

A quasi trent’anni dalla sua morte, Elmore James continua a far parlare di sé: dai tempi dell’uscita del suo indimenticabile Dust My Broom, nel 1952, ha rappresentato uno stimolo inesauribile per tutti coloro che si sono cimentati con il Blues e non solo.

Se pensiamo il rock come una forma musicale che si è sviluppata in limiti estetici molto poveri, ma precisi e ricorrenti, possiamo quasi individuare del rock quei modelli formali che provengono da espressioni ed esperienze musicali come il blues, il rhythm & blues, il rock’n’roll.
Negli anni in cui il rock’n’roll stava imponendosi sul mercato e nei gusti degli americani, ma anche successivamente, fino ai primi anni sessanta e quindi all’avvento dei Beatles e dei Rolling Stones, una caratteristica costante, strutturale e nello stesso tempo formale dei brani rock’n’roll, riguardava la loro durata che in media si avvicinava ai due minuti. È evidente che in uno spazio così limitato i ‘segni’ necessari per l’individuazione formale e per la decodifica estetica, dovevano essere estremamente precisi, netti, inconfondibili; ed ecco che analizzando oggi il linguaggio di chitarristi come Scotty Moore, Chuck Berry o Bo Diddley, ci si potrà rendere conto di quanto la musica rock degli anni sessanta, ma anche quella successiva, sia rimasta legata ad invenzioni dovute agli artefici del primo rock’n’roll.

La storia dei riff e dei licks confluiti in nuova forma nel rock, ci obbliga ogni volta ad un viaggio a ritroso nel tempo, un viaggio che inevitabilmente porta al blues, e non solo a quello elettrico di Chicago, ma anche al blues, al country blues del Delta e quindi obbligatoriamente a Robert Johnson, l’uomo che più di ogni altro ha rivoluzionato il modo di rapportarsi alla chitarra.
Johnson muore nel 1938 e lascia incisi solo 41 brani, ma il suo insegnamento non sarà dimenticato ed è proprio su alcune intuizioni di Johnson che Umore James svilupperà il suo stile chitarristico legato all’uso del bottleneck, e definirà quell’elemento formale che ancora oggi lo rende riconoscibile. Parlare di Elmore James significa, in termini storici, parlare di un lick, di un suono ottenuto da una chitarra acustica elettrificata e dell’uso ritmico della tecnica slide. In un periodo di tempo valutabile in venti anni, Elmore James non si allontanerà mai dalla versione di Dust My Broom, suo primo, unico ed irripetibile successo. Il resto dei suoi brani sembrerà nascere per donazione proprio da quell’arrangiamento elettrico di uno dei classici di Robert Johnson I Believe I’ll Dust My Broom. Potrà sembrare limitativo, eppure quello che Elmore James ha dato alla musica, al blues e di conseguenza al rock è tutto nell’introduzione di Dust My Broom.

Soltanto nell’ottica dei ‘segni’ confluiti o rielaborati all’interno dell’esperienza rock, il lick di James e la sua stessa figura di musicista acquista un enorme valore e certo non può essere considerato casuale che nei primi anni sessanta molti chitarristi si rivolgeranno a Elmore James considerandolo come uno degli innovatori, pur consapevoli dei limiti tecnici e stilistici della sua breve, e per certi aspetti caotica, presenza nel mondo musicale degli anni quaranta e cinquanta.
Sicuramente non può essere fatta risalire a lui l’applicazione della tecnica slide sulla chitarra elettrica o elettrificata; tanto per fare un nome c’era Muddy Waters, ma Elmore James è stato il primo (ma poi in musica esiste un iniziatore?) a sfruttare ritmicamente l’uso dello slide; è raro trovare nelle sue incisioni un break solista, mentre una costante rimane quella ruvida, sporca ed efficace chitarra ritmica che incredibilmente, malgrado la sua povertà, offre una perfetta identità al brano ed al suo esecutore.

La storia del blues è in parte costellata di ‘si dice’, ed uno dei tanti riguarda l’incontro tra James e Johnson da più fonti riportato ma da altre negato. Siamo nel 1937, Elmore ha diciannove anni, con scarsissimo entusiasmo ha lavorato in una piantagione assieme alla madre, al padre e ad un fratello adottivo, Robert Earl Holsten, che per un periodo diverrà il chitarrista ‘ritmico’ di Elmore. Siamo chiaramente nel Delta, in un luogo chiamato Belzoni, ed è da lì che Elmore avverte che nella sua vita la musica avrà un’impronta rilevante.
Malgrado sia da poco sposato con Josephine Harris e le sue risorse economiche siano scarse, compra una National e comincia a suonare con Robert Johnson e Rice Miller (Sonny Boy Williamson, conosciuto anche come Little Boy Blue).
Se è vero che Elmore ha conosciuto Johnson non sarà forse mai accertato, ma è comunque probabile, visto che Williamson e Johnson si conoscevano e suonavano assieme e che come vedremo Williamson frequentava Elmore James già nel 1937.

