Nato e cresciuto a McComb, Mississippi, una piccola cittadina che ha dato i natali anche a Bo Diddley, Omar Dykes inizia a suonare la chitarra all’età di tredici anni, nell’unico luogo possibile: i clubs di neri nel cuore della città. Sono i luoghi celebrati nel recente Courts Of Lulu – “lo suonavo lì ed ero l’unico bianco in mezzo a dei musicisti neri. Suonavo un genere di blues molto rozzo. Non capivo molto di quello che succedeva, ero solo un ragazzo. Guardando indietro a quel periodo, io dovevo essere come una specie di Hound Dog Taylor, ma ancor più primitivo.” – ricorda lo stesso Omar.
Le sue esperienze derivano inoltre dalle trasmissioni blues radiofoniche e dalla collezione di dischi della madre che spaziava dal country & western sino al rock & roll ed il soul.
Giovanissimo forma una band chiamata Howlers con la quale inizierà ad esibirsi nel Mississippi e nella Louisiana forgiando un repertorio blues e rock ricco di storia e tradizioni della sua terra. Cerca di rivitalizzare in chiave elettrica il deep-south blues tanto amato infondendogli colori e ritmi del rock & roll oltre al suo dirompente vigore.
La scena del Southeast va sempre più stretta a questa band emergente e nel ’76, non senza sacrifici, Omar & The Howlers si traferiscono nella più fertile Austin, Texas, dove si guadagnano rapidamente una solida reputazione ed un seguito. Arrivano anche le prime registrazioni per labels indipendenti locali: Big Leg Beat (Amazing Records, 1980) e I Told You So (Austin Records, 1984).
La sua fama cresce discretamente per tutti gli anni ottanta e la popolarità di questa band, divenuta texana d’adozione, arriva anche in Europa. E’ il periodo di Hard Times In The Land Of Plenty (1987) e Wall Of Pride (1988), per la Epic che segnano il periodo più luminoso dal punto di vista commerciale di una carriera che toccherà i suoi vertici artistici negli anni successivi ed è ancora in continuo sviluppo.
Lo dimostrano gli ultimi lavori di questo cantante-chitarrista con e senza gli Howlers: Monkey Land (Antone 1990), l’album solo Blues Bag (Provogue e Bullseye, 1991) dove riafferma il suo amore per il blues affrontandolo in chiave acustica e da autentico purista. Un album di southern-blues ricco in egual misura di citazioni colte e materiale originale.
Omar dimostra di saper suonare molto bene anche acustico (ricorda i primi solo di John Kay negli anni ’70) e canta con un blues feeling fervido e pieno di passione dimostrando di saper tenere bene la scena anche da solista con un sound non meno vigoroso ed accattivante del classico trio elettrico.
A pochi mesi di distanza da questo eccellente ritorno acustico alle origini del Delta blues, Omar si ripresenta in veste elettrica con i suoi fidi Howlers per presentarsi come uno dei più seri candidati al trono lasciato vacante da King Vaughan. Live At Paradiso (Provogue 1992 – Bullseye 1993) ci ripresenta in tutto il suo splendore una delle chitarre più devastanti e selvagge in circolazione. Ma Omar, non a caso divenuto texano, si conferma sempre più ricco di capacità tecniche, feeling e gusto negli arrangiamenti, in grado di far risplendere ancora una volta la magica formula basso-chitarra-batteria in una incandescente serata al Paradiso di Amsterdam.
Un’opera ricca e sanguigna come da tempo non capitava, bisogna risalire al live di Winter o al Leedsdei Who per trovare una chitarra al limite delle umane possibilità di grinta e furore espressivo ed una voce degna di un nero del Delta. Immaginate di sentire John Fogerty e Steve Ray come se fossero una sola persona! Rock & roll, ricco di influenze southern-boogie-blues, con echi blues-Creedence che la lunga e tirata cover di Born On The Bayou rendono emblematici. In Live At Paradiso, degno di diventare un’opera di culto e stranamente misconosciuto ai più, sono state trovate le più alte percentuali di rock & roll mai riscontrate in un disco negli ultimi anni.
L’anno successivo Omar spiazza tutti ancora una volta con il già citato Courts Of Lulu (Provogue, 1993) , opera intensa e meditata in compagnia degli Howlers “alla ricerca del blues perduto”. Un sentito ritorno alle origini, un ulteriore bagno purificatore nel blues dopo i giorni di furore del rock. Una preziosa mistura delle componenti del sound delle origini, rivisitato con intensa passione ed una partecipazione totale.
Muddy Springs Road, nuovo album senza gli Howlers e con una nuova band texana che comprende Gary Primich, armonica, Nick Connolly, tastiere, l’ex Howlers Gerry Felton, basso, e il celebre George Rains, batteria, presenta le ultime canzoni di Omar Kent Dykes. Una formazione che gli permette di sviluppare un sound più ricco e variegato, ma sempre potente ed omogeneo, legato a filo doppio alla sua grande carica emotiva di leader e front-man. Muddy Springs.. è un distillato delle emozioni, delle esperienze, dei viaggi e delle influenze ma anche delle tradizioni e dei luoghi cui questo musicista è legato. Dalle ‘Mississippi-roots’ al ‘sound of the bayou’, ogni canzone di questo album ha una storia da raccontare e Omar si trasforma in blues-man o in un rocker, uno story-teller o un crooner, conservando intatta la sua personalità ed esaltando ogni sua storia.
Nelle note di copertina c’è un richiamo alla magia per esaltare queste doti, Hoo Doo Ball, e sicuramente vi è anche questo tra le carismatiche doti di questo musicista. Magistralmente sorretto da una band eccezionale – con un superbo e centrato Gary Primich all’armonica e con Nick Connolly in grado di irrobustire il sound della band all’organo ed al piano – Omar trova più spazio ed occasioni per cesellare, per arrangiare quello che è il suo lavoro più vario ed ambizioso realizzato sino ad oggi.
Ogni sua performance è da incorniciare e l’equazione tra il suo potenziale espressivo, come cantante-chitarrista ed arrangiatore, con il Dykes autore tale da porlo di diritto tra i grandi di questa musica.
Chi è in grado di sintetizzare la musica dei grandi – non solo per i più accattivanti echi Creedenciani, per la fusione del Delta blues-boogie-Bayou-sound – può essere tranquillamente considerato tale. In Muddy Springs Road dimostra di avere le capacità di evolversi ancora una volta, senza adagiarsi su formule redditizie e, perchè no, oggi molto alla moda. Non cerca il facile effetto o il numero plateale, Omar percorre la via più difficile seria e dispendiosa, ma capace di sintetizzare magistralmente tutta la musica ‘roots’ di matrice blues.
Una consacrazione per Omar Kent Dykes.
Franco Ratti, fonte Out Of Time n. 3, 1994