All’inizio degli anni ’60 una cittadina della California – Bakersfield, situata nella fascia agricola fuori dal circuito turistico – ebbe il suo momento di gloria grazie al talento musicale di due suoi figli benemeriti: Merle Haggard e Buck Owens.
Entrambi meritevoli di aver creato un’alternativa (non solo commerciale) al già allora debordante Nashville Power, essi svilupparono quello che fu poi definito ‘Bakersfield Sound’, una sorta di country-honky tonk che rispolverava il concetto musicale che Hank Williams dieci anni prima impose in tutti gli U.S.A. ma che la sua prematura scomparsa impedì di proseguire e rinforzare.
In perenne contrasto tra loro (anche a causa di spiacevoli scambi di mogli e fidanzate) Buck e Merle da sempre si contendono lo scettro di ‘King Of Californian Country Music’. E se per molto tempo il più scaltro Haggard ha avuto la meglio, recentemente il buon vecchio Owens si sta prendendo delle belle soddisfazioni.
E’ risaputo (nessuno ne fa mistero) che gente come Dwight Yoakam, Ricky Van Shelton, Highway 101 e soprattutto Desert Rose Band ha in Buck Owens la principale fonte di ispirazione.
Questo vuol dire (se includiamo comunque le indubbie influenze denunciate da Ricky Skaggs, Randy Travis, Rodney Crowell, Keith Whitley e da molti altri) che il 90% della country music odierna (il famigerato ‘new country’) deve tantissimo del suo successo a questo straordinario personaggio. Ironia della sorte, i dischi storici del vecchio Buck sono oggi veri e propri oggetti misteriosi. Anche per questo, suscita grande interesse l’uscita di Hot Dog, brillantissima produzione Capitol, che ci presenta un Buck Owens in versione odierna, più vispo che mai, e sempre all’altezza della sua fama.
Dieci brani mandano in solluchero gli amanti della ‘nuova’ country music (che, come avrete capito, nuova in senso artistico non lo è proprio) e tutti coloro che comunque sono interessati a capire meglio questa formidabile ‘revanche’ della musica di Nashville.
Già dal primo brano Don’t Let Her Know si entra nel clima tipico della California di Owens, nel suo mondo rural-psichedelico fatto di colorati juke box Wurlitzer e di insegne al neon.
La voce di Buck è quella che ti aspetti su un’architettura strumentale fatta di pedal-steel, chitarre acustiche, assoli di Fender Telecaster. Armonie vocali perfette (come nella miglior tradizione della costa ovest) condiscono il tutto.
Anche classici del rock ‘n’ roll come Summertime Blues di Eddie Cochran e Memphis di Chuck Berry subiscono l’affascinante trattamento californiano uscendone, se possibile, ancora maggiormente valorizzate.
Ma è nei brani di sua composizione che Buck può esprimere al meglio la sua teoria musicale: Put A Quarter In The Juke Box e, soprattutto, Under Your Spell Again (in duetto con Dwight Yoakam) sono esemplificativi del country-honky tonk di cui Owens è indiscusso maestro. Ritmo, melodia e grande gusto per i suoni puliti sono la semplice ma infallibile ricetta di questa musica.
Un gran disco e un gradito ritorno che segnano la riabilitazione ufficiale di un artista che sta rivivendo, 25 anni dopo, la sua seconda giovinezza.
Don’t Let Her Know / A-11 / Summertime Blues / Memphis / Hot Dog / Put A Quarter In The Juke Box / Under Your Spell Again / Second Fiddle / Sweethearts In Heaven / Keys In The Mailbox
Capitol C1-91132 (Honky Tonk, Bakersfield Sound, 1988)
Ezio Guaitamacchi, fonte Hi, Folks! n. 35, 1989