Dwight il bello ha colpito ancora: secondo disco e secondo centro per questo cowboy californiano dallo sguardo tenebroso e dal dissacrante look Nashville-punk.
Certo, il modo di essere e di apparire di Dwight è elemento chiave del suo successo ma non ne è l’unica ragione. La sua proposta musicale è fresca e trascinante, ha riferimenti precisi verso il gusto timbrico del miglior country-rock, strizza l’occhio alla incisiva ritmica dello honky-tonk e alla accattivante formula melodica della country-music d’autore.
Niente di particolarmente nuovo (soprattutto per chi segue l’universo country da parecchi anni) ma in definitiva una miscela gradevole, ben composta e ben interpretata da un musicista che senz’altro è da considerarsi un ‘personaggio’. A ben vedere tutto il filone ‘new country’ non ha apportato innovazioni sconvolgenti nella musica degli anni ’80, ma, se non altro, ha avuto il grosso merito di ridare smalto e freschezza ad un genere che stava lentamente ma inesorabilmente scivolando verso la pop music più becera. Si tratta, of course, di una scelta musicale tipicamente americana che non dà spazio alle mezze misure: ‘love me or leave me’, amami o lasciami, potrebbe esserne il motto.
E’ una musica dedicata a tutti coloro che apprezzano la più genuina cultura americana, che rimangono ancora affascinati dai colori, dai suoni, dai grandi spazi e dalle enormi contraddizioni di questa terra a stelle e strisce. E’ l’America dei sogni quella che rivive in Dwight Yoakam, Steve Earle, Ricky Skaggs, Vince Gill e in tutti gli altri eroi che stanno lanciando il nuovo messaggio country sempre più forte nel mondo. E lui, il nostro ‘Hillbilly De Luxe’ più degli altri può contribuire a questa larga diffusione.
Accompagnato dai Babylonian Cow-boys (tra cui spicca il violinista Brantley Kearnes, già valido accompagnatore di David Bromberg) Dwight prosegue senza deviazioni il percorso musicale già tracciato con Cadillacs, Ecc. Devo dire che, a proposito di Bromberg, trovo che di tanto in tanto la voce di Dwight Yoakam mi ricorda (anche se con un tono molto meno nasale) quella dei grande David, specie nelle intense ballate del tipo di Johnson’s Love. La voce di Dwight Yoakam è in linea con la sua scelta musicale possedendo essa quella rara combinazione di melodicità e di grinta che la rende contemporaneamente adatta sia ai pezzi d’atmosfera che ai brani più scatenati.
Di Hillbilly De Luxe mi piace senz’altro segnalare l’apertura della prima facciata: Little Ways, un pezzo affilato e ficcante così come Please, Please Baby, sempre sullo stesso lato. Always Late With Your Kisses, che dà il via alla side B, porta invece alla memoria il grande Hank Williams, uno dei primi ad innestare un certo feeling honky tonkin’ sulla musica country tradizionale.
Per gli amanti del suono più acustico, sempre sul secondo lato scorre 1,000 Miles con chiari riferimenti al buon vecchio country-rock. Non a caso è stato scelto, come ‘harmony vocalist’ nella maggior parte dei brani, un marpione del settore, quel Herb Pedersen che insieme a Chris Hillman ha dato vita a una delle migliori band di country-rock degli anni ’80 (The Desert Rose Band).
Ancora atmosfere californiane in Throughout All Time e virtuosismo in conclusione con una scatenata This Drinkin’ Will Kill Me dal titolo, speriamo, non premonitore.
Una nota di merito va a Pete Anderson, eccellente chitarrista e, da sempre, spalla di lusso di Dwight Yoakam e un doveroso ringraziamento al mitico Buck Owens, evidente ispiratore dell’arte del giovane Dwight.
Hillbilly De Luxe è sicuramente un ‘must’ per gli americanofili; ma se non amate il cappello da cowboy…. beh forse è meglio che stiate a debita distanza da Dwight Yoakam.
Reprise 25567-1 (Bakersfield Sound, New Traditionalists, 1987)
Ezio Guaitamacchi, fonte Hi, Folks! n. 26, 1987
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