Comunque la tecnica slide di Johnson è sicuramente una sorta di fonte d’ispirazione per James ed il suo futuro musicale lo testimonierà ampiamente. Dopo la morte di Johnson l’amicizia tra Williamson e James sembra consolidarsi, Williamson si procura da vivere suonando, mentre James è costretto di nuovo a lavorare in una piantagione, comunque ogni volta che Sonny Boy passa per Belzoni i due si incontrano e suonano assieme.
A Belzoni James ha messo su una band composta dal fratello Robert, da Precious White al sax, Tutney Moore alla tromba e ‘Frock’ O’ Dell alla batteria, ma Elmore preferisce suonare da solo ed a volte rifiuta anche gli inviti di Williamson.
A venti anni Elmore James ha ormai un carattere definito e sicuramente un carattere difficile. Dopo aver passato due anni nel sud del Pacifico, durante la seconda guerra mondiale, James torna a Belzoni e riprende a lavorare nelle piantagioni; sarà Sonny Boy ancora una volta a stimolarlo ed incoraggiarlo, ma in James sembra ormai mancare l’entusiasmo, ed anche se, spinto da Williamson, partecipa a vari programmi radiofonici, la sua ‘continuità’ come musicista ancora non si manifesta.

Per tutta la seconda metà degli anni quaranta Sonny Boy Williamson è invece impegnato in programmi radiofonici che riscuotono un buon successo ed è proprio grazie ad una notorietà sempre crescente che viene contattato dalla Diamond Record Company per l’incisione di un disco. Niente di più facile che Elmore venga invitato alle session da Sonny Boy ed è così che tra i due nasce una sorta di tacita collaborazione..
Il 5 gennaio del 1951, Willie Love e Joe Willie Wilkins si ritrovano di nuovo in studio assieme a Sonny Boy per incidere Eyesight To The Blind, l’etichetta è la Trumpet. Durante le registrazioni, mentre i musicisti provano vari pezzi, Elmore, con Sonny Boy e `Frock’ O’ Dell suona Dust My Broom che a sua insaputa viene registrata. James non avrebbe probabilmente mai accettato di registrare come solista: più volte aveva rifiutato gli inviti e le proposte che gli venivano da parte di Sonny Boy Williamson.

Il successo arrivò del tutto inaspettatamente: il 5 aprile del 1952 Elmore James suo malgrado si ritrovò tra i top ten con un brano di country blues che altro non era se non una cover di Robert Johnson, un brano letteralmente ‘rubatogli’ durante le session a cui partecipava per la realizzazione di un disco dell’amico Sonny Boy; un brano infine inciso per una etichetta, la Trumpet, che non riscuoterà più i favori di James.
Ma il carattere (caratteraccio?) di James mostrerà il suo lato più intransigente subito dopo il successo ottenuto da Dust My Broom: sull’onda dei riconoscimenti e della popolarità James ricevette offerte vantaggiose da parte di altre etichette come la Modern e la Chess, ma lui candidamente rifiutò ogni tentativo dei discografici di convincerlo a dare un seguito a Dust My Broom. Fu Joe Bihari a suggerirgli di trasferirsi a Chicago ed incidere per la propria etichetta, la Meteor, ed Elmore acconsentì, sembra per l’esaurimento delle royalties.
Nacque così una delle prime canzoni ‘donate’ di James, vale a dire I Believe, che potrebbe addirittura essere definita come una semplice versione di Dust My Broom.

Da qui in poi James alternerà session in studio ad un intenso lavoro nei club. Inciderà per molte etichette come la Flair, la Chess e la sottoetichetta Chess denominata Checker; sarà poi la volta della Fire e della Enjoy e questi repentini cambi di etichetta ed il fatto che dallo stesso brano spesso James incideva nuove versioni provoca un caos totale nella sua discografia che è veramente difficile seguire.
All’incisione nell’ottobre del 1952 di I Believe seguiranno nel 1953 altre session a Chicago da cui uscirà senz’altro un altro classico come My Best Friend; nell’aprile dello stesso anno sarà la volta di Dark And Dready. Le session del 1955 ai Modern’s Culver City Studios vedono Elmore James accompagnato dalla Maxwell Davis Band, James Parr alla tromba, Maxwell Davis al sax tenore, Jewel Grant al sax baritono e Willard McDaniel al piano, Chuck Hamilton al basso e Jesse Sailes alla hatteria.

