Per la rubrica Deep in the heart of Texas: Willie Nelson e Waylon Jennings.
Ghiotta è l’occasione che Country Store ci offre per parlare ancora una volta di un artista, anzi di un ARTISTA che mi/ci è particolarmente caro: Willie Nelson. Laddove è vero che normalmente questa rubrica, Deep in the heart of Texas, ospita segnalazioni che privilegiano i nomi meno noti del panorama artistico texano, non potevamo lasciare passare inosservato il nuovo CD del grande outlaw. Spirit (524 242-2) esce per l’etichetta Island e rappresenta il primo prodotto country in oltre trent’anni di attività della label. La struttura dell’album risulta strumentalmente parca, ma non scarna, piuttosto essenziale e sobria, con l’acustica con corde di budello (gut-string guitar) dello stesso Willie a tessere armonie uniche, talvolta spagnoleggianti, su una voce che la incipiente senilità (il nostro ha gia compiuto sessantatre anni) ha reso ancora migliore, come un buon Jack Daniels invecchiato nei fusti della distilleria sperduta fra le colline del Tennessee.
Ad assistere Willie nelle registrazioni del disco una manciata di nomi: la sorella Bobbie al piano e Jody Payne alla chitarra ed alle armonie vocali, entrambi da sempre nella band di Willie. Fa capolino anche il buon Johnny Gimble al fiddle: un nome, una garanzia. Willie è tornato a comporre ed incide brani nuovi a sua firma per la prima volta negli ultimi cinque anni.
Alcune songs sono tratte da lavori precedenti (She Is Gone, I’m Not Trying To Forget You Anymore e I Guess l’ve Come To Live Here In Your Eyes), ma le canzoni del nostro non tradiscono l’età ed assorgono ben presto allo status di piccoli classici, ciascuno per meriti propri ed indiscutibili. Soffermatevi sullo strumentale di apertura (e chiusura) per entrare nel microcosmo di sensibilità che pervade tutto il lavoro. Ascoltandolo si ha la netta impressione che Willie suoni per sé stesso, al massimo per i pochi amici presenti alla registrazione, ma qualsiasi implicazione di marketing o di vendita è lontana mille miglia dalla mente di chi ha concepito il lavoro.
She Is Gone è fortemente evocativa ed il fatto che sia parte del passato artistico di Willie nulla toglie alla maestosità che la pervade e che trabocca nella seguente e più cadenzata Your Memory Won’t Die In My Grave. Con un leggero profumo di country-song in più rispetto ad altri brani del disco, I’m Not Trying To Forget You Anymore riprende vita e calore e Willie addirittura duetta con se stesso nel ritornello. Too Sick To Pray è nuova e la naturalezza con la quale l’autore si rivolge al suo Creatore è disarmante: un vero atto di fede e di amore che va oltre l’etichetta religiosa fine a se stessa.
Non stiamo comunque a citare tutte le canzoni. I brani sono ben tredici, per quaranta minuti complessivi di musica che elevano il cuore e la mente. Per finire una nota più ‘terrena’: il CD di stampa europea è reperibile anche in Italia, quindi il… danno economico risulta contenuto, ma se anche il prezzo fosse doppio, vi consiglieremmo ugualmente di fare vostro uno dei dischi migliori del 1996.
In tempi recenti molti dei nostri vecchi eroi hanno ritrovato una inaspettata seconda giovinezza artistica e Waylon Jennings rientra di diritto in questa rosa di nomi. Il successo dei due recenti albums di Willie su Justice Records ha portato anche Kris Kristofferson a registrare per la indie di Houston e pare che l’esperienza positiva abbia contagiato anche un terzo componente del supergruppo a nome Highwaymen, che pubblica il suo Right For The Time (JR 2101-2) per la stessa etichetta. Diciamo subito che si tratta di un grande disco, tutto giocato sulla personalissima voce di Waylon e supportato da una strumentazione che risulta deliziosamente complementare al grande honky-tonker texano.
Il CD è di gran lunga il prodotto migliore che Waylon abbia sfornato negli anni ‘90. Un suono pur country, ma ribelle, convinto e potente, insofferente di qualsiasi compromesso che possa edulcorarne il sapore profondamente outlaw. Il title-track è già di per sé un capolavoro, l’iniziale WBPT porta indelebile lo stile chitarristico di Waylon, Cactus, Texas è un quadretto di quotidianità texana che ben si adatta a tante altre realtà analoghe del Lone Star State, Hittin’ The Bottle Again ha il mordente di chi non è disposto ad indietreggiare di un solo millimetro dalle sue posizioni e dalle sue convinzioni e dal vivo deve essere la fine del mondo (a quando un live, Waylon?), mentre Wastin’ Time vede l‘apporto di ben tre chitarre acustiche.
A proposito, il nuovo acquisto di casa Justice, il chitarrista Jesse Dayton, suona con Waylon in ben sei brani, fra i quali la cover del classico di Simon & Garfunkel The Boxer, qui riproposta con smalto da vendere. Non staremo a citare tutti i pezzi (anche se lo meriterebbero), basti segnalare la presenza della consorte Jessi Colter, che duetta col nostro in una nuova cover del classico di Shake Russel Deep In The West, che Waylon aveva già reso nel suo Hangin’ Tough del 1987. Grandissimo disco dunque per Waylon Jennings e graditissimo ritorno alla co-leadership di una rinnovata corrente outlaw che sta guadagnando nuove schiere di adepti grazie alla qualità delle sue proposte, nuove e non. Quasi tre quarti d’ora per i quali vale la pena di ringraziare la Justice Records.
Prima il nuovo Willie, quindi il nuovo Waylon: il fascino dei country outlaws originali è più che mai presente a distanza di venti anni esatti dalla pubblicazione del disco Wanted! The Outlaws accreditato ai due grandi dei quali sopra, oltre a Jessi Colter ed a Tompall Glaser. Per celebrare la ricorrenza, la RCA ha ripubblicato l’album in versione rimasterizzata su CD (RCA 66841-2), con la copertina originale ed aggiungendo ben dieci brani agli undici presenti originariamente, (soltanto) due dei quali sono eseguiti dal solo Willie, due dal solo Waylon, ben tre dalla sola Jessi Colter e due da Jessi e Waylon in duetto. Chicca delle chicche, in chiusura c’è poi il pezzo forte della sezione ‘inediti’: Nowhere Road scritta da Steve Earle e che lo vede partecipare alle chitarre. Il brano è cantato in coppia dai due grandissimi e l’accompagnamento è straordinario.
Alcuni punti di forza del disco: l’iniziale My Heroes Have Always Been Cowboys (potrebbe essere un azzeccato epitaffio per il vostro recensore) eseguita dal solo Waylon è da brividi, come del resto Slow Movin’ Outlaw (ripeto: ‘outlaw’ e non ‘outlaws’, come riporta erroneamente il retro della cover).
Che dire poi di uno dei classici della tradizione honky-tonk, quella Honky-tonk Heroes opera dell’immarcescibile Billy Joe Shaver? E dove mettiamo il grande duetto di Good Hearted Woman, composta a quattro mai dai due guru (con applausi palesemente overdubbed in sala di incisione)? Il fatto che molti di voi abbiano a suo tempo acquistato la copia in vinile di questo album non significa niente: dieci brani mai ascoltati e la versione rimasterizzata del prodotto complessivo, per un totale di oltre un’ora di grande musica valgono abbondantemente il prezzo del CD: decisamente imperdibile! Al prossimo Deep in the heart of Texas.
Dino Della Casa, fonte Country Store n. 35, 1996