Sono passati quasi trent’anni dal momento d’oro del british blues e forse oggi molti personaggi di quel periodo possono anche essere ‘riveduti’. A Sense Of Place di John Mayall permette sicuramente questa operazione di rivisitazione perché è forse giusto dire che Mayall, la cui importanza storica non può essere messa in discussione, è stato un uomo di grandi intuizioni, un accentratore ed un abile talent scout, ma parlare di lui come un grande musicista è troppo; sarebbe interessante vedere fino a che punto il mito Mayall sarebbe stato tale se con lui non avessero suonato di volta in volta Eric Clapton, Peter Green o Mick Taylor, per non citare tutta una serie di chitarristi minori come Harvey Mandel o gente come John McVie e Mick Fleetwood.
Finita l’era del glorioso british blues, Mayall ha continuato ad incidere dischi e a portare il suo spettacolo in concerto, ma le cose erano cambiate e quindi anche questo ultimo capitolo della sua infinita discografia appare se non proprio nostalgico, sicuramente un po’ forzato.
Le coordinate, neanche a dirlo, sono quelle del blues bianco e Mayall all’interno di questi spazi si muove a suo agio, però A Sense Of Place è un lavoro debole, privo di energia in cui si avverte un professionismo che riesce a salvare il prodotto da un fiasco clamoroso.
Non credo ci sia altro da dire e dispiace dover scrivere queste cose, ma d’altronde le valutazioni fatte su Mayall non sono certo una novità, è da anni che la sua figura è stata rimossa dal panorama blues internazionale ed è il caso di dire che senza l’apporto di grosse star il progetto di Mayall si sgretola.
Island 210 637 (Blues, 1990)
Giuseppe Barbieri, fonte Chitarre n. 55, 1990
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