Nel 1981 Patrick Ford pubblicò in tiratura limitata e senza numero di catalogo Rockinitis disco d’esordio di Andy Just, un giovane armonicista che si era messo in luce nei club della baia di San Francisco. Quasi per scherzo era nata la Blue Rock’ It Records, una piccola label che negli anni a venire si segnalerà come la vetrina più importante per le nuove leve californiane.
Da quel giorno, la carriera musicale di Just si è legata a doppio filo con quella dei fratelli Ford. Affinità tecnico stilistiche e un approccio al blues decisamente innovativo sono le caratteristiche che rendono forte il legame. I risultati possono piacere o meno, ma non si può certo dubitare sull’originalità, da sempre una costante nella sua ricerca musicale.
Andy Just, lasciate da parte le avventure intraprese con Defenders e Shapes, etichettabili a fatica in un sorta di new-wave blues, rientra alla grande nel circuito blues californiano. Don’t Cry nato dopo una serie di ripensamenti è il lavoro che meglio rappresenta la sua personalità musicale: “Dentro ci sono tutte le mie influenze, Chicago, Texas, swing, Delta e Ford style”.
Frutto di diverse sedute di registrazione, Don’t Cry può apparire a volte discontinuo ma in fin dei conti brilla di luce propria. Dotato di tecnica eccezionale, è unanimemente riconosciuto un virtuoso dello strumento. Alcuni problemi giungono a volte dal suo solismo eccessivo che rende anonime e prive di respiro alcune composizioni.
Naturale predilezione per i pezzi veloci come Talk Is Cheap, Toes Up, The Slam, Treat Me Right e Back Trackin’.
Molto bella la versione acustica di Mighty Long Time e la lezione di swing impartita in Struttin’ At The Rooster. Una menzione particolare per la martellante ballata elettrica Fool For A Lover. Rockin’ the blues.
Crosscut CC 11044 (Blues, 1993)
Fabrizio Berti, fonte Out Of Time n. 7, 1994