I brani incisi con questa formazione appariranno su etichetta Flair; sono da ricordare tra gli altri Sunnyland, The Way You Used To Treat Me (Mean And Evil), la rivisitazione di un altro classico di Robert Johnson, Standing At The Crossroads, Late Hours At Midnight, No Love In My Heart e Happy Home; comunque tutti questi brani non rispecchiano appieno la musica di Elmore James che era difficilmente rapportabile ad una band di rhythm & blues come quella di Maxwell Davis, in No Love In My Heart c’era addirittura la volontà di ricalcare uno stile alla B.B. King che due anni prima aveva avuto un grande successo con Woke Up This Morning, ma quello stile era lontano da James, completamente ‘scollato’ dalla sua energia ritmica e quindi assolutamente non funzionale.

Stesso anno a New Orleans, session di carattere completamente opposto: Elmore James accompagnato in questo caso da musicisti di cui non ci sono pervenute notizie, incide Dust My Blues, ennesima rivisitazione del suo più celebre Dust My Broom, I Was A Full, Blues Before Sunrise e la grande Good By Baby, caratterizzata da un notevole lavoro alla slide. A differenza delle session precedenti queste sono caratterizzate da arrangiamenti che in qualche modo avevano a che fare con il rock nascente.
Attenzione, non si vuol dire che James abbia mai fatto del rock’n’roll, ma il basso e la batteria ed il chitarrismo viscerale di Elmore portavano il suo blues verso un incontro con il rock, e non è certo un caso che ascoltando alcune prime cose degli Stones, quando Brian Jones era ancora direttamente coinvolto nel discorso musicale e chitarristico del gruppo, si avverte chiaramente l’insegnamento di Elmore James.
Sappiamo d’altronde che Jones era un ammiratore di Elmore James, che già nei primi anni sessanta quando era in Scandinavia e si procurava da vivere suonando, futuro chitarrista e ‘ideatore’ dei Rolling Stones suonava con il bottleneck, si faceva chiamare Elmo Jones e aveva nel suo repertorio molto materiale di Elmore James.

Purtroppo a caratterizzare tutta l’attività del bluesman di colore sarà l’approssimazione con cui si avvicinerà alla materia musicale e soprattutto ai discografici che già allora erano molto sensibili a ciò che stava accadendo a livello di classifiche, gradimento e vendite, ed esigevano dai loro musicisti quegli spostamenti di direzione che gli permettessero di ottenere proventi sempre maggiori.
Che James sia stato in parte manipolato lo dimostrano le session di carattere rhythm & blues ai Modern californiani. Ciò che caratterizzava la musica di James comunque non poteva essere stravolto più di tanto, ed infatti nei pochi anni che gli rimarranno da vivere James sarà costantemente teso ad una sorta di celebrazione della sua forma originaria di chitarrista slide; nel 1957 incide per la Chief Records ed il materiale in alcuni episodi è di grande qualità: Coming Home è ancora una esercitazione su Dust My Broom; questa volta con James troviamo J. T. Brown al sax tenore, Johnnie Jones al piano, Odie Payne alla batteria e due chitarristi come Eddie Taylor e Homesick James, cugino di Elmore, a cui vanno anche attribuite alcune parti di basso.

È proprio di quel periodo un brano come It Hurts Me Too che dopo Dust My Broom è una delle cose migliori di James: il pezzo riprendeva un successo degli anni ’40 di Tampa Red debitamente `ricostruito’; il suono così amalgamato delle chitarre è stato spesso fonte di discussione ed ammirazione, in realtà quel sound che sicuramente avrà sorpreso, interessato e dannato parecchi chitarristi dei primi anni sessanta, altro non era che una soluzione che potremmo definire three-in-one’: questo vuol dire che le chitarre ed il basso entravano in un solo ed unico amplificatore.
Nel 1959 Georges Adins, un ricercatore belga che operava negli States, fu accompagnato da Muddy Waters a vedere un concerto di Elmore James, e quella che segue è semplicemente la descrizione di quell’esperienza. È chiaro che `semplicemente’ è un termine che poco si addice ad una esperienza musicale come quella vissuta da Georges Adins, il quale per anni ricorderà quella serata al Thelma Lounge:

“Elmore James resterà sempre il più interessante e il più drammatico blues singer e chitarrista che io abbia mai sentito dal vivo. Ancor prima di aprire la porta del club sentivamo il sound violento della chitarra di Elmore. Benché la sala fosse strapiena, riuscimmo a trovare un posto vicino ai palco ed il blues mi piovve addosso come non era mai successo… la faccia di James, che portava delle lenti spesse, aveva uno sguardo espressivo e drammatico, specialmente quando partiva con un blues lento. Cantava con una voce forte e rude, e non aveva certo bisogno di microfoni. Nei blues lenti come I’m Worried, Make My Dreams Come True, It Hurts Me Too, la sua voce raggiungeva un apice e creava una tensione che era senza dubbio quella del blues emarginato, `down and out’. Nonostante quella voce grezza, Elmore cantava i suoi blues con un feeling particolare, un’emozione e una profondità che rivelavano le sue origini contadine. Il suo canto era, direi, nutrito, rinforzato dall’accompagnamento della chitarra, che era rozzo, violento ed espressivo quanto la voce. Usava la tecnica bottleneck quasi sempre, e produceva dei suoni che non ho mai sentito uscire da una chitarra e quando la lanciava a briglia sciolta, la gente nel locale impazziva, alcuni correvano al palco e lanciavano delle banconote da un dollaro o da cinque dollari ai suoi piedi”.

