Oggi, come 20 anni fa, mi capita ancora di ritrovarmi a mezzanotte passata a scrivere qualche recensione, qualche articolo e, malgrado la stanchezza, è un’abitudine che non riesco o forse non voglio perdere, forse perché a quest’ora, quando il caos ed i rumori del giorno si placano, si riesce ad apprezzare la musica con maggiore intensità, si riesce a sentirla, non solo ad ascoltarla. Allora diventa piacevole anche crogiolarsi nella nostalgia di ricordi antichi ed è bello andare a recuperare qualche vecchio disco, qualche storia, qualche gruppo con il quale si è condiviso il passare degli anni e magari senza neppure scomodare nomi altisonanti o miti ipercelebrati.
I Nighthawks hanno tutte le carte in regola per diventare un album di ricordi, con fotografie che risalgono fino agli inizi degli anni 70, quando un imberbe Mark Wenner, fresco di high school ma già sulla breccia come armonicista per Emmylou Harris, non perdeva occasione per chiarire le sue tendenze musicali esibendo un biglietto da visita che chiaramente recitava: – Mark Wenner – harp, blues & beyond.
A Washington D.C. in quegli anni, c’era un gran fervore intorno al blues: la riscoperta dei grandi maestri, sulla scorta di una notevole spinta commerciale che proveniva soprattutto dalla vecchia Inghilterra, aveva creato un forte movimento di interesse intorno a molti giovani musicisti intenti a recuperare le più autentiche radici della musica americana.
Nel Dicembre del 1972, la band ha già il suo assetto che non sarebbe più cambiato nel corso dei successivi 20 anni o giù di li, dando così forma a quelle rare storie di coesione personale e musicale che sono ormai diventate rarissime nelle nuove generazioni.
Così Mark Wenner riunisce intorno a sé Pete Ragusa alla batteria, Jan Zuckowsky al basso e quel Jim Thackery che, proprio a 20 anni dal suo ingresso nella formazione, deciderà di uscirne mettendo la parola fine alla favola dei quattro amici ma, fortunatamente non a quella dei Nighthawks.
Scorrendo il materiale scritto su di loro e guardandone la discografia, una caratteristica che salta agli occhi è l’impressionante cadenza e continuità di concerti di questi musicisti: il loro ruolino di marcia dal ’72 al ’84 non è mai sceso al di sotto della invidiabile media dei 200 concerti all’anno, riuscendo così a crearsi un consistente seguito in ogni angolo di strada degli states, e forse soltanto la tenuta fisica, inderogabilmente legata all’età, li ha costretti a ‘mollare’ un po’, ma ancora oggi, alle soglie dei 50 anni, Wenner & co. si vantano di fare comunque le loro 100 serate incandescenti ed è pur sempre una gran bella media!!!
Naturalmente questo legame simbiotico con il palco, ha avuto pesanti ripercussioni sulla discografia del gruppo che conta, fino ad oggi, ben cinque live ufficiali che, se confrontati con una produzione tutto sommato abbastanza sparagnina di 14 albums, ne rappresentano un abbondante 30%. Evidentemente, i concerti e le produzioni live, sono per i Nighthawks la forma espressiva più vera, più consona alle loro caratteristiche e del resto, più adatta ad un genere che nella spontaneità e nel sentimento ha le sue ragioni d’essere.
Nel 1971, la plastica rientra negli interessi dei fab four di Washington che la Aladdin, si affretta a mettere sotto contratto al termine dell’ennesimo incandescente concerto, pubblicando Rock’n’roll primo album ufficiale della band che sarà anche ristampato dalla Varrick/Rounder nel 1983.
Rock’n’roll è un album composito, Wenner, Thackery, Ragusa e Zuckowsky, pur offrendo sull’altare del blues il grosso del materiale del LP con brani come Red Hot Mama di Elmor James, Bring It On Home di Sonny Boy Williamson o Stop Breakin’ Down di Robert Johnson, Shake & Finger Pop di Junior Walker ed ancora Bright Lights di Jimmy Reed, non nascondono il loro amore per il grande soul dei Temptations di Can’t Get Next To You e per il rock di Elvis con Little Sister o addirittura l’interesse per il volto più moderno del rock anni 70 dei Little Feat, residenti a Washington per lunghi anni e dai quali hanno mutuato una certa impostazione ritmica come nella splendida versione di Teenage Nervous Breakdown.
Ma su tutto, la lezione degli Stones che, anche se qui con un inusuale omaggio di Memo From Turner di Jagger, hanno sempre rappresentato nella loro lunga carriera un costante punto di riferimento nella scelta delle loro sonorità più tipiche di bluesmen al servizio del rock più genuino, tanto bianco nel suono, quanto nero negli intenti e se questo primo album rimarrà nella storia dei Nighthawks come un indelebile marchio di fabbrica, la loro carriera si snoderà su produzioni sempre originali, nelle quali l’intelligenza e la cultura dei musicisti mostrerà la capacità di rinnovarsi.
In linea con quanto detto finora, rispettivamente nel ’78 e nel ’79, i Nighthawks pubblicano due volumi intitolati Jacks & Kings, nei quali si fanno affiancare stabilmente dalla band del grande padre Muddy Waters ed insieme confezionano due straordinari albums tutto cuore e sentimento, sostenuti da una carica vitale che di nostalgico ha ben poco.
Ma troppo tempo è stato speso in sala d’incisione, e troppo ne ha impiegato Wenner nel diventare un Tattoed man, è necessario tornare al più presto on the road, dove batte il vero cuore del blues. Perciò da qui al 1984, le uniche occasioni per ascoltare i Nighthawks su vinile saranno il mitico Times Four del 1982 che li coglie in una serie di ineguagliabili sessions live alle quali ha preso parte anche Guitar Junior, inseparabile dopo l’avventura Jacks & Kings, e quel Ten Years Live che, oltre ad essere un live celebrativo di 10 anni di sudata carriera, segna anche il passaggio della banda da Adelphi a Rounder. (continua)
Claudio Garbari, fonte Out Of Time n. 5, 1994