Nello stesso anno in cui Georges Adins, in compagnia di Muddy Waters, ascolta Elmore James, il bluesman passa alla Fire Records ed incide The Sky Is Crying dove la sua voce e la chitarra raggiungono un’osmosi perfetta.
Anche se ancora quarantenne Elmore è già gravemente ammalato, il suo cuore si è fermato più di una volta e certo l’uso smodato di alcool non lo aiuta, comunque lui sicuramente non si risparmia e sembra vivere un momento magico; la sua musica è intensa, matura e nascono veri e propri gioielli come Can’t Stop Loving My Baby, Something Inside Me, I Need You, tutti brani in cui il lavoro alla slide è superbo nella sua essenzialità e ricchezza espressiva e consiglierei di ascoltare attentamente Can’t Stop Loving My Baby e i riff di slide che la caratterizzano. Un altro brano inciso da James, Shake Your Moneymaker negli anni sessanta verrà ripreso da Paul Butterfly e dai Fleetwood Mac e manterrà quel sapore alla Elmore James che mai potrà essere mutato nelle sue caratteristiche essenziali.

E qui sta la grandezza di un bluesman come James; infatti la sua musica nei momenti migliori sembra aver ottenuto uno status definitivo e chiunque si avvicini a lui è quasi costretto a rispettarne l’idea originale. Una valutazione del genere obbliga a pensare che in James ci fosse una determinazione ed una sorta di intuizione musicale che non era legata al tempo in cui veniva espressa: in ogni manifestazione ‘artistica’ riuscire a superare indenni il passare degli anni vuol significare che si è espresso non un momento, ma qualcosa di più vasto ed inindagabile.
Interessante la valutazione fatta da Charlie Gillett su Elmore James nel sue lavoro essenziale ed indiscutibile The Sound Of The City – The Rise Of Rock’n’roll (pubblicato in Italia in tre volumi dalle Edizioni Lakota): “Lo stile di Elmore James era piuttosto semplice, una serie di accordi violenti, distorti con la tecnica `bottleneck’, sul manico della chitarra attraverso la quale il cantante lanciava il proprio messaggio. L’estensione vocale di James era limitata, ma il suo coinvolgimento era convincente. La particolarità del suo gruppo era la presenza di un sassofono che rappresentava un elemento di raccordo con lo stile `band blues’. Il suo pezzo forte, Dust My Blues, era una canzone raffinata ma trascinante, con un ritmo ballabile più uniforme rispetto alle ritmiche blues, e un sound di chitarre scorrevole, che sarà l’elemento tipico del blues inglese dei tardi anni sessanta”.

Il 24 maggio del 1963 Elmore James muore a causa di un attacco cardiaco; a trovarlo nel suo letto è il cugino Homesick James, di cui Elmore era ospite; con lui sparisce una delle figure più interessanti del blues elettrico, un chitarrista essenziale con uno stile personalissimo, un chitarrista che come molti altri (pochi) ‘eroi’ dello strumento ha saputo creare qualcosa di inconfondibile e che ha resistito alle mode e al tempo. Certo può sembrare poca cosa, eppure ancora oggi le band di blues e di rock-blues lavorano anche su quel lick che poi si è sviluppato naturalmente nel più classico giro blues ripreso successivamente nel rock.
Chitarristicamente non conta la semplicità delle cose proposte da James, quanto la loro efficacia, e chiunque si avvicini alla sua musica si accorgerà dell’energia incredibile che riusciva ad ottenere dalla sua chitarra sfruttando accordature aperte di mi e di re.

Certo il lavoro dei musicisti che lo hanno accompagnato non può essere sottovalutato, il piano di Johnnie Jones e la chitarra di Eddie Taylor hanno evidenziato e sottolineato le intuizioni di James; nel 1963 quando morì, la scena musicale stava proprio riscoprendo quel blues che in lui come in Muddy Waters o John Lee Hooker aveva le punte di diamante.
Nella scena musicale britannica di quegli anni Elmore James fu immediatamente valutato come uno dei personaggi chiave per lo sviluppo ad esempio della tecnica slide, vera e propria identità musicale di James: da Clapton a Winter il debito verso Elmore rimane grande, insostituibile.

Giuseppe Barbieri, fonte Chitarre n. 58, 1991

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